CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 4624 depositata il 21 febbraio 2024
Tributi – Operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti – Efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi riportate in un avviso di accertamento – Rigetto
Rilevato che
l’agenzia delle entrate notificò a S. un avviso di accertamento con cui l’Ufficio ha provveduto a riprese per I.V.A. relativamente all’anno di imposta 2007, conseguenti alla partecipazione della contribuente ad operazioni oggettivamente inesistenti;
che la contribuente impugnò detto provvedimento innanzi alla C.T.P. di Genova che, con sentenza n. 189/2013, rigettò il ricorso;
che S. propose appello innanzi alla C.T.R. della Liguria, la quale, con sentenza n. 38, depositata il 15/01/2016 rigettò il gravame osservando – per quanto in questa sede ancora rileva – come “viste le risultanze del pvc, che costituisce motivazione del successivo atto impositivo, e le dichiarazioni in esso contenute”, l’Ufficio avesse dimostrato l’inesistenza delle operazioni sottese alle riprese per cui è causa (in specie, la costruzione, da parte della enterprise, di una strada, finanziata anche attraverso contributi regionali) mentre, al contrario, la contribuente non avesse ottemperato all’onere della prova sulla stessa gravante;
che avverso tale decisione S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi, illustrati da memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ.; si è costituita, ai soli fine della eventuale partecipazione alla discussione orale in pubblica udienza, l’agenzia delle entrate;
Rilevato che con il primo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) della “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 54,55 e 56 del D.P.R. n. 633/1972. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 c.c. e ss.” (cfr. ricorso, p. 9), per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto che gravasse sulla parte contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza delle operazioni contestate laddove, al contrario, spettava anzitutto all’amministrazione dimostrare che le stesse non furono realizzate e, quindi, solo all’esito, gravando sulla contribuente l’onere della prova contraria;
che con il secondo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 54, 55 e 56 del D.P.R. n. 633/1972. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. Illegittima attribuzione di valore probatorio alle dichiarazioni di terzi acquisite dalla Guardia di Finanza in sede di indagine” (cfr. ricorso, p. 11), per avere la C.T.R. erroneamente attribuito valore probatorio, onde confermare la legittimità della ripresa operata nei confronti di essa contribuente, alle dichiarazioni rese da tale Cu.Fu., legale rappresentante della ditta enterprise nonostante l’assenza di ulteriori elementi di riscontro;
che con il quarto motivo la difesa di parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) della “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 c.c. e 2729 c.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 54, 55 e 56 del D.P.R. n. 633/1972” (cfr. ricorso, p. 13), per non avere la C.T.R. (a) dato conto del procedimento logico-cognitivo sotteso alla valutazione di legittimità dell’operato dell’Ufficio, né (b) esaminato gli elementi addotti da essa contribuente a comprova della circostanza che le operazioni sottese alle riprese per cui è causa furono, in realtà, effettivamente realizzate, sebbene non dalla enterprise ma dal subappaltatore M.L.;
che con il quinto motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 4, cod. proc. civ.) della “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia con riferimento al primo motivo di ricorso “Sulla evidente (e comunque pacifica) esistenza oggettiva delle operazioni di che trattasi” (cfr. ricorso, p. 16), per non essersi la C.T.R. pronunziata in relazione alla difesa, articolata dalla contribuente sin dal primo grado di lite e costituente il primo motivo di gravame, concernente “la sola inesistenza “soggettiva” (e non anche “oggettiva”) delle operazioni di cui trattasi” (cfr. ivi); che i motivi sono, nel loro complesso, in parte infondati, in parte inammissibili;
che va anzitutto evidenziato come il primo, il quarto (rispetto alla seconda censura ivi articolata) ed il quinto motivo non colgono la ratio decidendi di fondo della decisione impugnata, avendo la C.T.R. chiarito come, nella specie, si versi, in realtà, in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti e non già – come opinato dalla difesa della parte contribuente a sostegno delle proprie doglianze – oggettivamente inesistenti: la C.T.R. dà infatti atto che la “costruzione (della strada) veniva attuata anche tramite l’ottenimento di contributi regionali” (cfr. quarto e quinto rigo della p. 1 della motivazione, sub “svolgimento del processo”) e che, tuttavia, la società appaltatrice – tale enterprise – “inattiva” e “priva altresì di qualsiasi struttura…aveva sub appaltato i lavori al sig. M.L.” (ritenendo, poi, tale complessivo impianto ricostruttivo dimostrato ad opera dell’Ufficio – cfr. infra). Appare, dunque, chiaro che la motivazione della decisione impugnata fonda sulla ricostruzione della fattispecie in termini di operazioni effettivamente realizzate (dunque, oggettivamente esistenti), sia pure non da parte del soggetto (i.e. la enterprise) che risulta, invece, averle compiute dal punto di vista documentale, ma da altro (tale M.L.);
che, così ricostruita la vicenda sostanziale (e la qualificazione che della stessa ha dato la C.T.R.), non può che trovare applicazione il principio per cui, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente, incombendo, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., Sez. 5, 9.8.2022, n. 24471, Rv. 665800-02);
che, nella specie, contrariamente a quanto addotto dalla difesa della ricorrente con il primo motivo di ricorso, non risulta violato l’indicato criterio di riparto, tra Ufficio e contribuente, dell’onere della prova, avendo la C.T.R. ritenuto che l’Amministrazione tributaria abbia assolto al proprio mediante (a) le risultanze del p.v.c. (“che costituisce motivazione del successivo atto impositivo” – cfr. p. 1, cpv., della decisione impugnata, sub “motivi della decisione” – e sul cui valore probatorio si rinvia a Cass., Sez. 5, 5.10.2018, n. 24461, Rv. 651211-01) e (b) “le dichiarazioni di parte in esso contenute” mentre, al contrario, lo stesso non è stato assolto dalla contribuente, la quale “non ha addotto elementi concreti e puntuali”, atti a smentire le predette emergenze probatorie né, in particolare, a dimostrare la propria inconsapevolezza circa la partecipazione ad una operazione in evasione di imposta;
che, sotto questo profilo, peraltro, appaiono (1) infondato il quinto motivo di ricorso e (2) inammissibile la seconda parte del quarto motivo di ricorso, con cui, come detto supra, la contribuente rispettivamente lamenta un’omissione di pronunzia in relazione all’eccepita inesistenza soggettiva (e non oggettiva) delle operazioni contestate nonché – sia pure con improprio riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. – l’omesso esame degli elementi addotti a comprova della circostanza che le operazioni sottese alle riprese per cui è causa furono, in realtà, effettivamente realizzate, sebbene non dalla enterprise ma dal subappaltatore M.L. (e, dunque, ancora una volta che si trattò di operazioni soggettivamente – e non oggettivamente -inesistenti);
che, per quanto concerne il primo aspetto, deve infatti escludersi che la C.T.R. sia incorsa nella denunziata omissione di pronuncia, avendo, anzi, correttamente qualificato le operazioni in questione come soggettivamente inesistenti;
che, relativamente al secondo profilo, la censura – che disvela, in realtà, un vizio motivazionale, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. – oltre ad essere inammissibile per carenza di interesse (posto che, come detto, la C.T.R. ha qualificato quelle in questione in termini di operazioni soggettivamente inesistenti: che è proprio ciò che parte ricorrente vorrebbe dimostrare), in ogni caso non adduce elementi decisivi a confronto della prova contraria richiesta, in tali ipotesi al contribuente, consistente nella dimostrazione di avere adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., Sez. 5, 20.7.2020, n. 15369, Rv. 658429-01);
che, per effetto di quanto appena osservato, risultano assorbiti il sesto e l’ottavo motivo di ricorso, connessi al (l’invocato) riconoscimento della inesistenza soggettiva delle operazioni contestate dall’amministrazione;
che del pari infondata è la doglianza – formulata con il secondo motivo di ricorso – circa l’assenza di riscontri alle dichiarazioni del C.F., con conseguente loro asserita irrilevanza ai fini della legittimità delle riprese in questione;
che è, infatti, consolidato l’orientamento di questa Corte nel senso che l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi, testualmente riportate in un avviso di accertamento (quale provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di applicazione dell’imposta), non possono ritenersi “tamquam non essent”, al contrario rilevando quali fonti di conoscenza, come fatti o indizi che spetta al giudice di merito valutare in sé, per il loro contenuto intrinseco (Cass., Sez. 5, 9.8.2016, n. 16711, Rv. 640982-01 e Cass., Sez. 6-5, 20.5.2020, n. 9316, Rv. 65777401) ovvero insieme agli eventuali elementi di riscontro offerti, anche di carattere presuntivo, che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l’Ufficio abbia soddisfatto l’onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell’onere della prova contraria (arg. da Cass., Sez. 5, 28.10.2022, n. 32024, Rv. 666102-01);
che, nella specie, in perfetta linea di continuità con i principi che precedono, la C.T.R. non solo ha conferito valore intrinseco alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società appaltatrice enterprise – il quale, come si evince dalla motivazione dell’avviso di accertamento (puntualmente riportata in sentenza, alla p. 1, terzo cpv., nella parte dedicata allo “svolgimento del processo” – che non rappresenta un elemento meramente formale della decisione quanto, piuttosto, un requisito da apprezzarsi in funzione della sua intelligibilità e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento. Cfr. Cass., Sez. 6-5, 20.1.2015, n. 920, Rv. 634142-01), ebbe a dichiarare di non avere mai effettuato i lavori per cui è causa e di avere provveduto alla restituzione dei pagamenti ricevuti dalla contribuente – ma le ha altresì “riscontrate” con gli ulteriori accertamenti svolti dall’Ufficio (“viste le risultanze del pvc, che costituisce motivazione del successivo atto impositivo, e le dichiarazioni in esso contenute”, si legge alla p. 1 della motivazione, primo cpv. della parte dedicata ai “motivi della decisione”), donde è emerso che la e. s.c.a.r.l. era effettivamente “inattiva…priva altresì di qualsiasi struttura”;
che, alla luce di quanto precede va, infine, disattesa anche la ulteriore doglianza formulata con la prima parte del quarto motivo di ricorso, il quale (indipendentemente dall’improprio riferimento al vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) disvela un vizio di asserita motivazione apparente, per non avere i giudici di appello – si opina – dato conto del procedimento logico-cognitivo sotteso alla valutazione di legittimità dell’operato dell’Ufficio. Ed infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. 1, 3.3.2022, n. 7090, Rv. 664120-01; Cass., Sez. U, 7.4.2014, n. 8053, Rv. 629830-01). In particolare: a) ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, 1.3.2022, n. 6758, Rv. 664061-01; Cass., Sez. 1, 30.6.2020, n. 13248, Rv. 658088-01); b) sotto altro profilo, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, 14.2.2020, n. 3819, Rv. 656925-02);
che, nella specie, contrariamente a quanto opinato dalla difesa della S., le ragioni sottese dalla C.T.R. alla ritenuta legittimità delle riprese per cui è causa appaiono, per quanto detto supra, estremamente chiare ed argomentate (oltre che conformi agli indirizzi ermeneutici di questa Corte);
che con il terzo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972” (cfr. ricorso, p. 12), per avere la C.T.R. ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio sulla base di una previsione (l’art. 21 cit.) non applicabile nella specie (siccome rivolta a disciplinare le riprese nei confronti del cedente e non del cessionario) e “peraltro neppure citata nella motivazione dell’avviso di accertamento” (cfr. ivi);
che il motivo è inammissibile, per carenza di interesse;
che, pur vero che l’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972 riguarda la posizione del cedente e non del cessionario (quale, nella specie, la S.), cionondimeno la C.T.R. ha correttamente applicato alla società odierna ricorrente/cessionaria i principi in tema riprese nei confronti della cessionaria a fronte della partecipazione ad operazioni oggettivamente inesistenti, per effetto del combinato disposto degli artt. 19, comma 1, e 26, comma 3, del medesimo D.P.R. n. 633 (cfr. anche Cass., Sez. 6- 5, 10.6.2015, n. 12111, Rv. 635724-01), in tal senso dovendosi semplicemente emendare la motivazione della decisione impugnata, ex art. 384, comma 4, cod. proc. civ.;
che con il settimo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, cod. proc. civ.) la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4,17,19,30 del D.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 168 della Direttiva 2006/112/CE. Violazione e/o falsa applicazione del principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto” (cfr. ricorso, p. 18), per avere la C.T.R. erroneamente confermato la legittimità della ripresa sebbene “le violazioni contestate…non (abbiano) prodotto alcun pregiudizio per l’Erario” (cfr. ivi, penultimo cpv.);
che il motivo è inammissibile;
che esso veicola innanzi a questa Corte una censura nuova, non localizzata (nel silenzio della gravata decisione sul punto) se, come e quando proposta nei precedenti gradi di merito e della quale, in ogni caso, non v’è traccia nei motivi di ricorso e di gravame sinteticamente trascritti alle pp. 5-8 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità;
Ritenuto, in conclusione che il ricorso debba essere rigettato, alcunché dovendosi disporre in relazione al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, essendosi l’agenzia delle entrate costituita ai soli fini della eventuale partecipazione alla discussione orale in pubblica udienza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di S., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
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