CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33389 depositata il 18 luglio 2018
Reati tributari – Rateizzazione del debito tributario – Capienza patrimonio societario – Obbligo solidale di pagamento delle sanzioni nei confronti dell’Erario
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 17 maggio 2017, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’odierno ricorrente G.M. per il reato continuato di cui all’art. 11, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con il primo motivo – e con motivi aggiunti successivamente depositati in Cancelleria – il ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata per essersi limitata a richiamare per relationem la sentenza di primo grado senza rispondere alle specifiche doglianze contenute nell’atto d’appello circa la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo dei reati ascritti e ritenuti, nonostante si fosse trattato del compimento di atti a titolo oneroso che non avevano inciso sulla capienza del patrimonio della società rispetto al soddisfacimento dell’obbligazione tributaria e benché l’imputato fosse titolare di un patrimonio personale sufficiente ad adempiere l’obbligo solidale di pagamento delle sanzioni nei confronti dell’Erario.
4. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 12 bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 e vizio di motivazione per non essere stata revocata la confisca per equivalente disposta in primo grado, benché fosse stata data prova del piano rateale di pagamento del debito tributario concordato tra la società rappresentata dall’imputato e l’Agenzia delle Entrate.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che va qui certamente ribadito, la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione se si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi, non potendosi in tal caso evocare lo schema della motivazione per relationem (Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli e a., Rv. 254102) e ricadendosi invece in ipotesi di sostanziale elusione delle questioni poste dall’appellante (Sez. 4, Sentenza n. 6779/2014 del 18/12/2013, Balzamo e a., Rv. 259316). Il giudice di appello può tuttavia motivare la propria decisione richiamando le parti corrispondenti della motivazione della sentenza di primo grado quando l’appellante si sia limitato alla mera riproposizione delle questioni di fatto o di diritto già espressamente ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ovvero abbia formulato deduzioni generiche, apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti (Sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013, Adduci e a., Rv. 255392).
1.1. Nel caso di specie la sentenza impugnata si limita in effetti a richiamare per relationem la sentenza di primo grado reputando che la stessa dia “adeguata indicazione” della natura simulata delle alienazioni contestate e che sia “del tutto congetturale ed indimostrata” la spiegazione alternativa fornita dall’appellante.
Dall’esame dell’atto d’appello risulta che erano state proposte doglianze con particolare riguardo: all’effettiva corresponsione del prezzo pattuito per le alienazioni; alla congruità di tale prezzo; alla documentata situazione patrimoniale personale dell’imputato, che, quale amministratore, sarebbe stato solidalmente responsabile con la società per il pagamento delle sanzioni, ciò che dimostrerebbe l’assenza del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice.
1.2. I primi due profili di doglianza – osserva il Collegio – non contenevano critiche o questioni che la sentenza di primo grado non avesse già adeguatamente affrontato e vagliato, sicché, in forza dei principi più sopra richiamati, la motivazione per relationem effettuata dalla Corte territoriale non si presta a censure.
Ed invero, il Tribunale ha dato logicamente conto (pag. 2, 3, 4 sentenza di primo grado) degli Indizi gravi, precisi e concordanti che univocamente deponevano nel senso della simulazione dei trasferimenti dei tre veicoli – gli unici beni aggredibili dal Fisco, essendo gli altri mezzi in leasing – dalla società amministrata dall’imputato ad una società neo costituita al medesimo riconducibile (egli ne era socio al 90% ed il restante 10% era nella titolarità della sorella), con ininterrotta prosecuzione dell’utilizzo dei mezzi da parte della società apparentemente cedente (e ciò in forza di contratti di locazione stipulati, e di fatture emesse, in seguito all’apertura della verifica della Guardia di Finanza) e senza che fosse stata congruamente indicata la ragione economica di tale, anomala, operazione. Che, dunque, vi potessero essere stati degli effettivi pagamenti per importi congrui – circostanza, peraltro, in fatto neppure bene chiarita, come lo stesso appellante ammette, addebitando l’incertezza a carenze dell’indagine – il Tribunale logicamente lo ritiene elemento non dirimente, reputando che, se davvero così fosse, si tratterebbe di “mere partite di giro” tra soggetti facenti capo allo stesso centro di interessi e rilevando come «il denaro è bene che facilmente può essere sottratto alle casse sociali e non rivenuto in sede di azione esecutiva, rispetto a dei beni di valore che…rappresentano la naturale garanzia dei creditori». Tanto era sufficiente – ha concluso il giudice di primo grado – per ritenere integrato il reato di pericolo contestato, essendo sufficiente l’idoneità dell’atto a frustrare l’effettività della procedura esattoriale, come da condivisibile giurisprudenza di legittimità secondo cui integra la condotta, rilevante come sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte dovute da società, la messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili, dal momento che nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario (Sez. 3, n. 19595 del 09/02/2011, Vichi, Rv. 250471).
Nel puntare l’attenzione unicamente sul pagamento del congruo prezzo indicato in fattura per la cessione dei mezzi, l’appellante non si confrontava con la reale motivazione di penale responsabilità addotta dal giudicante e non la scalfiva in alcun modo. Di qui la legittimità del ricorso alla , motivazione per relationem da parte della Corte territoriale e l’infondatezza, sul punto, del primo motivo di ricorso, dedotto esclusivamente per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con conseguente inammissibilità dell’ulteriore deduzione di violazione di legge ai sensi della lett. b) della citata disposizione, effettuata con la memoria di motivi aggiunti, non essendo consentito al ricorrente in cassazione, con i motivi nuovi di cui all’art. 611 cod. proc. pen., dedurre una violazione di legge se era stato originariamente censurato solo il vizio di motivazione (Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012, Strisciuglio e aa., Rv. 252320).
1.3. La sentenza del tribunale non prendeva invece in esame la terza questione dedotta nel gravame, vale a dire il fatto che il patrimonio personale dell’imputato sarebbe stato sufficiente ad onorare le obbligazioni tributarie. A questa doglianza non è quindi stata data risposta.
Osserva, tuttavia, il Collegio come la stessa sia manifestamente infondata, posto che la normativa invocata dal ricorrente – come pure lo stesso riconosce – prevede la solidarietà del legale rappresentante delle società di capitali soltanto con riguardo al pagamento delle sanzioni da queste dovute (v. art. 2, 11, 27 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 442), e non anche, invece, per il pagamento delle imposte, sicché l’aggressione del patrimonio personale del ricorrente sarebbe stata ben più limitata rispetto a quella che avrebbe subito la società da lui amministrata.
Posto che a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. l’illogicità della motivazione censurabile con ricorso per cassazione dev’essere manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi – secondo il consolidato orientamento di questa Corte – sono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643; Sez. 5, n. 607/2014 del 14/11/2013, Maravalli, Rv. 258679). Del resto, in tema di impugnazioni, il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo che sia manifestamente infondato non comporta l’annullamento del provvedimento, trattandosi di censura che, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento e non derivandone quindi alcun pregiudizio alla parte (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell’Utri, Rv. 263980; Sez. 5, n. 27202/2013 del 11/12/2012, Tannoia e a., Rv. 256314).
2. Il secondo motivo di ricorso, nei limiti di cui si dirà, è invece fondato.
All’udienza dibattimentale d’appello del 17 maggio 2017 il difensore ha prodotto documentazione attestante atto di adesione tra l’Agenzia delle Entrate e la T.V.D. Srl, con richiesta di rateizzazione del debito contributivo dalla stessa accumulato, allegando altresì prova del pagamento delle prime rate scadute in accoglimento della richiesta di rateizzazione. Benché egli non abbia espressamente richiesto – come risulta dal verbale di udienza – la revoca della disposta confisca in relazione al disposto di cui all’art. 12 bis d.lgs. 74 del 2000 (norma inserita dall’art. 10, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, successivamente alla proposizione dell’atto d’appello), la Corte territoriale si sarebbe dovuta porre d’ufficio la questione della sua applicazione, trattandosi di norma di carattere penale sostanziale più favorevole (è pacifica, di fatti, la natura sostanzialmente penale della confisca per equivalente che esclude l’applicazione della disciplina prevista per le misure di sicurezza: cfr. Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami e a., Rv. 255037). La sentenza, sul punto, tace, ma, non essendo configurabile un’omessa motivazione per non essere stata specificamente dedotta la relativa questione, non è ravvisabile neppure la dedotta violazione dell’art. 12 bis d.lgs. 74 del 2000. Deve, infatti, richiamarsi il principio, già affermato da questa Corte, giusta il quale la disposizione di cui al comma secondo dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 (introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015), secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, deve essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo ad essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito (Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, Orsi, Rv. 268384).
Piuttosto, la prova documentale del pagamento di parte del debito contributivo avrebbe dovuto indurre la Corte a valutare se si giustificasse ancora la disposta confisca nei limiti della somma fissata dalla sentenza di primo grado. Nella giurisprudenza di questa Corte, di fatti, è pacifico il principio secondo cui, tanto in sede di sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2-bis, cod. proc. pen. quanto in sede di disposizione della confisca per equivalente in relazione al profitto corrispondente ai reati fiscali, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario e questo sia stato in parte adempiuto, l’importo della statuizione deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Tornasi Canovo, Rv. 265843; Sez. 3, n. 42087 del 12/07/2016, Vitale, Rv. 268081; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, Cavatorta, Rv. 258903).
2.1. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata limitatamente alla disposta confisca, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce per nuovo esame sul punto, con declaratoria di irrevocabilità – ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen. – in ordine alle restanti statuizioni.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni sulla confisca con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara irrevocabile la sentenza in relazione alle rimanenti statuizioni.
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