Norma di comportamento del 1° luglio 2021, n. 214
Detrazione Iva indebitamente applicata per le operazioni escluse, non imponibili ed esenti da Iva
Massima
La detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, se assolta dal cedente o prestatore e al di fuori di ipotesi di frode, deve essere riconosciuta in tutti i casi di errata applicazione dell’imposta, in misura superiore a quella dovuta. Il diritto alla detrazione compete, pertanto, anche se l’operazione è stata erroneamente assoggettata ad imposta pur essendo esclusa, non imponibile o esente da IVA e non solo quando è stata applicata un’aliquota IVA superiore a quella effettiva. Il diritto nazionale che ammette il diritto alla detrazione è conforme alla normativa euro-unionale alla luce dei principi di neutralità, effettività e non discriminazione.
Parimenti, nel caso di errata applicazione dell’IVA, in assenza di contesti di frode e di un danno all’erario, non è legittima l’applicazione della sanzione per indebita detrazione, prevista dall’articolo 6, comma 6, primo periodo, del decreto legislativo 471 del 1997 (90% dell’IVA), in virtù del principio di proporzionalità.
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L’Art. 6, comma 6, secondo periodo, del decreto legislativo 471/97, introdotto dalla L. 205/2017 (d’ora in poi “Art. 6”) dispone che “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e ss. l’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 Euro e 10.000 Euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale” (NOTA 1). La menzionata disposizione è complementare a quanto disposto dall’Art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972 (d’ora in poi “Art. 30 ter”) introdotto dalla L. 167/2017. Tale norma, al comma 2, recita: “Nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”. Per meglio comprendere il collegamento tra le due norme, e tra di esse ed i cardini del funzionamento dell’IVA euro-unionale, merita considerare che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE, l’esercizio del diritto di detrazione è circoscritto alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA e versate in quanto dovute (NOTA 2). In particolare, il diritto di portare in detrazione l’IVA esposta in fattura presuppone l’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile. In termini più espliciti, l’esercizio della detrazione non si estende all’IVA dovuta per il solo fatto e nella misura in cui essa sia stata indicata in fattura (NOTA 3).
In questo quadro, è legittima la legislazione nazionale che consente all’emittente della fattura di chiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata alle autorità fiscali e al cessionario/committente di esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del cedente/prestatore. D’altra parte, la regola della indetraibilità dell’IVA indebitamente applicata deve, però, essere coniugata e contemperata con i principi di neutralità, effettività e non discriminazione. Il tema della violazione di tali principi e, in particolare quello di neutralità, si è posto in quanto la normativa interna prevedeva un disallineamento tra il termine biennale per esercitare il diritto al rimborso da parte del fornitore nei confronti dell’erario (Art. 21 decreto legislativo 546/1992) e quello decennale stabilito per l’azione civilistica di restituzione (Artt. 2033 e 2946, codice civile) azionabile dal cessionario/committente nei confronti del cedente/prestatore.
In termini più espliciti, la lesione del diritto alla detrazione si verifica in concreto in quanto ordinariamente, nella prassi, il termine biennale di decadenza a disposizione del fornitore per chiedere il rimborso all’erario, è già spirato nel momento in cui viene accertata l’IVA indebitamente applicata. Inoltre, nel momento in cui è accertata l’IVA indebitamente applicata non è ancora decorso il termine decennale di prescrizione a disposizione del cliente per l’azione di ripetizione nei confronti del fornitore. In questa situazione, il cedente o prestatore si trovava ordinariamente a dover restituire l’IVA indebitamente applicata in fattura al cessionario o committente senza poter più recuperare l’imposta tramite l’istanza di rimborso all’erario, essendo nel frattempo decorso il termine biennale, ex Art. 21 decreto legislativo 546/1992.
Ciò premesso, nei casi in cui il diritto al rimborso dell’IVA sia impossibile o eccessivamente oneroso, in ossequio al principio di effettività e neutralità, la Corte di Giustizia UE ha richiesto agli Stati membri di prevedere gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata (NOTA 4). In questo quadro, sia l’Art. 30 ter, sia l’Art. 6, si pongono come norme introdotte al fine di garantire la neutralità dell’IVA indebitamente applicata, ove sia accertato che non siano configurabili perdite erariali in considerazione del fatto che è dimostrato che l’imposta sia stata assolta dal cedente o prestatore. In riferimento al concetto di imposta assolta si deve ritenere tale quella che è stata addebitata in fattura ed è confluita nelle liquidazioni periodiche (NOTA 5). In particolare, l’Art. 30 ter fa decorrere il diritto alla detrazione dal momento in cui l’IVA è stata restituita al cessionario o committente, risolvendo in tal modo anche il problema del disallineamento temporale fra i termini per la presentazione dell’istanza di rimborso in capo al cedente o prestatore (2 anni) e quelli per la richiesta dell’indebito esercitabili dal cessionario o committente (10 anni).
Ciò premesso, l’attivazione della procedura del rimborso non appare coerente con un altro principio fissato dalla Giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in tema di IVA indebitamente applicata: il principio di effettività.
Infatti, l’attivazione della procedura prevista dall’Art. 30 ter è subordinata alla circostanza che si sia resa definitiva una attività di accertamento in capo al cessionario o committente, e questo potrebbe comportare un iter molto lungo ed oneroso. Inoltre, la norma presuppone una collaborazione tra cedente o prestatore, da una parte, e cessionario o committente, dall’altra, cooperazione che potrebbe, invero, mancare anche per il possibile dissolvimento del cedente o prestatore. L’effettività può essere ulteriormente compromessa, considerando che le indicazioni della Corte di Giustizia UE sono applicate in termini particolarmente rigorosi nel contesto domestico. Infatti, secondo le indicazioni della Corte di Cassazione l’istanza di rimborso all’erario da parte del cedente o prestatore sarebbe condizionata a un precedente provvedimento coattivo che disponga il pagamento a favore del cessionario o committente (NOTA 6). Secondo questo orientamento interpretativo, la procedura di rimborso non potrebbe essere attivata in caso di restituzione spontanea al cessionario o committente dell’importo dell’IVA indebitamente applicata in fattura. In questo contesto, l’Art. 6 supplisce alle carenze dell’Art. 30 ter in riferimento alla piena applicazione del principio di effettività, sicché le due norme sopracitate sono congiuntamente rivolte a realizzare l’adesione ai principi indicati dalla giurisprudenza nella Corte di giustizia UE e sono, pertanto, conformi al diritto dell’Unione. Peraltro, anche laddove si dubitasse della conformità delle disposizioni domestiche a quelle euro-unionali, lo Stato membro non potrebbe pretendere dai cittadini l’applicazione delle disposizioni non correttamente recepite (NOTA 7).
Chiarita la collocazione dell’Art. 6 nell’ambito dei principi euro-unionali, un’altra questione riguarda l’ambito applicativo. Il presupposto della norma menzionata ricalca quello dell’Art. 30 ter pur con una diversa sfumatura, vale a dire “applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva” nel caso dell’Art. 6 e “applicazione di un’imposta non dovuta” nel caso dell’Art. 30 ter. La diversa formulazione non deve indurre a ritenere che i due presupposti siano tra loro diversi. L’Art. 6, infatti, colma una lacuna dell’Art. 30 ter e consente al destinatario della fattura di eliminare l’indetraibilità dell’imposta e le sanzioni proporzionali nei casi in cui l’Art. 30 ter non possa essere applicato, ovvero la sua applicazione risulti eccessivamente onerosa. Sarebbe quindi illogico applicare la norma rimediale e complementare a fattispecie diverse e più limitate perché, così operando, si otterrebbe un’ingiustificata disparità tra contribuenti che si trovano in posizioni del tutto simili, non si otterrebbe l’effetto che la norma domestica ha inteso garantire e quindi si tornerebbe a violare i principi ripetutamente affermati dalla Corte di Giustizia e che il legislatore italiano ha inteso recepire (NOTA 8). Condizione, comune alle due ipotesi, è che l’operazione non deve avvenire in un contesto di frode fiscale, in tal modo la restituzione sia in forma di rimborso sia in forma di maggiore detrazione garantisce che non si verifichi un ingiustificato arricchimento dell’erario.
Ulteriore condizione (implicita nell’Art. 30-ter ed esplicita nell’Art. 6, comma 6) è che l’imposta indebita sia stata assolta dal debitore d’imposta. Altre condizioni non sono previste, pertanto il recupero dell’imposta mediante rimborso o detrazione non può essere subordinato alla circostanza che l’operazione sia effettivamente in campo IVA, né che sia sottoposta ad un particolare regime. A supporto dell’interpretazione proposta, soccorre la fattispecie di cui all’Art. 6, comma 9-bis 3, del decreto legislativo 471/1997, che fa salvo il diritto alla detrazione per il cessionario o committente che applica erroneamente il regime del “reverse charge” per le operazioni non soggette, non imponibili o esenti da Iva. In caso di erroneo assoggettamento a IVA di un’operazione che rientra nell’inversione contabile, la norma da ultimo citata non contempla l’ipotesi di una indebita detrazione, in sede di accertamento, ma solo l’espunzione del debito e del credito nella liquidazione Iva di riferimento. Il richiamo al comma 9-bis 3 si può ritenere pertinente in considerazione del fatto che l’assolvimento dell’imposta tramite inversione contabile è del tutto assimilabile, sotto un profilo sostanziale, a quella del versamento dell’Iva esposta in fattura, secondo le modalità ordinarie. Dunque, l’espressione “in misura superiore a quella effettiva” deve essere intesa nel senso di ricomprendere tutte le ipotesi in cui l’IVA sia stata indebitamente applicata, comprese quelle in cui le operazioni avrebbero dovuto essere considerate escluse, non imponibili o esenti da IVA (NOTA 9).
Ove l’ambito di applicazione del citato Art. 6 fosse limitato alle ipotesi di errori di aliquota, si realizzerebbe, pertanto, una illegittima e ingiustificabile discriminazione di situazioni sostanzialmente identiche. La necessità di garantire il diritto alla detrazione dell’IVA, in ossequio al principio di neutralità, sorge in maniera del tutto analoga sia nel caso di errori di aliquota, sia nelle ipotesi in cui l’operazione esclusa, non imponibile o esente sia stata erroneamente assoggettata IVA. L’interpretazione restrittiva si porrebbe in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dalla giurisprudenza euro-unionale e con l’articolo 3 della Costituzione, da cui deriva come necessario corollario, il divieto di trattare differentemente situazioni sostanzialmente identiche. Infine, l’applicazione dell’Art. 6, in tutti i casi di applicazione di imposte non dovute, si rende necessario nell’ambito delle sanzioni applicabili, per rispettare il principio di proporzionalità, ossia per evitare che il destinatario della fattura che in buona fede abbia detratto l’imposta indicata in fattura e versata dal fornitore, sia punito con la sanzione pari al 90% dell’imposta indebitamente detratta, come altrimenti previsto dall’Art. 6 comma 6, primo periodo, del Decreto Legislativo 471 del 1997. A questo proposito l’Art. 273 della Direttiva 112/06/UE consente agli Stati membri di stabilire altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni ma, secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia questi obblighi sono incompatibili con un sistema sanzionatorio automatico che si applichi indifferentemente ad una situazione in cui l’IVA indebitamente applicata deriva da un errore che non ha comportato danni all’erario, in assenza di indizi di frode, e in altri casi in cui non ricorrono queste circostanze (NOTA 10).
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(1) L’Art. 6, comma 3 bis, del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 ha espressamente sancito la portata retroattiva della norma. L’efficacia retroattiva era stata negata dalla Corte di Cassazione (Cassazione, sentenza n. 24001/2018).
(2) Corte di Giustizia UE, sentenza 13 dicembre 1989, in causa C-342/87, Genius Holding, p.to 13; sentenza 19 settembre 2000, in causa C-454/98, Schmeink &, Cofreth AG &, Co. KG; Cofreth e Strobel, p.to 53; sentenza 6 novembre 2003, in cause riunite C-78/02, C-79/02 e C-80/02, Karageorgou e altri, p.to 50; sentenza 15 marzo 2007, in causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, p.to 23
(3) Corte di giustizia UE, sentenza 31 gennaio 2013, in causa C-643/11, LVK-56 EOOD, p.ti 34 ss.; sentenza 15 marzo 2007, cit., p.to 23; sentenza 26 maggio 2005, in causa C-536/03, Antonio Jorge, p.ti 24 e 25; sentenza 13 dicembre 1989, cit., p.ti 13 e 19. In senso conforme Cass. n. 15068 del 17/06/2013; Cass. n. 12146 del 26/05/2009; Cass. n. 11110 del 16/07/2003; Cass. n. 8959 del 05/06/2003; Cass. n. 4419 del 26/03/2003; Cass. n. 12756 del 02/09/2002; Cass. n. 8786 del 27/06/2001
(4) Corte di Giustizia UE,sentenza del 2 luglio 2020, Terracult, C-835/18 punto 29, sentenza 11 aprile 2013, Rusedespred C-138/12, EU:C:2013:233, punto 25, sentenza 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 40) e, in tal senso e per analogia, sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C-35/05, EU:C:2007:167, punto 41).
(5) In relazione al concetto di “imposta assolta” contenuto nell’Art. 6, comma 6, decreto legislativo 471/97, la circolare Guardia di Finanza 13.4.2018 n. 114153 richiama la circolare Agenzia delle entrate n. 16/E in data 11 maggio 2017 che ha chiarito che per imposta assolta si intende “l’avvenuta registrazione, di cui all’articolo 23 del d.P.R. n. 633 del 1972, con conseguente confluenza nella liquidazione di competenza”.
(6) Corte di Cassazione, sentenze del 26 gennaio 2016, n. 1426; Id. 24 febbraio 2015, n. 3627; Id. 10 dicembre 2014, n. 25988; Id. 15 marzo 2013, n. 6605; Id. 20 luglio 2012, n. 12666.
(7) Mentre nel caso contrario non vi è reciprocità, ex pluris Corte di Giustizia 26 febbraio 1986, causa C-152/84, 8 ottobre 1987, causa C-80/86, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C 9/90, 26 settembre 1996, causa C-168/95, e 30 marzo 2006, causa C-184/04.
(8) Cfr. giurisprudenza citata in nota 4
(9) In senso contrario Corte di Cassazione, sentenza del 3/11/2020 n. 24289: “il D.Lgs. n. 471 del 1997, citato Art. 6, comma 6, come chiaramente si evince dal tenore letterale della richiamata disposizione, trova applicazione solo in relazione alle operazioni imponibili, allorquando sia stata corrisposta l’IVA in base ad un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta e non anche con riferimento alle ipotesi – una delle quali ricorrente nella fattispecie – di operazioni non imponibili”. Risultano anche sentenze di merito che negano la detrazione per le operazioni esenti (C.T. Prov. Milano 3.12.2018 n. 5497/10/18, C.T. II grado Trento 28.2.2019 n. 20/1/19) e per quelle escluse (C.T. Reg. Milano 13.9.2019 n. 3483/21/19). Ancora più drastica sul punto è Cass. 10439/2021. In tale arresto la Corte ha ritenuto che l’importo dell’imposta detraibile in applicazione dell’Art. 6 comma 6 del D.Lgsl. 471 è limitata a quella effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione posta in essere e non a quella complessivamente fatturata.
(10) La Corte UE con sentenza del 15 aprile 2021 (causa C-935/19) Grupa Warzywna Sp. z o.o., ha giudicato non conforme al diritto UE una sanzione pari al dell’imposta detratta da una società polacca per l’acquisto di un immobile che avrebbe dovuto essere fatturato in esenzione, sul presupposto che è incompatibile con il diritto UE un sistema sanzionatorio automatico che si applichi indifferentemente “a una situazione in cui la sopravvalutazione dell’importo dell’eccedenza di IVA risulta da un errore di valutazione commesso dalle parti dell’operazione quanto alla natura imponibile di quest’ultima, che è caratterizzata dall’assenza di indizi di frode e che, inoltre, secondo tale giudice, non ha dato luogo ad alcuna perdita di gettito fiscale, e a una situazione in cui non sussistano tali circostanze particolari che, secondo tale giudice, meritino di essere prese in considerazione”.. Cfr. anche CTR Lombardia 2270 del 15 giugno 2021
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