CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 43546 depositata il 2 ottobre 2018
Imposte indirette – IVA – Omesso versamento – 10-ter d.P.R. 10 marzo 2000, n. 74 – Violazioni – Reati penali
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 5 giugno 2017 la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del 20 maggio 2015 del Tribunale di Lecce, ha rideterminato in mesi cinque di reclusione la pena inflitta a G.C., quale legale rappresentante della s.r.l. A., per il reato di cui agli artt. 81 capoverso, 10-ter d.P.R. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione agli omessi versamenti relativi agli anni d’imposta 2010 e 2011, con riduzione delle somme da sottoporre a confisca.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione con un articolato motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, il ricorrente ha dedotto violazione ed errata applicazione della norma di cui all’art. 10-ter cit.. Ha ricordato che l’esposizione era nata a seguito del mancato rispetto, da parte del Comune di Lecce, dei previsti pagamenti a corrispettivo del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti operati dalla società di cui il ricorrente era legale rappresentante, mentre in ogni caso vi era stata solamente parziale violazione del dovere di versare l’imposizione indiretta, con la scelta di pagare le retribuzioni ai dipendenti e comunque di osservare il piano rateale di ammortamento del debito fiscale, a sua volta concordato con l’Agenzia delle Entrate.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata aveva riconosciuto l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato, così escludendo la dedotta impossibilità di versare l’iva nei termini, tanto nell’oggettivo mancato pagamento dell’imposta, quanto nell’esistenza del rischio d’impresa ed infine nella scelta di pagare i dipendenti.
In proposito, il ricorrente ha dedotto che la condotta penalmente rilevante non era stata frutto di libera scelta, ma che era stata determinata da circostanze esterne che avevano condotto alla necessaria violazione del precetto penale, con riferimento all’ingente credito vantato nei confronti dell’Amministrazione comunale leccese, mentre d’altro canto proseguiva il piano di ammortamento del debito fiscale, e il drastico ridimensionamento della linea di credito bancaria aveva reso concretamente inesigibili i segnalati accantonamenti per il pagamento delle somme dovute per l’imposizione indiretta.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In relazione al complesso motivo di impugnazione, non vi è questione circa il mancato tempestivo pagamento dell’imposta.
Il ricorrente ha ribadito che la situazione di crisi aziendale, dovuta alla mancata riscossione di crediti nei confronti dell’ente pubblico territoriale, non gli aveva consentito di adempiere agli obblighi contributivi; con ciò prefigurandosi, da un lato, una situazione di forza maggiore idonea a escludere l’attribuibilità della condotta omissiva in capo all’imputato e, dall’altro lato, il difetto del prescritto coefficiente psicologico. Secondo la previsione contenuta nell’art. 45 cod. pen., infatti, “non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore”.
4.2. Ciò posto, è assegnata al “caso fortuito” la valenza di una situazione “scusante”, come tale idonea ad escludere l’elemento soggettivo in quanto consistente in un avvenimento “imprevisto e imprevedibile” che si sovrappone alla condotta dell’agente, la quale, conseguentemente, non può, in alcun modo e nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire alla dimensione psichica e soggettiva dell’agente (ex plurimis, Sez. 4, n. 6982 del 19/12/2012, dep. 2013, D’Amico, Rv. 254479); mentre la “forza maggiore” si configura come un evento, naturalistico o umano, che fuoriesca dalla sfera di dominio dell’agente e che sia tale da determinarlo incoercibilmente (vis maior cui resisti non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita (in questa direzione Sez. 5, n. 23026 del 3/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145). Secondo questa ricostruzione, dunque, la forza maggiore si colloca su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo, ovvero nell’ambito delle situazioni in grado di escludere finanche la cd. suitas della condotta.
Ora, secondo la prospettazione difensiva/la situazione di crisi di impresa avrebbe impedito, in termini di una assoluta impossibilità, di adempiere agli obblighi nei confronti del Fisco (tra l’altro, in specie, si trattava del dovuto accantonamento di somme di pertinenza pubblica ab origine), impedimento che il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare. Secondo questa impostazione, pertanto, si verserebbe proprio nell’ambito tipico della cd. “forza maggiore” nell’accezione prima delineata. Mentre i pagamenti sarebbero stati organizzati postergandoli, come dimostrava l’adempimento del piano concordato con l’Agenzia delle Entrate.
5. Ciò ricordato, in fatto deve peraltro escludersi siffatta situazione di impossibilità.
Rappresenta anzitutto circostanza pacifica l’avvenuta erogazione, alla scadenza mensile della relativa obbligazione retributiva, dello stipendio ai dipendenti; segno, evidentemente, che la crisi di liquidità non era affatto assoluta e che, pertanto, l’impresa non si trovava in quella situazione di impossibilità di compiere scelte alternative, ovvero nella condizione di una condotta (omissiva) irresistibilmente coartata verso un determinato risultato o effetto, ossia il mancato pagamento del debito fiscale. Ciò che, pertanto, consente di rilevare la palese insussistenza, nella specie, di una situazione di “forza maggiore”.
Invero la corresponsione, ogni mese, delle retribuzioni, non ha consentito di dimostrare la dedotta situazione di impossibilità di adempimento delle ulteriori obbligazioni pubbliche alla scadenza. Pertanto la condizione di assoluta illiquidità non è stata dimostrata nella sua reale efficienza causale rispetto alla condotta omissiva, tanto più che il ricorrente non ha inteso contestare, semplicemente ignorandolo, il non irrilevante passaggio motivazionale col quale la Corte territoriale (riprendendo quanto già era stato correttamente evidenziato dal Tribunale di Lecce) ha annotato come, sia pure dando per scontato il mancato pagamento dei debiti del Comune di Lecce per il servizio rifiuti urbani, detta Amministrazione non fosse l’unico cliente della s.r.l. A.. Circostanza che, all’evidenza, indebolisce vieppiù la tesi del ricorrente circa l’impossibilità oggettiva di fare fronte alla propria esposizione nei confronti dell’Erario.
In proposito, va altresì aggiunto che, in ipotesi di conflitto tra l’obbligo fiscale e il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione agli stessi spettante, non illogicamente è stato ritenuto di dover accordare prevalenza a quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo. Pertanto, l’imputato avrebbe dovuto, dinnanzi al contestuale sorgere delle due obbligazioni, accantonare le somme corrispondenti al debito fiscale, onde provvedere al dovuto versamento (cfr. amplius, in motivazione quantunque in tema di mancato pagamento dei debiti previdenziali, Sez. 3, n. 56432 del 18/07/2017, Franzini, non mass.).
6. In particolare, è stato invero precisato (così, riassuntivamente ed anche per gli ulteriori riferimenti, Sez. 3, n. 18501 del 17/07/2014, dep. 2015, Rubino, non mass.) che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda (tra l’altro nulla viene allegato quanto alla situazione creditoria nei confronti della restante clientela), ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad allo stesso non imputabili. Mentre in ogni caso, ai fini della sussistenza del reato, non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto, il dolo del reato in questione essendo integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato.
7. In definitiva, quindi, la forza maggiore che esclude la suitas della condotta è la vis cui resisti non potest, a causa della quale l’uomo non agit sed agitur. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, e non può quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.
In tal modo è stato sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
Nei reati omissivi integra pertanto la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Sì che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
8. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, nonché dalle stesse emergenze processuali, il ricorrente operò altre scelte imprenditoriali, in ogni caso scegliendo i creditori da soddisfare e comunque disegnando la scaletta dei propri impegni economici secondo necessità aziendale e non secondo gli obblighi di legge. In tal modo collocandosi al di fuori del perimetro della forza maggiore, ed integrando sicuramente l’elemento soggettivo del reato.
D’altronde le vicissitudini lamentate, in relazione ad es. all’andamento del mercato ovvero all’impossibile accesso al credito bancario, appaiono legate all’ineludibile rischio d’impresa (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; cfr. altresì, ad es., Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128), mentre comunque (v. supra) la stessa situazione aziendale di lamentata crisi presenta significative zone d’ombra.
9. In definitiva, quindi, il ricorrente ha inteso riproporre quanto già ampiamente disatteso nei due gradi di merito, tra l’altro evitando il confronto col complesso della motivazione resa dai Giudici salentini.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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