CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, sentenza n. 7466 depositata il 20 marzo 2024
Tributi – Avviso di accertamento – IRES – Società italiana controllata dalla società di diritto lussemburghese – Mutuo pluriennale – Estinzione società ricorrente – Transfer pricing – Antieconomicità del finanziamento – Quantificazione del valore normale del tasso d’interesse applicato – Rigetto – l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata
Fatti di causa
1. A seguito di indagini, anche penali, svolte dalla Guardia di Finanza sul gruppo societario “Statuto”, avente diramazioni internazionali, e concluse con Processo Verbale di Costatazione, l’Agenzia delle Entrate notificava alla P. Srl l’avviso di accertamento n. (…), relativo al tributo dell’Ires con riferimento all’anno 2008. Il presente giudizio pende tra le stesse parti, ed importa l’esame di analoghe questioni di diritto rispetto al processo RGN 4098/2016, relativo agli avvisi di accertamento notificati per le medesime causali con riferimento agli anni 2006 e 2007, trattato contestualmente nell’odierna udienza.
La P. Srl, società italiana controllata dalla società di diritto lussemburghese “Statuto L.H. S.a.r.l.”, aveva concesso a quest’ultima un mutuo pluriennale di valore pari a (fino) 70 milioni di Euro, con tasso d’interesse fissato al 2% annuo, ritenuto dall’Ufficio finanziario inferiore al valore normale ai sensi dell’art. 110, comma 7, del Dpr n. 917 del 1982 (ndr art. 110, comma 7, del Dpr n. 917 del 1986) (Tuir, disciplina del transfer pricing). In conseguenza “l’Ufficio … recuperava a tassazione la differenza tra gli interessi attivi contabilizzati e quelli rideterminati in base al valore normale in condizioni di libero mercato” (controric., p. 2).
2. La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma. La CTP, ritenute infondate le difese proposte dalla contribuente, rigettava il ricorso.
3. La P. Srl spiegava appello, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, avverso la pronuncia sfavorevole conseguita dai giudici di primo grado. La CTR confermava la decisione assunta dalla CTP.
4. Ha introdotto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia adottata dalla CTR, la società, affidandosi a tre motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria.
4.1. Ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte il Pubblico Ministero, nella persona del s. Procuratore Generale A.P., ed ha domandato rigettarsi il ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 7, del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir), in cui è incorso il giudice dell’appello, commettendo errori metodologici e sostanziali in materia di valutazione del valore normale del tasso d’interesse applicato in relazione al mutuo concesso alla società estera controllante.
2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la società contesta la nullità della sentenza impugnata perché pronunciata in violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere “il secondo Collegio, attraverso la pronuncia resa, … omesso di valutare qualsiasi elemento emerso nel corso dell’istruttoria tenutasi nei gradi del giudizio di merito” (ric., p. 21).
3. Con il suo terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la violazione dell’art. 39, primo comma, del Dpr n. 600 del 1973, nonché dell’art. 2697 cod. civ., in cui e incorso il giudice del gravame nell’applicazione delle regole che disciplinano il riparto dell’onere probatorio tra le parti.
4. Occorre preliminarmente evidenziare che il difensore della controricorrente ha domandato, in via principale, dichiararsi la cessazione della materia del contendere, in conseguenza dell’estinzione della società ricorrente. In via subordinata ha domandato il rigetto nel merito del ricorso. Osservato che lo stesso esponente segnala che l’estinzione della società avrebbe avuto a verificarsi dopo l’introduzione del ricorso per cassazione, e ricordato che l’ordinaria, e solo possibile, conseguenza processuale dell’estinzione della parte e l’interruzione del processo, deve confermarsi la consolidata, condivisibile ed estensibile, giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo cui “nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso di ufficio, non sono applicabili le comuni cause interruttive previste dalla legge in generale, sicché la cancellazione dal registro delle imprese della società resistente, in data successiva alla proposizione del ricorso ed alla stessa costituzione in giudizio della società, non determina l’interruzione del processo“, Cass. sez. L, 13.2.2014, n. 3323.
5. Tanto premesso, in considerazione della natura della contestazione proposta, appare corretto esaminare per primo il secondo strumento d’impugnazione, mediante il quale la società lamenta la nullità della sentenza della CTR perché “resa senza il conforto di alcun elemento probatorio offerto dalla società ricorrente” (ric., p. 12). In realtà la ricorrente riassume in questo motivo di ricorso quasi tutte le sue critiche, e si duole che la CTR non le abbia accolte. Sulle singole contestazioni si avrà quindi anche occasione di tornare esaminando gli ulteriori mezzi di impugnazione.
5.1. Rimanendo nei limiti della censura di nullità, la società contesta che la CTR avrebbe pronunciato nella sua decisione omettendo di valutare qualsiasi elemento emerso nel corso dell’istruttoria tenutasi nei gradi del giudizio di merito, pronunciando senza prendere in considerazione alcun elemento probatorio offerto dalla società ricorrente, la quale aveva dimostrato che nell’operazione di finanziamento infragruppo in favore di controllante estera non si celava nessun transfer pricing, e non si riscontrava “alcuna antieconomicità”.
5.2. Scrive la CTR che “quanto alla questione centrale della controversia, costituita da un’applicazione del cosiddetto transfer pricing, risulta che, nel caso di specie, è stato applicato un tasso di interesse al finanziamento erogato alla società controllante pari al 2% dell’intero importo, rispetto a quello normalmente praticato del 4,3% previsto dalla Banca d’Italia sulle erogazioni superiori ad un milione di euro”. Le previsioni normative di cui all’art. 110, commi settimo e nono del Tuir, prosegue il giudice del gravame, “legittimano l’Amministrazione finanziaria a rettificare il valore di trasferimento all’interno del medesimo gruppo societario, concernente le transazioni commerciali tra imprese residenti in Stati diversi, quando le stesse siano legate dal rapporto di controllo o collegamento e quando il valore si discosti da quello normale”, e questo comporti “uno spostamento di valore imponibile da Stati ad elevata fiscalità (quali quello italiano) verso territori caratterizzati da una minore pressione fiscale (nel caso di specie il Lussemburgo) … il legislatore ha inteso stabilire, in tema di transfer pricing, una presunzione assoluta di natura ‘sospetta’ di tali operazioni e ciò comporta che le operazioni infragruppo non rispondenti al criterio del ‘valore normale’ sono considerate espressione di arbitraggio fiscale e possono essere rettificate dal fisco . la provata e sostanziale anti economicità di un’operazione rappresenta condizione sufficiente per poter disattendere le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute e procedere alla rideterminazione del reddito. Nel caso di specie tale anti economicità sussiste, ed è stata ampiamente dimostrata dall’Ufficio, in quanto l’erogazione del prestito è avvenuta alla società controllante lussemburghese, praticando un tasso d’interesse inferiore di oltre il 50% rispetto a quello normalmente praticato ed indicato come tasso minimo dalla Banca d’Italia” (sent. CTR, p. III s.).
La motivazione della decisione adottata dalla CTR è quindi chiaramente intellegibile. La CTR, sulla base del corredo probatorio acquisito al giudizio, ha ritenuto dimostrata la antieconomicità del finanziamento, perché concesso dalla società controllata italiana alla controllante estera ad un tasso di interesse fuori mercato.
5.3. Occorre allora evidenziare che questa Corte regolatrice ha già condivisibilmente avuto occasione di chiarire che “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata“, Cass. sez. I, 2.8.2016, n. 16056, esprimendosi principi già richiamati da questa Corte nella sentenza 1°.4.2016, n. 6332, che ha definito controversia relativa all’anno 2005 istaurata tra le stesse parti, ed avente ad oggetto analoghe questioni di fatto e di diritto.
Può quindi rilevarsi che, per assicurare una più ampia analisi che sia anche maggiormente satisfattiva delle aspettative della contribuente, nel prosieguo della decisione, nei limiti in cui è consentito nel giudizio di legittimità, non ci si esimerà dall’esaminare gli elementi offerti dalla parte per fondare le proprie difese.
Il vizio contestato con il secondo motivo di ricorso, in ogni caso, non sussiste, ed il mezzo d’impugnazione deve pertanto essere rigettato.
6. Mediante il primo strumento di impugnazione la contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR in materia di quantificazione del valore normale del tasso d’interesse applicato in relazione al mutuo concesso alla società controllante estera.
Un primo errore avrebbe carattere “metodologico” perché il giudice dell’appello avrebbe ritenuto corretti gli avvisi di accertamento sebbene siano “stati emessi sulla base del mero raffronto tra due dati numerari ossia il tasso di interesse applicato dalla società e pari (al) 2% e quello del 4,3% … senza tenere conto della specificità del caso” (ric., p. 12). Un secondo errore avrebbe carattere “sostanziale”, perché il tasso applicato dall’Ufficio pari al 4,3% non (risulta essere) rispondente al tasso d’interesse previsto dalla Banca d’Italia sulle erogazioni superiori a 1 milione di Euro, che è invece pari al 3,3%” (ibidem).
Mediante il terzo strumento d’impugnazione la società contesta che la CTR avrebbe errato nella ripartizione dell’onere probatorio tra le parti.
Gli strumenti d’impugnazione presentano motivi di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
6.1. Quali elementi caratterizzanti della fattispecie che la ricorrente evidenzia come meritevoli di essere considerati, la P. Srl evidenzia innanzitutto che le somme mutuate provenivano dalla vendita di un immobile, e pertanto era state conseguite “a costo zero” (ric., p. 12, 13, 14). Inoltre, la società ha impiegato la propria liquidità acquisita in modo da realizzare “redditi assolutamente compatibili con il mercato” (ric., p. 15) poiché nel marzo 2005, quando il mutuo è stato concesso, il rendimento dei BOT annuali era pari al 2,211%, il tasso EURIBOR a dodici mesi era pari al 2,03%, ed il tasso di interessi legali era pari al 2,5% (ric., pp. 15, 18).
Per inciso occorre osservare che in questa sede non può comunque prendersi in considerazione il valore del “tasso d’interesse attivo praticato a PDMB dagli istituti di credito”, perché la ricorrente neppure allega come abbia provato la circostanza, oltre ad indicare un tasso “medio”, che non e chiarito come sia stato calcolato, ed a non specificare la durata dei finanziamenti cui si riferisce.
6.2. La CTR ha ritenuto che appare condivisibile la valutazione operata dall’Amministrazione finanziaria secondo cui, in considerazione della necessità di assicurare applicazione alla presunzione legale disciplinata dall’art. 110, comma 7, del Tuir, occorre individuare il ‘valore normale’ della redditività del mutuo. In tal senso ha preso in considerazione il tasso di interesse sui prestiti rilevato dalla Banca d’Italia, più che doppio rispetto al 2% concordato dalla P. Srl con la sua controllante estera, ed ha quindi ritenuto di rettificare il valore del tasso d’interesse relativo al mutuo concesso.
Merita quindi di essere evidenziato come la società contesti che la rilevazione della Banca d’Italia riportava un tasso d’interesse medio dei prestiti pari al 3,3% e non al 4,3%.
6.2.1. Invero sarebbe stato quindi comprensibile che la società, nello sviluppare la propria tesi, domandasse di correggere il tasso contestato riducendolo di un punto, mentre la contribuente ha domandato di ritenere non rettificabile il tasso del 2%, sebbene nella sua stessa prospettazione il tasso medio avrebbe dovuto essere considerato il 3,3%, in base alle rilevazioni della Banca d’Italia, e non risulta pertanto comprensibile l’affermazione della ricorrente secondo cui “il vero tasso d’interesse al quale gli intermediari creditizi concedevano il credito alle imprese in Italia, risulta inequivocabilmente provato che il tasso determinato del 2% per il finanziamento fosse assolutamente in linea con il mercato e rispondente ai canoni normativi di ‘normalità'” (ric., p. 15).
6.3. La ricorrente lamenta, inoltre, che la CTR non avrebbe tenuto conto della peculiarità della fattispecie. Evidenzia al proposito che la società, avendo acquisito liquidità senza sopportare oneri, era perciò disponibile ad effettuare investimenti aventi ridotta redditività. Questo argomento è però privo di fondamento economico, e comunque l’art. 110, comma 7, del Tuir richiede che i tributi siano richiesti sul fondamento della stima del valore normale dei beni ceduti, anche se acquisiti gratuitamente.
6.4. Quanto agli altri argomenti proposti dalla contribuente deve rilevarsi che, come evidenziato dalla controricorrente nel suo atto difensivo, cui la ricorrente non ha replicato, l’avviso di accertamento risultava fondato, oltre che sulla rilevazione della Banca d’Italia, su un parametro decisivo ai fini della stima del valore normale, il tasso d’interesse praticato per analoghe operazioni di finanziamento tra società del medesimo gruppo di quello in esame (oscillante tra il 4 e il 5%) (controric., p. 2, 4, 5, 7). Questo dato di fatto, che la contribuente mostra di avere ben presente (ric., p. 9, prestiti, attivi e passivi, alla VIS Snc ed alla M.A.), non viene poi neppure esaminato nel ricorso, e deve quindi ritenersi senz’altro non contestato, ed appare invero determinante, come evidenziato anche dall’Ente impositore. Così come decisivo risulta anche l’argomento proposto dall’Amministrazione finanziaria secondo cui deve considerarsi improprio il paragone proposto dalla ricorrente tra il tasso di interesse del mutuo concesso ed il rendimento di investimenti della durata di un anno (BOT, EURIBOR, tasso legale d’interesse), perché nel caso di specie il prestito aveva durata comunque molto maggiore, “dal 22/03/2005 al 31/12/2008” (controric., p. 8), ed avrebbe potuto anche raggiungere i dieci anni.
6.5. La CTR, pertanto, ha confrontato gli elementi probatori allegati dalle due parti, ed ha condivisibilmente ritenuto di dover ritenere fondati quelli forniti dall’Amministrazione finanziaria, e non fondati quelli allegati dalla società, ed ha poi indicato quale fondamento del proprio giudizio uno solo dei plurimi elementi assicurati dall’Agenzia delle Entrate, non richiamando espressamente quelli ulteriori allegati dalla contribuente.
6.6. La condivisibile decisione adottata dal giudice dell’appello, deve perciò ritenersi integrata con le osservazioni che precedono.
In definitiva la ricorrente lamenta che non condividere la valutazione sul fatto espressa dalla CTR, ma non è però in grado di dimostrare in che cosa il giudice del gravame abbia sbagliato.
Anche il primo ed il terzo strumento d’impugnazione devono quindi essere rigettati, ed il ricorso deve essere perciò respinto.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della causa.
7.1. Risultano integrati i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, del c.d. doppio contributo.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso introdotto dalla P. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, che condanna al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, e le liquida in complessivi Euro 12.000.00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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