AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 30 del 7 febbraio 2024
Deducibilità dei contributi di previdenza complementare per il lavoratore di prima occupazione – Art. 8, comma 6 del decreto legislativo n. 252 del 2005 e art. 10, comma 1, lett. e-bis), del TUIR
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Istante fa presente che:
l’anno 2013 ha sottoscritto un contratto in Italia come lavoratore subordinato per la durata di 3 settimane, durante le quali ha versato contributi per la previdenza obbligatoria all’INPS senza aderire ad alcuna posizione di previdenza complementare;
dal 2013 al 2018 non ha svolto attività lavorativa;
dal 2018 al 2023 ha lavorato in Austria per 5 anni come lavoratore subordinato, iscrivendosi all’AIRE, versando i contributi di previdenza obbligatoria ed aderendo ad una forma di previdenza complementare in tale Stato;
dal 1° giugno del 2023 ha cominciato a lavorare in Italia come lavoratore subordinato (presso la società ”…..”) aderendo ad un fondo di previdenza complementare in Italia (….) il 5 giugno 2023.
Ciò posto, l’Istante chiede se possa considerarsi un lavoratore di prima occupazione, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 8, comma 6 del d.lgs. n. 252 del 2005 e se, ai medesimi fini, possa far decorrere dall’anno 2023 i primi cinque anni di partecipazione alle forme di previdenza complementare.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene di poter accedere alle disposizioni di cui all’articolo 8, comma 6 del citato d.lgs. n. 252 del 2005 in quanto ha lavorato per la prima volta nell’anno 2013 (e dunque successivamente al 2007) e che i primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari decorrono dal 2023, poiché in tale anno ha aderito, per la prima volta, ad una forma pensionistica complementare italiana.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
L’articolo 10, comma 1, lettera e-bis) del Testo unico delle imposte dirette (di seguito TUIR), approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 stabilisce che si deducono dal reddito complessivo, fino a concorrenza dello stesso, i «contributi versati alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, alle condizioni e nei limiti previsti dall’articolo 8 del medesimo decreto, nonché ai sottoconti italiani di prodotti pensionistici individuali paneuropei (PEPP) di cui al regolamento (UE) 2019/1238, alle condizioni e nei limiti previsti dalle disposizioni nazionali di attuazione del medesimo regolamento. Alle medesime condizioni ed entro gli stessi limiti di cui al primo periodo sono deducibili i contributi versati alle forme pensionistiche complementari istituite negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni e ai sottoconti esteri di prodotti pensionistici individuali paneuropei (PEPP) di cui al regolamento (UE) 2019/1238».
L’articolo 8, comma 4, del citato d.lgs. n. 252 del 2005 prevede che «I contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, sono deducibili, ai sensi dell’articolo 10 del TUIR, dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57; i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono altresì delle medesime agevolazioni contributive di cui all’articolo 16; ai fini del computo del predetto limite di euro 5.164,57 si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all’articolo 105, comma 1, del citato TUIR».
Il successivo comma 6 del medesimo articolo 8 stabilisce che «Ai lavoratori di prima occupazione successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto e, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, è consentito, nei venti anni successivi al quinto anno di partecipazione a tali forme, dedurre dal reddito complessivo contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche e comunque per un importo non superiore a 2.582,29 euro annui».
Come illustrato con la circolare 18 dicembre 2007, n. 70/E, «Tale disposizione ha l’intento di agevolare i soggetti di prima occupazione successiva al 1° gennaio 2007 che, nei primi cinque anni di partecipazione ad una forma di previdenza complementare, hanno effettuato versamenti per un importo inferiore al plafond di 5.164,57 euro, permettendo loro di costituirsi una adeguata prestazione pensionistica complementare.».
Come evidenziato, inoltre, con la risoluzione n. 131/E del 27 dicembre 2011, in linea generale, i contributi versati alle forme pensionistiche complementari eccedenti il predetto limite di euro 5.164,57, non possono essere dedotti dal reddito complessivo relativo al periodo d’imposta in cui sono stati versati né utilizzati nei periodi di imposta successivi.
In deroga a tale criterio di carattere generale interviene il comma 6 del medesimo articolo 8 del d.lgs. n. 252 del 2005 che «risponde alla logica di incentivare l’iscrizione alla forme pensionistiche complementari dei lavoratori di prima occupazione successiva al 1° gennaio 2007, consentendo loro, in caso di versamenti di contributi di importo inferiore al limite di euro 5.164,57 nei primi cinque anni di partecipazione, di conservare l’importo residuo delle deduzioni annuali di cui non si sono avvalsi e di utilizzare il plafond così accumulato entro i venti anni successivi.».
Come chiarito con la citata risoluzione n. 131/E del 2011, la disposizione prevede una prima fase in cui, in ciascuno dei primi cinque anni di partecipazione ad una «forma di previdenza complementare», la differenza tra l’importo dei contributi versati e il limite annuale di euro 5.164,57 non è definitivamente persa, ma contribuisce a formare un «ulteriore plafond di deducibilità», da utilizzare entro i venti anni successivi. Nella seconda fase, il plafond così accumulato può essere utilizzato, a partire dal sesto anno e fino al venticinquesimo anno successivo, per dedurre dal proprio reddito complessivo i contributi versati a forme di previdenza complementare, in aggiunta al limite annuale di euro 5.164,57 e fino a concorrenza di euro 2.582,29 annui (per un totale massimo di euro 7.746,86).
Inoltre, con la citata circolare n. 70/E del 2007, (paragrafo 2.8), è stato chiarito che «Per lavoratori di prima occupazione si devono intendere quei soggetti che alla data di entrata in vigore del decreto non erano titolari di una posizione contributiva aperta presso un qualsiasi ente di previdenza obbligatoria.».
La norma riguarda, dunque, i lavoratori che non risultano essere titolari di una posizione contributiva aperta presso un ente di previdenza obbligatoria al 31 dicembre 2006 e che, dopo essersi iscritti ad una qualsiasi previdenza obbligatoria, partecipano a forme di previdenza complementare, collettiva o individuale.
Al riguardo, si rileva che l’adesione alla previdenza complementare, rilevante ai fini dell’applicazione del citato articolo 8, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005, va riferita a forme di previdenza complementare che consentono la deducibilità dei contributi versati ai fini della determinazione del reddito soggetto a tassazione in Italia.
L’applicazione della norma, infatti, presuppone che il lavoratore sia residente in Italia al momento del versamento dei contributi oggetto di deduzione.
Nel caso in esame, l’Istante ha rappresentato di essere stato assunto come lavoratore subordinato in Italia per la prima volta nell’anno 2013, iscrivendosi alla forma di previdenza obbligatoria presso l’INPS in tale anno, senza, tuttavia, aderire ad alcuna posizione di previdenza complementare.
Trasferitosi nel 2018 in Austria, dove ha lavorato come lavoratore subordinato fino al 2023, si è iscritto alla previdenza obbligatoria e ha aderito ad una forma di previdenza complementare.
Dal 1° giugno del 2023, ha cominciato a lavorare in Italia come lavoratore subordinato, aderendo ad un fondo di previdenza complementare.
Al riguardo si ritiene che, nel presupposto che durante il periodo di permanenza all’estero il contribuente non sia stato fiscalmente residente in Italia, l’«ulteriore plafond di deducibilità» va determinato considerando i primi cinque anni di adesione alla forma pensionistica complementare che consentono all’Istante la deduzione dal reddito complessivo dei contributi versati, ai sensi del citato articolo 10, comma 1, lett. e-bis) del TUIR vale a dire, nel caso di specie, a partire dal 2023.
Resta fermo che l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale implica valutazioni di ordine fattuale non esperibili in sede di risposta alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212. Come precisato nella circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, infatti, il legislatore ha inteso escludere dall’area dell’interpello tutte quelle ipotesi caratterizzate «da una spiccata ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dall’amministrazione finanziaria ma solo in sede di accertamento; si tratta, in altre parole, di tutte quelle fattispecie in cui rileva il mero appuramento del fatto (cd. accertamenti di fatto)».
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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