Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 50352 depositata il 12 dicembre 2019
reato fiscale – occultamento e/o distruzione dei documenti contabili – reati di omesso versamento IVA e degli oneri previdenziali
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 4.04.2019, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza tribunale di Como 23.04.2018, appellata dal Ragusa, che era stato condannato alla pena di 8 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, perché, quale titolare della ditta individuale R.T., al fine di evadere le imposte occultava le scritture contabili relative all’anno 2007, in modo .da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari, segnatamente riferendo, nell’interpello dell’Agenzia delle Entrate per accertare l’utilizzo di fatture false emessa dalla ditta individuale C.I., ed aver smarrito la propria contabilità, fatto contestato come commesso in data 5.10.2012.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 10, d. lgs. n. 74 del 2000 e correlato vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. In sintesi, sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata, pur argomentando circa l’assunto difensivo, si sarebbe limitata a riproporre una versione formale e stereotipa della fattispecie, senza entrare nel merito del caso specifico contestato che presentava alcune peculiarità. Al ricorrente, si osserva, era stato chiesto di esibire la documentazione non nel corso di una verifica nella sede della società ma nel corso di un invito presso la sede della GdF di Como, del cui scopo egli non era stato messo a conoscenza, e nel quale ignorava dovesse o potesse recarsi con la stessa documentazione, salvo poi sentirsela richiedere seduta stante. Le sole domande che gli erano state rivolte inerivano alle fatture relative alla ditta C.I., sicché non si trattava di un accertamento di carattere generale relativo alla ge- stione societaria volta ad approfondire il volume d’affari della stessa. Alla domanda l’imputato aveva risposto giustificandosi con il fatto che, essendovi un trasloco in atto, la documentazione non era immediatamente disponibile, senza tuttavia che qualcuno lo avesse informato di doverla o poterla portare successivamente, nonostante che il medesimo, a trasloco avvenuto, ne avesse avuto la piena disponibilità. Solo dopo l’avvenuta notizia che il procedimento penale era stato incardinato, questi aveva avuto la possibilità di mostrare la documentazione, donde la debolezza dell’elemento soggettivo sarebbe immediatamente apparsa, ma trascurata in entrambi gradi di giudizio. A ciò, peraltro, andrebbe aggiunto il fatto che il “fine” contestato nell’imputazione, ossia l’evasione di imposta – che avrebbe dovuto es- sere realizzato mediante la registrazione di fatture passive per attività di servizi in realtà inesistenti, asseritamente emesse dalla ditta C.I. – non sarebbe stato raggiunto, ciò in quanto dai registri IVA tenuti regolarmente dal ricorrente ed esibiti nel corso del doppio grado di giudizio, sarebbe emerso come dette fatture non esistevano né risultano essere ma state registrate, donde non si sarebbe concretizzato l’eventuale beneficio fiscale, non essendosi incardinato a carico del ricorrente un procedimento penale per tale illecito. Da qui, dunque, la mancanza di qualsivoglia intento fraudolento e la conseguente mancanza dell’elemento soggettivo del dolo. Peraltro, a sostegno ulteriore di quanto sostenuto, rileva il ricorrente come egli fosse già stato gravato di molteplici procedimenti penali per mancato pagamento IVA e per omesso versamento delle ritenute previdenziali, sempre in relazione al medesimo periodo di imposta 2007, da ciò evincendosi che le somme non versate dal medesimo erano state calcolate dagli enti preposti proprio sulla base della documentazione IVA registrata e comunicata dal medesimo imputato: dunque tali documenti erano sicuramente stati resi disponibili e, trattandosi dei soli registri IVA, ed essendo le fatture risalenti al 2007, le stesse avrebbero potuto consentire, se ricercate presso l’Ufficio, una affidabile e veritiera ricostruzione dell’attività aziendale, seppure aliunde ovvero senza l’immediata disponibilità del ricorrente.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 62 bis, c.p. e correlato vizio di motivazione. In sintesi, il ricorrente contesta il giudizio dei giudici di appello di non riconoscere le attenuanti generiche, che le avrebbero negate per i precedenti penali, senza tuttavia recepire l’osservazione difensiva per la quale le precedenti condanne aventi ad oggetti i medesimi reati di omesso versamento IVA e degli oneri previdenziali, sarebbero scaturite da plurimi procedimenti generati a loro volta dal frazionamento temporale degli accertamenti dell’Ufficio, trattandosi dunque di un’unica condotta omissiva protrattasi nel tempo. Da qui l’osservazione per cui la pluralità delle condanne non sarebbe significativa di una particolare inclinazione nell’illecito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Il ricorso è inammissibile genericità e manifesta infondatezza.
4.1. E’ anzitutto affetto da genericità per aspecificità, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità. Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
5. Lo stesso è inoltre da ritenersi manifestamente infondato, atteso che la Corte territoriale ha spiegato, con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, le ragioni per le quali ha ritenuto del tutto infondata la tesi dell’imputato circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato nonché corretto l’approdo del primo giudice in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
6. Quanto al primo motivo, i giudici di appello rispondendo all’analoga doglianza difensiva – che viene ad essere, per così dire, replicata in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità – ha osservato: a) che non rilevava la circostanza che il ricorrente fosse ammesso al regime di contabilità semplificata in quanto artigiano, atteso che egli era comunque obbligato a tenere i registri IVA in cui devono essere annotate sia le fatture attive che passive; b) che il reato era da ritenersi configurabile in quanto questi, dichiarando alla GdF di non avere la disponibilità di detta documentazione contabile in quanto smarrita, avrebbe compiutamente integrato l’illecito penale contestato sub specie di occultamento, a nulla rilevando il fatto che, al momento della richiesta, questi non avesse temporaneamente la disponibilità della documentazione contabile richiesta causa i traslochi, ciò in quanto questi, una volta rinvenuta, non l’aveva comunque consegnata all’Ufficio, presentandola solo all’udienza dibattimentale; c) che, pertanto, l’avvenuta dichiarazione all’ente accertatore di non averla disponibilità della documentazione contabile per averla smarrita integra il reato, consumandosi lo stesso al momento dell’ispezione; d) che, infine, quanto alla eccezione difensiva di insussistenza del reato per mancato accertamento del fine di impedire la ricostruzione del volume degli affari, era sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte (in motivazione si richiamano correttamente, Sez. 3, n. 20748 del 16/03/2016 – dep. 19/05/2016, Capobianco, Rv. 267028 e altre conformi, secondo cui in tema di reati tributari, il delitto di cui all’art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tutelando il bene giuridico della trasparenza fiscale, è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, rimanendo escluso solo quando il risultato economico delle stesse possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore e senza necessità di reperire “aliunde” elementi di prova); e) che, ancora, poiché al momento della richiesta di esibizione l’imputato non aveva consegnato all’Ufficio alcun documento contabile, la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari era in concreto im- possibile, non rilevando la possibile ricostruzione con elementi aliunde, e dunque non rilevando la circostanza, riproposta ancora una volta nel ricorso, per cui per l’Ente accertatore vi era la possibilità di ricostruire tali operazioni sulla base del fato che, per il medesimo periodo di imposta 2007 ed in relazione alla stessa ditta individuale, egli era stato condannato per omesso versamento Iva e omesso versamento delle ritenute previdenziali; f) infine, e significativamente, che essendo stata rilevata una discordanza tra i dati dichiarati dall’imputato e quelli dichiarati dal C.I., ciò non faceva altro che avvalorare la conclusione di ritenere sussistente il fine dell’imputato di non consentire la ricostruzione dei redditi ed il volume degli affari della propria impresa.
6.1. Al cospetto di tale apparato argomentativo, che induce i giudici di merito a ritenere provato il fatto materiale e la riconducibilità dell’illecito all’attuale ricorrente, le doglianze del medesimo non hanno pregio in quanto manifestamente infondate, risolvendosi nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per un presunto vizio motivazionale e di violazione di legge con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
6.2. Nella specie, il ricorrente, trincerandosi dietro aspetti meramente formali (quali: a) il fatto che al medesimo era stato chiesto di esibire la documentazione non nel corso di una verifica nella sede della società ma nel corso di un invito presso la sede della GdF di Como, del cui scopo egli non era stato messo a conoscenza, e nel quale ignorava dovesse o potesse recarsi con la stessa documentazione, salvo poi sentirsela richiedere seduta stante; b) il fatto che le sole domande che gli erano state rivolte inerivano alle fatture relative alla ditta C.I., sicché non si trattava di un accertamento di carattere generale relativo alla gestione societaria volta ad approfondire il volume d’affari della stessa; c) il fatto che alla domanda l’imputato aveva risposto giustificandosi con il fatto che, essendovi un trasloco in atto, la documentazione non sarebbe stata immediatamente disponibile), in realtà tenta di chiedere a questa Corte di sostituire la propria valutazione a quella operata dai giudici di merito, operazione del tutto inibita in questa sede, dovendosi invero ribadire che il controllo di legittimità sulla correttezza della motivazione non consente alla Corte di cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito in ordine alla ricostruzione storica delle vicenda ed all’attendibilità delle fonti di prova, e tanto meno di accedere agli atti, non specificamente indicati nei motivi di ricorso secondo quanto previsto dall’art. 606, primo comma, lett. e) cod. proc. pen. come novellato dalla L. n. 46 del 2006, al fine di verificare la carenza o la illogicità della motivazione (Sez. 1, n. 20038 del 09/05/2006 – dep. 13/06/2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783).
6.3. La Corte territoriale ed il primo giudice, peraltro, forniscono una risposta logica e giuridicamente corretta alla censura sollevata dal ricorrente in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato de quo, atteso che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’accertamento del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all’art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (occultamento o distruzione di documenti contabili al fine di evasione) presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l’agente sia titolare di un’attività commerciale (da ultimo: Sez. 3, n. 51836 del 03/10/2018 – dep. 16/11/2018, M, Rv. 274110). Nella specie, peraltro, i giudici di merito hanno fornito una logica spiegazione rispetto alla censura difensiva di insussistenza dell’elemento soggettivo per l’asserita mancanza di dolo, rilevando che, essendo stata rilevata una discordanza tra i dati dichiarati dall’imputato e quelli dichiarati dal C.I., ciò non faceva altro che avvalorare la conclusione di ritenere sussistente il fine dell’imputato di non consentire la ricostruzione dei redditi ed il volume degli affari della propria impresa, fermo restando che la ricostruibilità aliunde, come più volte affermato da questa Corte nella giurisprudenza supra richiamata, non osta alla configurabilità del reato che, si ricordi, costituisce un reato di pericolo concreto, integrato, nel caso dell’occultamento (come nel caso di specie), dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti (Sez. 3, n. 46049 del 28/03/2018 – dep. 11/10/2018, Carestia, Rv. 274697), privando ciò di pregio la tesi difensiva secondo cui detta documentazione sarebbe stata rinvenuta all’esito del trasloco, configurandosi l’illecito anche in ipotesi di una indisponibilità “temporanea”.
7. Quanto, infine, al motivo afferente al mancato riconoscimento delle invocate attenuanti generiche, lo stesso è parimenti privo di pregio, atteso che è sempre la Corte d’appello a chiarire che non solo sull’imputato medesimo gravassero quattro condanne per reati della stessa indole di quello oggetto del presente procedimento (reati peraltro relativi non solo al periodo di imposta in contestazione, anno 2007, ma anche a periodi di imposta successivi, 2008, 2009 e 2010), ma anche che non sussistevano nemmeno elementi positivi idonei a giustificare un trattamento sanzionatorio più favorevole. La censura difensiva – secondo cui trattandosi di un’unica condotta omissiva protrattasi nel tempo, la pluralità delle condanne non sarebbe significativa di una particolare inclinazione nell’illecito -, pur suggestiva, non coglie nel segno, atteso che tale affermazione non solo presupporrebbe un accertamento in fatto in ordine alla unitarietà dell’elemento soggettivo sotteso alle singole violazioni (non “presumibile” in assenza di una valutazione in concreto delle singole violazioni, peraltro relative a periodi di imposta cronologicamente successivi tra loro), accertamento del tutto incompatibile con il giudizio di pura legittimità che questa Corte è chiamata a svolgere, ma la stessa tesi, a ben vedere, appare collidere logicamente con la stessa impostazione difensiva con cui si è tentato di sostenere proprio la mancanza del dolo normativamente richiesto per la punibilità del ricorrente in relazione al reato contestato. Da qui, dunque, la manifesta infondatezza anche del secondo motivo.
8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.O.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 50350 depositata il 12 dicembre 2019 - Il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili non è configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10106 depositata il 16 marzo 2021 - In tema di reati tributari, il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all'art. 10 del d. lgs n. 74 del 2000 costituisce un reato di pericolo…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10106 depositata il 16 marzo 2021 - In tema di reati tributari, il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all'art. 10 del d. Igs n. 74 del 2000 costituisce un reato di pericolo…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 48269 depositata il 23 ottobre 2018 - Il delitto di distruzione od occultamento di scritture contabili o documenti obbligatori non richiede, per la sua integrazione, che si verifichi in concreto una…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37348 depositata il 9 settembre 2019 - E' integrato in tutti i suoi elementi, il reato di occultamento e distruzione dei documenti contabili, anche nella ipotesi in cui sia stato possibile egualmente ricostruire…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 2002 depositata il 20 gennaio 2020 - L'occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi integra il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili in quanto sono comunque dimostrativi…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Antiriciclaggio: i nuovi 34 indicatori di anomalia
L’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) con il provvedimento del 12 maggio 202…
- La non vincolatività del precedente deve essere ar
La non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di ga…
- Decreto Lavoro: le principali novità
Il decreto lavoro (decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 “Misure urgenti p…
- Contenuto dei contratti di lavoro dipendenti ed ob
L’articolo 26 del decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 ha introdotti impo…
- Contratto di lavoro a tempo determinato e prestazi
L’articolo 24 del decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 ha modificato la d…