Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, sezione 9, sentenza n. 748 depositata l’ 11 marzo 2020
Il diritto alla difesa non costituisce una prerogativa assoluta ma può soggiacere a restrizioni corrispondenti ad obiettivi di interesse generale quali il recupero tempestivo dell’entrata e l’efficacia dell’attività di controllo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La E. s.r.l. con bolletta doganale emessa dalla già Circoscrizione doganale di Milano I, ha importato un quantitativo di tessuti di cotone di origine e provenienza bulgara.
L’importazione è avvenuta senza applicazione dell’IVA, dietro presentazione della lettera d’intento n. X del YY.03.2004 emessa dall’importatore E. S.r.l., ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c) del DPR n.633/72.
Le formalità doganali d’importazione sono state curate dal signor F. B., nella sua qualità di spedizioniere doganale, secondo le modalità della rappresentanza diretta, ai sensi dell’art. 5 del Reg. CEE n. 2913/1992 (Codice Doganale Comunitario, nel seguito “CDC”) e dell’art. 40, comma 2, del DPR n. 43/1973 (Testo Unico delle Leggi Doganali, nel seguito “TULD”).
Successivamente, con processo verbale di revisione di accertamento in data 9.01.2007, la Circoscrizione doganale di Milano I, ritenendo insussistenti i requisiti per la concessione del beneficio della sospensione dell’IVA in capo alla società E.. S.r.l., ha nuovamente proceduto alla liquidazione i diritti doganali dovuti, nella specie soltanto dell’IVA.
Per effetto di ciò, l’Ufficio ha notificato alla riferita società E. S.r.l., nonché alla società B. S. S.r.l., ritenuta solidalmente responsabile, l’avviso di rettifica dell’accertamento impugnato col quale è stato richiesto il pagamento della somma di euro. 4.201,30 per IVA e di euro 709,40 per interessi.
Il giudizio di primo grado.
Ritenendolo illegittimo, la Società B. S. impugnava l’avviso di rettifica accertamento proponendo ricorso per i seguenti motivi:
1. per mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12, c. 7, legge n. 212/2000;
2. per assoluto difetto di motivazione;
3. per infondatezza della pretesa tributaria.
L’Ufficio si costituiva in giudizio con proprie controdeduzioni.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano con sentenza n. 408/04/07 del 5.12.2007 rigettava il ricorso della Società con spese compensate.
I motivi della decisione erano i seguenti.
La ricorrente eccepisce in via preliminare la nullità dell’avviso per violazione dell’art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000 (statuto del contribuente).
In particolare, il verbale di revisione dell’accertamento, redatto in data 9 gennaio 2007 a conclusione della verifica effettuata dall’ufficio, e l’avviso di rettifica, redatto in data 23 gennaio 2007, sono stati entrambi contestualmente notificati alla ricorrente in data 24 gennaio 2007.
Tale circostanza ha impedito alla ricorrente di esercitare il proprio diritto di prendere posizione sulle contestazioni avanzate dall’ufficio con il processo verbale di revisione dell’accertamento, prima che queste si tramutassero in un atto impositivo.
In secondo luogo, la ricorrente eccepisce la nullità dell’avviso di accertamento per assoluto difetto di motivazione.
Infine, nel merito, ritiene l’atto illegittimo per infondatezza della pretesa tributaria.
Dall’esame della dichiarazione doganale relativa all’operazione oggetto del provvedimento impugnato, emerge che la Società B. S. srl figura menzionata esclusivamente alla casella 50 – obbligato principale, ove è riportato che lo sdoganamento avverrà a cura della medesima che si impegna in solido con l’intestatario della bolla doganale al pagamento dei diritti liquidati.
In realtà, la società B. S. srl non è affatto intervenuta nelle operazioni di sdoganamento, essendo esse avvenute a cura dello spedizioniere doganale Signor B. F..
La ricorrente è intervenuta nell’ operazione d’importazione esclusivamente quale soggetto titolare del conto di debito da impegnare per il pagamento dei diritti doganali liquidati in sede di dichiarazione doganale, nel caso di specie pari a zero.
L’Ufficio, nelle proprie controdeduzioni insiste nel rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di giudizio.
La Commissione, esaminati gli atti, ritiene di dover respingere il ricorso, in quanto il contribuente, sottoscrivendo il documento, si dichiara responsabile solidale senza averne l’obbligo.
Il giudizio di secondo grado,
La Società impugnava la riferita pronuncia dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, eccependo:
1. la nullità della sentenza per violazione dei doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c. per non avere la sentenza esaminato le questioni sollevate con i primi due motivi di ricorso;
2. la nullità della sentenza per carenza di motivazione;
3. l’erroneità della sentenza per non avere riconosciuto l’infondatezza della pretesa tributaria.
L’Ufficio si costituiva in giudizio con proprie controdeduzioni.
La Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia con sentenza n. 144/07/2010, in accoglimento dell’appello della Società, riformava la sentenza di primo Grado annullando l’avviso di rettifica dell’accertamento per violazione dell’art. 12, c. 7, legge n. 212/2000, non essendo stato rispettato il termine dilatorio di 60 giorni che devono necessariamente intercorrere tra la consegna del verbale di verifica e la notifica dell’atto di accertamento.
I motivi della decisione sono i seguenti.
2.1. L’appello della Società contribuente è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
2.2. Deve essere condivisa la tesi della Società ricorrente secondo cui la ratio legis dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente) va ravvisata nella volontà del legislatore di instaurare un contraddittorio con il contribuente, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, anche al fine di limitare per quanto possibile il contenzioso; e ciò indipendentemente dal tipo di verifica fiscale eseguita.
Diversamente opinando si avrebbe l’effetto di discriminare irragionevolmente la posizione del contribuente sottoposto a verifica fiscale presso l’Ufficio da quello sottoposto a verifica fiscale presso la sede della propria attività, al quale verrebbero riconosciute maggiori possibilità di difesa o comunque maggiori garanzie, con violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), considerata inoltre la discrezionalità dell’Ufficio in ordine alla scelta del tipo di verifica (a tavolino o mediante accesso presso il contribuente) da effettuare.
2-3. Quanto sopra trova, altresì, conferma nei principi giuridici generali, affermati dalla Corte di Giustizia Europea e negli elementi d’interpretazione forniti al Giudice nazionale (di rinvio) in ordine alla compatibilità della normativa nazionale con i diritti fondamentali garantiti dalla stessa Corte, quando una normativa nazionale rientra, come nel caso di specie, nella sfera di applicazione del diritto comunitario.
2.4. La Corte di Giustizia (cfr. sentenza C-349/07) ha avuto modo di affermare il principio secondo cui “… i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente. La Corte prosegue affermando il principio generale secondo cui la regola affermata opera anche se la normativa nazionale o comunitaria applicabile al caso concreto non detti espressamente alcun precetto al riguardo.
2.5. L’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 pone a carico dell’Ufficio, in sede di verifica fiscale, l’obbligo di trasmettere al termine della stessa verifica il processo verbale di revisione dell’accertamento, nonché l’obbligo di attendere, di norma il termine di 60 giorni prima di emettere l’avviso di accertamento, al fine di consentire al contribuente l’esercizio del diritto di proporre osservazioni e richieste, di cui l’Ufficio dovrà necessariamente tenere conto in sede di motivazione dell’avviso stesso.
2.6. Considerato quindi che il verbale di revisione dell’accertamento è stato redatto in data 9 gennaio 2007 (a conclusione della verifica effettuata dall’Ufficio) e che l’avviso di rettifica è stato redatto in data 23 gennaio 2007 e che entrambi gli atti sono stati contestualmente notificati in data 24 gennaio 2007, va rilevata la nullità -ab origine- del provvedimento impugnato, per carenza del potere di emettere l’avviso da parte dell’Ente impositore.
2. 7. Le restanti questioni restano necessariamente assorbite.
2.8. Le imposte eventualmente corrisposte dall’appellante Società, in pendenza del giudizio, devono essere restituite con gli interessi di legge.
2.7. La natura della controversia e le questioni trattate giustificano la compensazione delle spese di lite.
Il giudizio davanti alla Corte di Cassazione.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli impugnava la sentenza della Commissione Tributaria Regionale proponendo ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, c. 7, legge n. 212/2000.
Resisteva la Società con controricorso.
La decisione della Corte di Cassazione.
… omissis … Contro questa sentenza (ndr della CTR) propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a un unico motivo, che illustra con memoria, cui la società replica con controricorso.
Il giudizio proviene da rinvio a nuovo ruolo, determinato dall’attesa della decisione della Corte di giustizia alla quale con ordinanza n. 9278/16 questa Corte aveva proposto una questione pregiudiziale concernente l’osservanza del principio del contraddittorio nel procedimento doganale. Intervenuta la sentenza, la causa è stata fissata per l’odierna adunanza.
Ragioni della decisione.
1.- Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 12, l. n. 212/00 e dell’art. 11 del d.lgs. n. 374/90, nonché dei principi generali sul contraddittorio.
Il motivo è fondato.
Pacifico tra le parti è che la pretesa impositiva dell’Agenzia sia derivata da una revisione dell’accertamento di dichiarazione doganale.
2. – Al riguardo, questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di avvisi di rettifica emanati in esito a revisioni di accertamenti doganali, è inapplicabile l’art. 12, 7° comma, l. 20 luglio 2000 n. 212, perché in tale ambito opera il ius speciale regolato dall’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990 n. 374, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto alla impugnazione in giudizio del suddetto avviso.
E ciò in quanto:
a) i commi 5°, 7° e 8° dell’art. 11 del d.lgs. n. 374/90, nel testo vigente ratione temporis, che è anteriore rispetto alla novella che l’ha integrato nel 2012, prevedevano che, quando dalla revisione, eseguita sia d’ufficio, sia su istanza di parte, fossero emerse inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, «l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso» di rettifica motivato;
b) entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica e in tal caso è redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale «ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dall’articolo 66 ss. del TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43»;
c) il procedimento amministrativo in questione era preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, indicando le opportune prove, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica.
2.1.- La specialità della disciplina in materia doganale trova conferma nella normativa sopravvenuta (d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con l. 24 marzo 2012 n. 27), la quale, nel disporre che gli accertamenti in materia doganale sono disciplinati in via esclusiva dall’art. 11 del d.lgs. n. 374 cit., ha introdotto un meccanismo di contraddittorio vicino a quello previsto dallo statuto dei diritti del contribuente (tra varie, Cass. 2 luglio 2014, n. 15032 e 5 aprile 2013, n. 8399).
3.- La Corte di giustizia, con sentenza 20 dicembre 2017, causa C-276/16, P. I., ha promosso la normativa italiana, nella versione, antecedente alla novella del 2012, che è quella applicabile anche nel caso in questione nell’odierno giudizio e che, si è visto, non scandiva direttamente la fase procedimentale, lasciando all’iniziativa del contribuente la contestazione della rettifica idonea a instaurare l’interlocuzione con l’Amministrazione.
La Corte ha difatti stabilito che «Il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’articolo 244 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione dell’articolo 244, secondo comma, di detto regolamento da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato».
4.- Giustappunto con riguardo a un avviso di rettifica adottato dall’autorità doganale, la Corte europea ha sottolineato che il principio generale del diritto dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa non si configura come una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, purché esse rispondano a obiettivi di interesse generale e siano rispetto a questi proporzionate.
E, nel caso in esame, la Corte ha ravvisato l’interesse generale prevalente in quello dell’Unione a recuperare tempestivamente le proprie entrate, che richiede rapidità ed efficacia dell’attività di controllo.
Ed è sempre tale interesse generale, ha soggiunto, a giustificare la mancanza di automatismo della sospensione dell’esecuzione dell’avviso qualora esso sia impugnato.
5.- D’altronde, l’art. 245 del codice doganale comunitario (reg. n. 2913/92, applicabile ratione temporis) rinvia per questi aspetti al diritto nazionale, là dove stabilisce «le norme di attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri», nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (in termini, da ultimo, Cass., ord. 23 maggio 2018, n. 12832, in adesione alla giurisprudenza unionale sul punto).
6.- A ogni modo, con riguardo alla versione dell’art. 11 del d.lgs. n. 374/90 anteriore alla novella, che « … non impone all’amministrazione che procede ai controlli doganali l’obbligo di ascoltare i destinatari degli avvisi di rettifica dell’accertamento prima di procedere alla revisione degli accertamenti ed alla loro eventuale rettifica» (punto 48), a chiusura la Corte ha ribadito che, in virtù del principio di strumentalità delle forme, la violazione del diritto di essere ascoltati determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso.
5. – Di contro, nel caso in esame, non emerge violazione alcuna nel corso della fase endoprocedimentale.
6. – La sentenza va quindi cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione per l’esame delle questioni rimaste assorbite, delle quali danno conto sia la sentenza, sia ambo le parti.
Per questi motivi accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
Ricorso per riassunzione
La Corte ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia n. 144/07/2010, con rinvio, anche per le spese, affinché siano esaminate tutte le questioni rimaste assorbite nel precedente grado di appello.
Per effetto di quanto disposto dalla Suprema Corte, il thema decidendum demandato alla piena cognizione del giudice di merito risulta tassativamente circoscritto alle seguenti due questioni:
A – Illegittimità dell’avviso di rettifica dell’accertamento impugnato per assoluto difetto di motivazione;
B – Illegittimità dell’avviso di rettifica dell’accertamento impugnato per infondatezza della pretesa tributaria.
La Società riassume la controversia sulla base dei seguenti motivi:
1. In via preliminare, nullità dell’avviso di accertamento impugnato per assoluto difetto di motivazione.
2. Nel merito, illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato attesa l’infondatezza della pretesa tributaria.
L’Ufficio si costituisce in giudizio con proprie controdeduzioni.
Il ricorso per riassunzione è discusso in pubblica udienza.
MOTIVAZIONE
Succinta esposizione delle ragioni di fatto e dei motivi di diritto della decisione – ex art. 36, c. 2, n. 4, d.lgs.546/92
Con il primo motivo, la società sostiene che l’atto impugnato si palesa affetto da assoluta carenza di motivazione. In particolare, che “la lettura dell’atto non consente di comprendere quali siano le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la pretesa dell’Ufficio”. Aggiunge dunque che “manca l’indicazione delle ragioni e delle norme in base alle quali l’odierna ricorrente, che non ha curato la presentazione della dichiarazione doganale d’importazione ed è soggetto diverso dallo spedizioniere doganale F. B., debba essere considerata solidalmente obbligata al pagamento della maggiore IVA accertata a carico della società importatrice S.r.l.”
Il motivo è infondato.
Dalla documentazione in atti, si evince che la revisione di accertamento de qua trae origine dalle risultanze dell’indagine effettuata dal Servizio Antifrode della Dogana di Como, che invitava gli uffici competenti a procedere al recupero dei maggiori diritti dovuti, ed era stata richiamata sia nella revisione dell’accertamento, sia nell’avviso di rettifica dell’accertamento al quale sono stati allegati tutti gli atti del procedimento.
La Suprema Corte, secondo un indirizzo consolidato, si è pronunciata in merito alla legittimità della motivazione per relationem (art. 11 comma 5 del D.Lgs. n. 374/1990, art. 3 comma 3 della L. 241/1990 e infine L. 212/2000). Si richiama, ex multis, la recentissima Sez. 5 – , Sentenza n. 29968 del 19/11/2019 che stabilisce: “In tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza.”
Questa Commissione, ribadendo quanto già osservato dai giudici di prime cure, osserva che la riassumente era ben a conoscenza degli atti che hanno formato oggetto del provvedimento impugnato. Infatti, dalla documentazione emerge che la società B. S. S.r.l. figura menzionata esclusivamente alla casella – obbligato principale ove è riportato che “lo sdoganamento avverrà a cura della medesima che si impegna in solido con l’intestatario della bolletta doganale al pagamento dei diritti liquidati”. La società B. S. srl è intervenuta nell’operazione d’importazione esclusivamente quale soggetto titolare del conto di debito da impegnare per il pagamento dei diritti doganali liquidati.
In definitiva non sussiste il difetto di motivazione tant’è che la società ha potuto svolgere il proprio diritto di difesa senza limitazioni o restrizioni.
Con il secondo motivo, nel merito, la riassumente eccepisce l’illegittimità dell’Avviso di accertamento impugnato. attesa l’infondatezza della pretesa tributaria.
La società afferma in proposito “come illustrato in precedenza, solo costituendosi nel giudizio di primo grado l’Ufficio ha rilevato di voler far discendere la responsabilità della Società dalla circostanza che essa risulta menzionata nel DAU alla casella “50/obbligato principale”, ove è stato sottoscritto un impegno, in solido con l’intestatario della bolla doganale, al pagamento dei diritti liquidati”; spiega dunque che secondo le istruzioni del formulario unico comunitario emerge che la compilazione della casella “50” non è affatto prevista e che a coloro che effettuano operazioni
doganali con carattere di continuità è concesso di ottenere la liberazione delle merci senza il preventivo pagamento dei diritti liquidati, purché venga acceso un conto di debito presso la dogana interessata. La società aggiunge dunque che nessuna responsabilità è attribuibile alla B. S. S.r.l. nel senso che “il titolare del conto di debito non è mai responsabile anche in relazione ai maggiori diritti
successivamente ed eventualmente accertati, come preteso dall’Ufficio, che pertanto sono e restano esclusivamente a carico dell’importatore E. che ha indebitamente emesso la dichiarazione d’intento”. Giunge poi alla conclusione che, poiché nel caso di specie dalla bolletta doganale non emergeva alcun importo da pagare “non vi era neppure ragione di impegnare un conto debito” e dunque l’avviso era da considerarsi illegittimo per infondatezza della pretesa tributaria.
Per contro, l’Ufficio sostiene che l’indicazione di un soggetto terzo rispetto all’operazione doganale sta a significare che questi ha coscientemente deciso di impegnarsi in solido, garantendo l’obbligazione doganale sorta in capo all’importatore.
Il motivo è infondato.
La disposizione dell’art. 213 del CDC – ratione temporis – recita: “quando per una medesima obbligazione doganale esistono più debitori, essi sono tenuti al pagamento dell’obbligazione in solido”. Il campo 50 infatti è utilizzato proprio per indicare il soggetto “obbligato principale” che è dunque tenuto in solido con l’importatore al pagamento di qualsiasi tipo di “imposizione di confine” (quindi anche l’IVA). Con il pagamento periodico l’Agenzia delle Dogane consente agli operatori abituali di effettuare il pagamento dei diritti a intervalli di tempo prestabiliti, eventualmente con richiesta di garanzia.
Venendo al caso di specie l’impegno di solidarietà è stato firmato dal Sig. B. F. in qualità di rappresentante legale della Società odierna riassumente e, pertanto, appare non condivisibile l’affermazione secondo cui l’impegno in solido della società, e l’indicazione del conto di debito periodico, siano riferibili esclusivamente ai diritti liquidati.
Correttamente, i Giudici di prime cure hanno statuito:” […] La Commissione, esaminati gli atti, ritiene di dover respingere il ricorso in quanto il contribuente, sottoscrivendo il documento, si dichiara responsabile solidale senza averne l’obbligo”.
L’art. 8 comma 3 della Legge n. 213/2000 richiamato dalla società è inconferente in quanto il vincolo di solidarietà della riassumente con l’obbligato principale (la società importatrice) per l’obbligazione de qua discende dalla dichiarazione dello stesso B. che, alla casella “50” della bolletta, laddove si indica l’obbligato principale, ha infatti disposto: “si dichiara che lo sdoganamento verrà curato da B. S. S.r.l. che si impegna solidalmente con l’intestatario al pagamento dei diritti liquidati”.
Correttamente, l’Ufficio ha preso atto dell’obbligazione in solido sottoscritta dalla riassumente sul documento doganale, che crea un rapporto equivalente a quello di rappresentanza indiretta con l’importatore.
L’indicazione di un soggetto terzo rispetto all’operazione doganale comporta che questi ha coscientemente deciso di impegnarsi in solido, garantendo l’obbligazione doganale sorta in capo all’importatrice. (L’art. 213 del CDC vigente all’epoca dei fatti di cui è causa, prevedeva che “quando per una medesima obbligazione doganale esistono più debitori, essi sono tenuti al pagamento dell’obbligazione in solido”; il campo 50 è infatti utilizzato proprio per indicare il soggetto obbligato “principale” che è di conseguenza tenuto in solido con la società importatrice.
In conclusione, l’atto di riassunzione viene respinto.
Di conseguenza, stante anche la decisione della sentenza di Cassazione oggi riassunta, in riforma della sentenza di primo grado, in punto di motivazione, il ricorso introduttivo è respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza in tutti i gradi di giudizio.
La Commissione respinge il ricorso per riassunzione, e di conseguenza il ricorso introduttivo.
Condanna la società alla rifusione delle spese a favore dell’Agenzia delle Dogane , per il primo grado di giudizio liquidate in euro 900,00 per il secondo grado di giudizio liquidate in E. 1000,00, quelle del giudizio di Cassazione liquidate in euro 1.200,00 e quelle del presente grado liquidate in euro 1.000,00.
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