CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32897 depositata il 17 luglio 2018
Reati tributari – IVA – Omesso versamento oltre la soglia di punibilità – Responsabilità – Condizioni d’incolpevole illiquidità – Pagamento debiti ritenuti più urgenti – Causa di forza maggiore e esclusione del dolo – Non sussiste
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 13.10.2017 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città in data 2.11.2015 che aveva condannato F.A.P. alle pene di legge per il reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000, perché non aveva versato entro il termine previsto per il pagamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta successivo, l’IVA dovuta per il periodo d’imposta 2010 per l’ammontare di € 282.886,00, in Milano il 27.12.2011, termine previsto per il pagamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta successivo.
2. Con un unico motivo di ricorso, l’imputato deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000 come contrapposto al precedente art. 10-bis. Precisa che, solo nell’ambito della disciplina sulla cosiddetta “ritenuta d’acconto” di cui all’art. 10- bis, il contribuente, agendo quale sostituto d’imposta per conto dell’Erario, poteva effettuare una ritenuta alla fonte delle somme corrisposte dal terzo ed era quindi tenuto ad accantonare le somme trattenute a tale titolo, sicché non poteva darvi una diversa destinazione; nell’ambito della disciplina dell’art. 10-ter, invece, non sorgeva alcun obbligo di accantonamento. La Corte territoriale, cui era stato devoluto il tema, non aveva risposto alle doglianze difensive ed aveva ritenuto nell’ipotesi contestata che egli avesse distolto il denaro dalla specifica destinazione. Inoltre, aveva parlato genericamente ed apoditticamente di un inesistente “evento improvviso e non prevedibile”, nonostante egli avesse dimostrato di aver un credito verso una società di € 217.915,60, portato da decreto ingiuntivo, che legittimava l’incolpevole affidamento della riscossione, sebbene tale affidamento fosse stato mal riposto perché la società debitrice era fallita. Né aveva rilevanza il ragionamento in ordine all’applicabilità del cosiddetto “regime IVA per cassa” di cui alla L. n. 134/2012, perché il volume d’affari della G.S.M. S.p.A. non poteva certo superare i due milioni di euro. Lamenta il mancato rispetto dell’ordine dei privilegi.
Chiede pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato ed in subordine l’annullamento con rinvio per il riesame della questione.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente ha proposto le medesime questioni già affrontate in primo e secondo grado e risolte con motivazione ampia, accurata ed immune dalle censure segnalate.
Pacifico l’omesso versamento dell’IVA, il tema controverso è l’apprezzamento delle condizioni d’incolpevole illiquidità che avevano impedito l’adempimento.
La Corte territoriale, richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, ha osservato che le difficoltà finanziarie e la necessità di reperire risorse per fronteggiare esigenze primarie o per pagare debiti ritenuti più urgenti costituiscono il movente di molti comportamenti illeciti e possono al più rilevare in sede di commisurazione della pena, ma non costituiscono una causa di esclusione del dolo né una causa di forza maggiore. Nella specie, premesso che lo stesso imputato aveva lamentato di aver attraversato difficoltà operative dovute a molteplici fattori, tra cui l’adesione al circuito Network che gestiva l’utenza in rappresentanza del gruppo degli istituti di vigilanza a cui aveva aderito dal 2005 e l’inadempimento di alcuni principali debitori della società, ha osservato che la prospettata situazione di oggettiva impossibilità di adempiere all’obbligo fiscale, non era stata adeguatamente documentata né era stata allegata la strategia organizzativa adottata dalla società per fronteggiare la situazione di crisi.
La prospettata distinzione poi tra l’art. 10-bis e l’art. 10-ter d. Lgs. 74/2000 è del tutto fuorviante, perché è certo l’omesso versamento dell’acconto dell’IVA.
La Corte territoriale ha avuto cura di ricordare che nel caso in esame ricorreva anche il dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice dell’art. 10-ter, costituito dalla coscienza e volontà di non adempiere all’obbligo di versamento nel termine di legge fissato, senza che assumesse rilievo il fine perseguito, non essendo richiesto, a differenza di altre figure di reato tributario, che il comportamento illecito fosse dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, mentre la prova del dolo era generalmente insita nella presentazione della dichiarazione annuale da cui emergeva quanto dovuto a titolo d’imposta.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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