Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’ Abruzzo, sezione n. 2, sentenza n. 90 depositata il 1° febbraio 2023
Ai sensi dell’art. 17-bis, del D. Lgs. n. 546/92, la procedura di reclamo/mediazione deve essere conclusa, a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di novanta giorni dalla data di notifica di quest’ultimo, sicché dalla scadenza di detto periodo riprendono a decorrere i trenta giorni previsti per la costituzione in giudizio davanti alla Corte competente. Se il ricorso viene presentato dopo il decorso dei trenta giorni previsti dalla legge lo stesso è tardivo e, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 22, D. LGS. n. 546/1992.
Testo:
Il primo grado:
Una volta premesso che il suddetto Ufficio gli aveva notificato il provvedimento di irrogazione della sanzione di 800,00 € per insufficiente versamento del C.U.T. nel processo d’appello n. 812/2019, con ricorso ritualmente notificato e depositato, il ricorrente convenne in giudizio il suddetto ente sulla base dei seguenti punti d’insorgenza: Premise che aveva impugnato dinanzi alla Ctp dell’Aquila l’atto di pignoramento presso terzi dell’Ader per asserito omesso pagamento di tributi erariali per il complessivo ammontare di 33.413,34 € dichiarando che il valore della controversia era rappresentato dalla somma oggetto di pignoramento, per cui versava il relativo C.U.T. di 250,00 €. Aggiunse che con la sentenza n. 352/1/2019 la Ctp aveva dichiarato in parte il difetto di giurisdizione, in parte l’inammissibilità, in parte l’incompetenza territoriale, in parte l’estinzione del procedimento e in parte aveva rigettato il ricorso ma che avverso detta sentenza aveva proposto appello dinanzi alla Ctr iscritto al n. 812/19 R.G.A., chiedendo di estendere la declaratoria di estinzione del procedimento a seguito di definizione agevolata anche alle altre cartelle, per cui il valore dichiarato della controversia – limitatamente alle 2 cartelle oggetto di declaratoria d’inammissibilità – ammontava ad euro 2.324,75, per cui veniva versato il corrispondente C.U.T. di 30,00 €. Precisò che la Segreteria della Ctr, con l’invito del 3.12.2019, aveva chiesto la regolarizzazione del pagamento del C.U.T. con l’ulteriore versamento di euro 400,00 € e, a seguito della reiezione della richiesta di autotutela, aveva irrogato la sanzione di causa assumendo che la somma doveva essere correlata a tutti e 7 gli atti impositivi oggetto d’impugnazione ossia 5 cartelle, 1 avviso d’accertamento e 1 atto di pignoramento, per l’ammontare di 430,00 €. Sostenne l’assurdità della richiesta integrativa del C.U.T. atteso che in primo grado era stata versata la somma corretta di 250,00 €, per cui in appello non poteva ragionevolmente richiedersi il versamento per una somma superiore, tenuto conto che, a differenza del valore della controversia di primo grado, in quella di secondo grado il valore era notevolmente diminuito a seguito delle varie declaratorie. Chiarì che la normativa in materia prevede che il valore della controversia si determina in base ai singoli atti impugnati e che, nella specie, era stato impugnato un unico atto, ossia l’atto di pignoramento, e non anche le sottese singole cartelle di pagamento, per cui il valore della controversia andava determinato in base a detto unico atto: con l’appello non era stato chiesto l’annullamento del pignoramento e di altre 6 cartelle, bensì l’estensione della declaratoria di estinzione del procedimento a sole 2 cartelle, cosa ben diversa dalla richiesta di annullamento. Rammentò che la giurisprudenza tributaria era orientata nel senso che non si possa imporre una doppia tassazione su di una pluralità di atti che hanno ad oggetto la stessa pretesa tributaria, in specie quando si tratti dell’impugnazione di un unico atto ( intimazione di pagamento, ipoteca, fermo amministrativo ) che sottende diverse e molteplici cartelle di pagamento e/o ingiunzioni fiscali, posto che il valore della controversia si determina in base all’ammontare della pretesa fiscale azionata con l’unico atto impugnato. Fece presente che la Ctp di Novara, con la sentenza n. 92/2/2019, si era pronunciata sulla questione sostenendo che ” nel caso di specie si tratta tuttavia, propriamente, non tanto di un ricorso cumulativo, ovverosia proposto con un unico ricorso avverso singoli atti di imposizione notificati distintamente che, come tali, avrebbero dovuto essere impugnati con separati ricorsi, quanto piuttosto di impugnazione di un unico atto che presuppone la validità di altri atti precedenti che viene travolta di riflesso: la ricorrente non avrebbe potuto impugnare singolarmente le singole cartelle se non con uno sforzo di fantasia, essendole consentito di impugnare l’unico atto ricevuto, ossia l’intimazione di pagamento ” giurisprudenza confermata dalle sentenze Ctp Mantova n. 283/14; Ctp Roma n. 21459/14; Ctp Bari n. 799/15; Ctr Campania 4468/15; Ctr Lombardia 2212/15; Ctp Milano n. 6647/15 et n. 6883/15; Ctr Umbria n. 590/15. Rilevò poi che con l’appello non era stata impugnata in toto la sentenza di primo grado, in quanto ci si riferiva esclusivamente alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per asserita tardiva impugnazione, di cui al punto 4 della stessa sentenza, con riferimento alle 2 cartelle indicate in sentenza con il numero 0039 e con il numero 586221; declaratoria di inammissibilità che rendeva inoperante la possibilità di definizione agevolata delle suddette 2 cartelle, il cui carico ammontava complessivamente a 2.324,75 € con conseguente congruità del C.U.T. di 30,00 €. Fece notare infine che con l’appello non era stata impugnata alcuna cartella, ma più semplicemente la sentenza di primo grado in punto di inammissibilità riferite alle due citate cartelle, le quali, ancorché anch’esse oggetto di definizione agevolata, erano state ritenute non definibili dal primo giudice in ragione della intempestività dell’impugnazione, posto che, diversamente, avrebbe dovuto dichiararsi anche per esse l’estinzione del procedimento, come, per l’appunto, veniva richiesto con l’atto d’appello in questione. Chiese pertanto l’accoglimento del ricorso a spese vinte. “” Si costituì in giudizio il Ministero rappresentato dal Direttore dell’Ufficio di Segreteria della Ctr per l’Abruzzo, dottoressa D. congiuntamente con il funzionario dello stesso Ufficio dottoressa D., giusta delega prodotta, controargomentando come segue. 1-In via preliminare e pregiudiziale si eccepisce l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 22, D. LGS. n. 546/1992. Fece presente che ai sensi dell’art. 17-bis, del D. Lgs. n. 546/92, la procedura di reclamo/mediazione deve essere conclusa, a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di novanta giorni dalla data di notifica di quest’ultimo, sicché dalla maturazione di detto periodo riprendono a decorrere i trenta giorni previsti per la costituzione in giudizio davanti alla C.T. competente. Rilevò che, nel caso di specie, il ricorrente aveva notificato il reclamo/mediazione il 26.5.2020 eppertanto il termine per la costituzione in giudizio presso la Ctp dell’Aquila scadeva il 26.10.2020 (90 giorni + 30 giorni), primo giorno non festivo mentre il ricorso era stato presentato il 29.10.2020, vale a dire tre giorni dopo la scadenza del termine previsto dalla legge, con conseguente sua tardività ed inammissibilità. 2-Nel merito. Rammentò che l’art. 14, c. 3-bis, del D.P.R. n. 115/2002 dispone che “Nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito”. L’art. 12, c. 5, del D. Lgs. n. 546/1992 (attualmente c. 2, a seguito delle modifiche operate dal D. Lgs. n. 156/2015) precisa che: “Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”. Con specifico riguardo all’impugnazione congiunta di cartelle di pagamento e atto successivo, la giurisprudenza considera tout court “cumulativo” il ricorso in cui viene richiesto espressamente l’annullamento sia delle cartelle presupposte sia del conseguente atto di pignoramento/intimazione (sentenza della Ctp di Napoli n. 21198/2016: cfr. ALLEGATO N. 3) e dello stesso avviso è anche la Ctp di Treviso (sentenza n. 543/2016: cfr. ALLEGATO N. 4), che, muovendo dall’esame dell’atto processuale da cui è scaturito il recupero del CUT, rileva come ciascuno dei tre atti impugnati (due cartelle di pagamento e un’intimazione di pagamento) sia “… individuato con un proprio numero ed una propria data di notifica”.
Nel caso di specie, anche le cartelle di pagamento espressamente elencate, sono state sottoposte alla cognizione del giudice di secondo grado. Evidenziò che già nel corso del 2017 la giurisprudenza tributaria aveva espresso un univoco orientamento in base al quale la “valutazione atomistica dei singoli atti impositivi, ai fini del contributo unificato, non viene meno per il fatto che gli atti, autonomamente impugnabili, siano sotto il profilo procedurale, interdipendenti” (sent. della Ctp di Genova n. 979/2017: cfr. ALLEGATO N. 5) evidenziando inoltre la necessità di far riferimento al petitum valutando se esso è “chiaramente riferito ai singoli atti”, come nel caso di specie, in cui si è fatto espresso riferimento agli “atti presupposti”. Segnalò poi la sentenza n. 85/2019 della Ctr Abruzzo che, in un’analoga fattispecie, aveva stabilito l’obbligo di versamento del CUT in base al valore di lite delle cartelle di pagamento presupposte, oltre che su quello del pignoramento, e precisamente: “ Pertanto, poiché nel caso di specie gli atti impugnati, diversamente da quanto sostenuto dalla CTP, erano l’atto di pignoramento presso terzi e le prodromiche cartelle di pagamento, stante l’espressa richiesta di annullamento delle stesse”.(cfr. ALLEGATO N. 9).
Contestò l’avversa affermazione in base alla quale il pignoramento era l’unico atto impugnato, in quanto la richiesta al giudice era quella di pronunciarsi anche sugli atti prodromici, atteso che, nelle conclusioni dell’appello RGA 812/2019, figurava la richiesta espressa di estendere la declaratoria di estinzione anche alle cartelle e/o avvisi di pagamento sottesi all’atto di pignoramento sicché gli atti impugnati sono, oltre al di pignoramento, anche le cartelle di pagamento. Inoltre nell’appello l’appellante aveva concluso con la richiesta di “ estendersi la declaratoria di estinzione anche a tutte le cartelle e/o avvisi sottesi all’impugnato atto di pignoramento ”. Aggiunse che il giudice di primo grado aveva considerato estinte alcune cartelle/avvisi di accertamento sottesi all’atto di pignoramento, elencati al punto n. 3 della sentenza, in quanto il ricorrente, per quegli specifici atti, aveva aderito alla definizione agevolata. Sulla scorta di tale circostanza, la scrivente segreteria della Commissione aveva dunque assoggettato a CUT, quali atti prodromici, le sole cartelle escluse dalla definizione agevolata (nonché, ovviamente, l’atto di pignoramento, il cui valore lite è stato calcolato omettendo le cartelle/avvisi di pagamento per i quali non era stata richiesta la definizione agevolata). Evidenziò inoltre come nel ricorso/reclamo il ricorrente aveva rappresentato un elemento diverso rispetto all’originario atto di appello, vale a dire che “ l’impugnazione si riferisce esclusivamente alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per asserita tardiva impugnazione, di cui al punto 4 della sentenza con riferimento alle 2 cartelle indicate in sentenza con il numero .0039 e con il numero 586221 ”. Come testualmente riportato, l’avv. T. fa riferimento a “due cartelle”, ingenerando in tal modo confusione, in quanto, a ben vedere, si tratta di due “avvisi di intimazione” (come correttamente qualificate dal giudice di primo grado), che contengono a loro volta uno svariato numero di cartelle e/o avvisi di accertamento e precisamente: 1.intimazione di pagamento n. omissis, sottesa alle cartelle di pagamento: omissis e avviso di accertamento esecutivo omissis; 2.intimazione di pagamento n. omissis, sottesa alle cartelle di pagamento omissis e 3.avvisi di accertamenti n. omissis. Come si evince dal riportato elenco, la seconda intimazione contiene gli stessi atti della prima, nonché ulteriori cartelle e avvisi di accertamento, per un totale di 13 atti (prodromici) che, sommati all’atto di pignoramento, porterebbero a complessivi 14 atti impositivi, tutti da assoggettare a CUT. Chiese la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, nel merito, il suo rigetto a spese di giudizio vinte maggiorate forfettariamente del 50% a titolo di oneri del procedimento di mediazione (art. 15, comma 2- septies, D.Lgs. n. 546/1992). “” Con la sentenza n. 364/3/21 pronunciata il 17.3.2021 la predetta Ctp respinse il ricorso motivando la decisione come segue. Premise che nel processo tributario l’importo da versare a titolo di CUT è computato in riferimento al petitum in ragione degli atti oggetto dell’impugnazione. Ai fini del calcolo deve aversi riguardo all’oggetto della richiesta, e quando l’annullamento si riferisce alla fase dell’intimazione e esecutiva l’importo va computato tenendo conto degli atti presupposti ovvero dell’ammontare complessivo del tributo non versato avuto riguardo ai prodromici avvisi di accertamento. Nel caso di specie gli avvisi di intimazione oggetto dell’impugnazione erano relativi a plurimi avvisi di accertamento (Intimazione di pagamento n. omissis, sottesa alle cartelle di pagamento: omissis e avviso di accertamento esecutivo omissis; intimazione di pagamento n. omissis, sottesa alle cartelle di pagamento omissis). L’importo dovuto in ragione degli atti presupposti sottesi all’esecuzione è stato dunque correttamente calcolato in base alle disposizioni che regolano la materia. Su tale base è stata determinata la sanzione in ragione dell’omesso versamento. La parte soccombente fu condannata a ristorare quella vittoriosa delle spese sostenute per stare in giudizio nella misura di 177,50 €. “” B)L’appello: Ha interposto appello il contribuente in ordine ai seguenti punti di devoluzione:
1-Violazione e/o falsa applicazione dei principi in tema di contributo unificato e relativa normativa – Motivazione illogica e incongrua – Travisamento atti e documenti di causa.
Ha ribadito che il giudizio, per il quale è stato richiesto l’ulteriore versamento del CUT, è un giudizio d’appello nel quale ciò che si impugna è la sentenza e non gli atti impugnati in primo grado in cui era stato impugnato il solo atto di pignoramento e non anche gli atti sottesi con la conseguenza che in appello il valore della causa non può mai aumentare ma semmai diminuire rispetto al valore della causa di primo grado. Ha ammesso che la Ctp aquilana correttamente ha assunto nell’incipit della motivazione ” Nel processo tributario l’importo da versare a titolo di CUT è computato in riferimento al petitum in ragione degli atti oggetto d’impugnazione ” ma si è poi contraddetta nella seconda parte della motivazione nella quale è stato affermato che l’appello ha ad oggetto non solo l’atto di pignoramento ma anche tutte le cartelle sottese. Ha ribadito quindi che il valore della controversia si era notevolmente ridotto in appello, a seguito delle declaratorie del difetto di giurisdizione, di incompetenza territoriale e di estinzione del giudizio (ovviamente riferite alle cartelle sottese al pignoramento), per cui il petitum dell’atto di gravame è ravvisabile semplicemente nella richiesta di estensione della declaratoria di estinzione del giudizio anche alle due rottamate cartelle erroneamente escluse dalla declaratoria, con la conseguenza che il valore della causa d’appello va rapportato all’effettivo valore del petitum, ovvero al credito portato dalle due cartelle di complessivi euro 2.324,75, valore corrispondente a quello dichiarato e al relativo versamento del CUT nella misura di euro 30,00. Circa l’affermazione dei giudici di prime cure in base alla quale l’impugnazione di un atto complesso comporterebbe automaticamente l’impugnazione di tutti gli atti sottesi e presupposti (cartelle, ingiunzioni, avvisi d’accertamento) sicché il C.U.T. andrebbe versato per ciascun atto, ha sostenuto che il ragionamento sarebbe corretto se con l’impugnazione dell’atto di pignoramento si fossero impugnati anche i singoli atti allo stesso sottesi per vizi intrinseci, ma se si impugna solo l’atto di pignoramento e non anche gli atti sottesi deve aversi riguardo al valore dell’unico atto impugnato e non anche al valore o al numero degli atti sottesi non impugnati, tanto è vero che in primo grado era stato versato il CUT di euro 250,00 corrispondente al valore dell’atto di pignoramento, senza alcun rilievo da parte della competente Segreteria. Ha concluso nel senso che, se con l’appello si fosse richiesto l’annullamento in toto dell’impugnata sentenza, il valore della controversia sarebbe stato lo stesso di quello dichiarato in primo grado, ma nell’appello il valore della controversia si era notevolmente ridotto a seguito delle varie declaratorie, per cui il suo valore corrispondeva al petitum sostanziale di euro 2.342,75 essendosi richiesto al giudice del gravame di estendere la declaratoria di estinzione del giudizio anche alle due cartelle rottamate ma erroneamente pretermesse dalla relativa declaratoria, per cui risulta senz’altro congruo e corretto il versamento del CUT nella misura di euro 30,00. Ha chiesto pertanto la riforma dell’impugnata sentenza con condanna di controparte alla rifusione delle spese e competenze del doppio grado di lite. “” Si è costituito l’Ufficio controbattendo come segue e spiegando appello incidentale ex art. 54 del D.Lvo n. 546/92. Circa la supposta violazione dei principi in tema di contributo unificato per motivazione illogica e per travisamento degli atti, ha rammentato che l’eccezione non solo non corrisponde a quanto stabilito dalla legge ma contraddice il petitum stesso dell’appello, in cui è contenuta la specifica richiesta di “rimozione” degli atti con la conseguenza che la fattispecie deve essere ricondotta nell’ambito del ricorso cumulativo, tema su cui si è recentemente pronunciata la suprema Corte con le ordinanze 16283 e 16284 del 2021, affermando che “le singole questioni trattate con un unico ricorso rimangono autonome ed hanno, alla conclusione del giudizio, una loro autonoma definizione, con riferimento specifico all’obbligazione tributaria portata da ciascun atto impugnato che può essere riferita anche a diverse annualità di imposta” e che “… anche in ragione della maggiore complessità del processo, e dell’autonoma statuizione espressa dal giudice tributario, che è tenuto ad esaminare le domande riferite a diversi obblighi tributari del ricorrente in relazione al numero dei provvedimenti impugnati, che si giustifica l’interpretazione offerta dal Dipartimento delle Finanze, con la Direttiva del 14-12-2021 [n.d.r.: 2012] n. 2. Ciò anche laddove gli atti impositivi (es. cartella di pagamento e intimazione di pagamento) possano essere riferiti alla medesima ratio impositiva, ed attinenti al medesimo rapporto giuridico di imposta, tenuto conto che ogni atto impositivo tributario rimane un procedimento formalmente distinto che deve essere rimosso su istanza del privato, pena la definitività nonché che con il ricorso cumulativo si configura “un ampliamento della controversia, riferito a diversi atti impositivi..: atti impositivi che hanno una loro specifica autonomia e che, per non avere effetti, devono essere singolarmente rimossi dal sistema impositivo.” Ha aggiunto che, nel caso di specie, i giudici di primo grado hanno dovuto esaminare ogni singolo rapporto tributario, al fine di dichiarare l’estinzione di alcune delle cartelle contenute nell’atto di pignoramento ed ha evidenziato come l’odierno appellante, al fine di evitare la definitività degli atti impositivi presupposti al pignoramento non oggetto di declaratoria di estinzione dalla CTP, si è rivolto al giudice di secondo grado chiedendo di annullarne gli effetti, come è ben evidente dal petitum: “ confermarsi l’estinzione del giudizio già disposta dal giudice di primo grado per le cartelle e/o avvisi estendersi quindi la declaratoria di estinzione anche a tutte le cartelle e/o avvisi all’impugnato atto di pignoramento”. Ha ribadito che per costante ed unanime giurisprudenza di legittimità, il giudice tributario è investito della cognizione degli atti di esecuzione forzata – id est il pignoramento – solo laddove il contribuente contesti fatti che incidano sulla pretesa tributaria e che riguardino eccezioni relativi alla forma e sostanza degli atti presupposti, mentre il giudice ordinario è competente nel caso in cui si contesti forma e contenuto dell’atto esecutivo (Cass. S.U. 13916/17; Cass. 31090/19; Cass. S.U. 7822/20). Peraltro, qualora l’oggetto della contestazione fosse stato esclusivamente l’atto di pignoramento, ill ricorrente avrebbe dovuto adito il giudice ordinario e non quello tributario.
APPELLO INCIDENTALE
1-Inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 22, D.LGS. n. 546/1992: Omessa pronuncia della sentenza di primo grado. Ha lamentato che i primi giudici hanno omesso di pronunciarsi sul punto dell’eccepita tardività del deposito del ricorso/reclamo ai sensi dell’art. 22 D.lgs. 546/92. Ha fatto presente che, ai sensi dell’art. 17-bis, del D. Lgs. n. 546/92, la procedura di reclamo/mediazione deve essere conclusa, a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di novanta giorni dalla data di notifica di quest’ultimo e che da tale termine riprendono a decorrere i trenta giorni previsti per la costituzione in giudizio davanti alla Ctp competente. Ha evidenziato che, nel caso di specie, il ricorrente, avendo notificato il reclamo/mediazione il 26.5.2020, avrebbe dovuto costituirsi in giudizio presso la Ctp dell’Aquila il 26.10.2020 (90 giorni + 30 giorni), primo giorno non festivo mentre l’avv. T. ha depositato il ricorso in data 29.10.2020, vale a dire tre giorni dopo la scadenza del termine previsto dalla legge e, pertanto, il ricorso era da considerarsi inammissibile perché tardivo. Ha rassegnato pertanto le seguenti conclusioni: -rigettare l’appello, confermando la sentenza n. 364/03/2021 e dichiarare pienamente valido e legittimo l’atto di irrogazione della sanzione prot. n. Prot. n. omissis e l’allegato invito al pagamento, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di giudizio; -in accoglimento dell’appello incidentale, accertata la tardività della costituzione in giudizio del ricorrente, dichiarare l’inammissibilità del ricorso di primo grado ex. art. 22 D.lgs. 546/92 “” All’udienza odierna le parti formalmente presenti hanno illustrato i propri argomenti ed hanno concluso chiedendo rispettivamente l’accoglimento ed il respingimento dell’appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Allo scopo di onorare nel miglior modo l’obbligo di motivazione e di dar quindi doverosa ed esaustiva risposta alle richieste delle parti, è opportuno argomentare preliminarmente circa la questione di maggiore liquidità evidenziata dall’appellante incidentale che ha chiesto l’ “Inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 22, D.LGS. n. 546/1992: Omessa pronuncia della sentenza di primo grado”.
La tesi dell’Ufficio deve essere condivisa una volta tenuto conto che l’appellato in incidentalità non ha interloquito sul punto. Occorre infatti tener conto che il reclamo/mediazione fu presentato il 26.5.2020 e che il computo del termine di 90 gg previsto dall’art. 17 bis del D.Lvo n.546/1992 cominciò a decorrere dal 27.5.2020 e, tenuto conto della sospensione feriale, ebbe scadenza il 27.9.20 con la conseguenza che, ex art. 22 del D.Lvo n. 546/1992, l’appellante avrebbe dovuto costituirsi nei 30 giorni successivi eppertanto entro il 27.10.2020. L’odierno appellante ha depositato l’atto il 29.10.2020 e quindi, essendo detto giorno lavorativo, allorquando il termine era ormai elasso ed incorrendo pertanto nella sanzione di inammissibilità espressamente prevista dal suddetto art. 22. La dichiarata inammissibilità dell’appello impedisce l’accesso al merito. “” Sulla base di dette argomentazioni ed una volta rigettata ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, è stata adottata la sottoindicata decisione.
Dall’applicazione del principio del victus victori previsto dagli artt. 91 e segg. del c.p.c. secondo il quale le spese del giudizio debbono gravare sulla parte che vi ha dato indebitamente inizio o che ha immotivatamente resistito, consegue l’obbligo per la parte soccombente di ristorare quella vittoriosa degli oneri sostenuti per permanere in giudizio, oneri che, sulla base delle note tabelle, si liquidano come da dispositivo una volta tenuto conto in primis del valore economico della controversia, ascendente alla somma esposta in epigrafe, e poi della natura delle questioni giuridiche trattate, delle attività processuali svolte, del pregio delle argomentazioni sviluppate e dell’impegno complessivamente profuso dal funzionario che ha patrocinato l’Ufficio.
P.Q.M.
Accoglie l’appello incidentale rigettando nel resto e dichiara inammissibile il ricorso di primo grado e, per l’effetto, condanna il sig. T.a rifondere al Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento delle Finanze – Ufficio di segreteria della Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo le spese del giudizio che si liquidano in 1.200,00 €, oltre eventuali accessori come per legge.
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