CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 9496 depositata il 9 aprile 2024
IMU – esenzione subordinata alla classificazione catastale
RITENUTO CHE
La controversia ha ad oggetto un’impugnativa avverso un avviso di accertamento (n. 291) relativo al versamento dell’IMU per l’anno 2013, emesso dal comune di Albano Laziale (d’ora in poi ricorrente) nei confronti di M.I. relativamente ad un immobile accatastato in A/10 e adibito ad abitazione principale.
Il contenzioso si fonda sulla questione se l’agevolazione ex d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dall’art. 1, comma 1, della l. 22 dicembre 2011, n. 214, trovi applicazione anche per coloro che risultino risiedere in immobili iscritti nella categoria A/10, adibiti ad uso ufficio. La CTP ha respinto il ricorso.
La CTR, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto l’appello dell’odierno controricorrente, affermando il suo diritto all’agevolazione con pagamento dell’aliquota ridotta nella misura del 4,6 per mille, sulla base delle seguenti ragioni:
– ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, le riduzioni e detrazioni dall’imposta in oggetto spettano per l’unità immobiliare che sia adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica;
– i successivi commi 2 bis e due ter dispongono un abbattimento della base imponibile, calcolato in percentuale, che opera con la sola eccezione per immobili ascritti a categoria catastale A1, A8, A9;
– ne consegue che anche per gli immobili iscritti in categoria A 10 valgono i benefici fiscali, qualora l’immobile sia adibito ad abitazione principale del soggetto passivo;
– nel caso di specie il contribuente ha prodotto una certificazione storica anagrafica provando la sussistenza del presupposto di legge per la fruizione dell’agevolazione;
– il comune, senza avere fornito alcuna prova, si limita a invocare la non spettanza del beneficio sul presupposto che, ai fini impositivi, valga ed abbia effetto decisivo il solo dato formale della categoria di iscrizione catastale dell’immobile.
Il ricorrente ha proposto ricorso fondato su un unico motivo e deposita memoria, il controricorrente ha proposto controricorso e deposita memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Con l’unico motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, nonché dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Deduce come non contestato che, alla data di imposizione del tributo, anno 2013, l’immobile non avesse destinazione abitativa, in quanto censito in catasto fabbricati alla categoria A 10, uso ufficio, e che tale destinazione era stata imposta dalle norme urbanistiche e prevista dal piano di lottizzazione Miramare. Si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto come abitazione principale e, quindi, riconosciuto l’agevolazione, per un immobile classificato in A 10, abusivamente adibito a dimora abituale.
Nella memoria chiarisce che l’immobile era censito in Catasto fabbricati alla categoria A/10, uso ufficio, e che, solo nel corso del giudizio di appello, tale destinazione era stata modificata a seguito del rilascio del permesso di costruire n. 39/17-2018.
2. Il motivo è fondato.
Ai sensi dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, all’epoca vigente, «L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili [di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504]…. omissis. L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali continuano ad applicarsi l’aliquota di cui al comma 7 e la detrazione di cui al comma 10. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.»
Il comma 4 della medesima disposizione prevede che «Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell’anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento ai sensi dell’articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, i seguenti moltiplicatori:
a. 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10. A decorrere dall’anno 2018, l’abrogazione disposta dal presente comma opera anche nei confronti dei comuni compresi nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia.».
Come si evince dalla normativa sopra riportata, la classificazione in A 10 comporta un diverso calcolo dell’imponibile e ciò, proprio, in ragione della diversa destinazione d’uso.
Si ricorda, poi, che il d.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, prevede che «il classamento consiste nel riscontrare, con sopralluogo per ogni singola unità immobiliare, la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l’unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria a norma dell’art. 9 che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe. Le unità immobiliari urbane devono essere classate in base alla destinazione ordinaria e alle caratteristiche che hanno all’atto del classamento». A norma del successivo art. 62 poi: «La destinazione ordinaria si accerta con riferimento alle prevalenti consuetudini locali, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive dell’unità immobiliare».
Sulla questione centrale del presente giudizio, riguardante la rilevanza o meno della categoria catastale, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione prevista per l’abitazione principale, ritiene il Collegio di confermare l’indirizzo giurisprudenziale formatosi in tema di Ici, secondo cui, ai fini del trattamento esonerativo, rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile, per cui l’immobile iscritto come «ufficio-studio», con attribuzione della relativa categoria (A/10), è soggetto all’imposta, non ricorrendo l’ipotesi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 93 del 2008 (Cass. n. 4467 del 2017, n. 8017 del 2017). Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento (Cass., Sez. 5, n. 7930 del 20/04/2016; Sez. 5, n. 1704 del 29/01/2016).
Tale orientamento si innesta sul più grande filone giurisprudenziale, in base al quale, ai fini del trattamento esonerativo, è rilevante l’oggettiva classificazione catastale, con la conseguenza che è onere del contribuente, che richieda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento (Cass. Sez. 5, n. 10283/2019, Rv. 653370 – 01, Sez. 6 – 5, n. 11588/2017, Rv. 644170 – 01, precedenti resi in tema di presunta ruralità di fabbricati).
Sulla rilevanza dell’effettiva classificazione catastale anche in materia di IMU si è pronunciata la S.C. (Cass., Sez. 5, n. 34690/2022, Rv. 666398 – 01, in tema di fabbricati classificati o classificabili nelle categorie nelle categorie catastali da E/1 a E/9″).
Se, infatti, spetta all’Amministrazione tracciare il reticolo generale di riferimento delle classi catastali, viceversa, incombe alla parte privata, proprietaria dell’immobile, l’onere di provare i requisiti per una diversa e più corretta classificazione. Resta, in ogni caso, al giudice di merito procedere ad una differente classificazione dell’immobile alla luce di altri elementi comprovanti la natura e le caratteristiche del bene che impongano diversa classificazione rispetto a quelli indicati in comparazione (Cass. Sez. 6 – 5, n. 31239/2017, Rv. 646996 – 01).
Nel caso in esame l’immobile, all’epoca dei fatti di causa, era classificato nella categoria A 10, destinato ad uso ufficio, di fatto utilizzato dal controricorrente come abitazione principale, come risulta dal certificato di residenza.
Occorre, poi, fare riferimento, oltre ai precedenti sopra richiamati proprio su fattispecie analoghe a quella del presente giudizio di immobile destinato ad uso ufficio e di fatto utilizzato come abitazione, anche a un altro principio affermato in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, n. 21332/2008, Rv. 604707 – 01), secondo cui non è conforme al dato normativo il principio per il quale l’oggettiva destinazione del bene ad abitazione principale è sufficiente per il riconoscimento dell’agevolazione, non essendo quest’ultima in alcun modo correlata al classamento catastale.
La S.C. ha ritenuto, invece, che la detrazione d’imposta per l’abitazione principale presuppone il classamento nella corrispondente categoria catastale, dalla quale e solo da essa, si desumono i valori per la determinazione dell’imposta.
In linea con quanto ora esposto il Collegio intende ribadire, dunque, che la detrazione d’imposta sull’abitazione principale costituisce un’agevolazione fiscale cui il contribuente ha diritto solo se abbia operato in conformità alle norme di legge che la prevedono.
Il controricorrente nel caso di specie non ha operato in tal senso, non avendo impugnato il precedente classamento in A 10, ma ha ottenuto
il rilascio del nulla osta per la variazione catastale solo con la successiva emanazione della l. regionale n. 7 del 2017.
Né si ritiene possa avere rilevanza che l’immobile sia comunque classificato all’interno della categoria A. In tale categoria rientrano, infatti, i beni a destinazione ordinaria, abitazioni con funzioni residenziali o uffici. Nello specifico, nella categoria A 10 rientrano i beni destinati ad uffici e studi privati e, dunque, con una destinazione d’uso diversa dall’abitazione.
Non è un caso, infatti, come si desume dalla normativa sopra riportata, che il metodo di determinazione della base imponibile è differente per gli immobili iscritti alla categoria A 10, proprio in virtù della peculiare destinazione.
La normativa agevolativa in esame, viceversa, riconosce il beneficio al possesso di immobili destinati ad abitazione, presupponendo che il bene sia appunto destinato ad abitazione.
A volere ritenere diversamente, ovvero ammettere la totale irrilevanza della categoria catastale ai fini del riconoscimento dell’agevolazione, si darebbe luogo ad una disparità di trattamento fiscale fra contribuenti dovuta alla diversa incidenza della detrazione fissa su immobili correttamente classificati nella categoria A e altri la cui base imponibile è diversamente calcolata, coma per il caso di specie la A/10 o classificati in una diversa categoria.
Né si ritiene abbia pregio il paventato rischio di violazione del principio di uguaglianza in caso di mancato riconoscimento dell’agevolazione, in rapporto ad «altri soggetti che esercitano la professione in immobili appartenenti alle altre categorie del gruppo A diverse dalla A 10», in quanto il principio di uguaglianza deve trovare applicazione nelle ipotesi in cui i contribuenti abbiano operato in conformità alle norme di legge.
Non può essere, infatti, predicata l’applicazione di un principio di uguaglianza in fattispecie che riposano su un contrasto di fatto con la normativa vigente, a detrimento del principio per cui la legge è uguale per tutti.
Non ha neanche pregio l’invocata rilevanza della revoca della pretesa in sede di autotutela per gli anni 2017- 18, poiché avvenuta a seguito di un mutamento delle condizioni formali legate al rilascio del permesso a costruire.
Da quanto esposto segue l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, il rigetto dell’originario ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, mentre quelle del merito vengono compensate, atteso il consolidarsi della giurisprudenza di legittimità in tema di agevolazione fiscale per la prima casa in epoca successiva alla proposizione dell’originario ricorso.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso;
compensa le spese per i gradi di merito e condanna il controricorrente a pagare al ricorrente le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di € 2000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge.