FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 04 gennaio 2018, n. 1
L’Intervento sul sistema degli ammortizzatori sociali nella Legge di bilancio per il 2018
Con la legge 27 dicembre 2017, n. 205, concernente disposizioni per il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” [c.d. Legge di Bilancio per il 2018 – G.U., Supplemento Ordinario, Serie Generale, n. 302 del 29 dicembre 2017], muovendo dal presupposto della necessità di dare ulteriore sostegno a situazioni di criticità aziendale non in ultimo all’interno di aree di crisi complessa il Governo è intervenuto, con numerose disposizioni, in materia di ammortizzatori sociali sia nell’ambito delle politiche passive che di quelle attive del lavoro, a valere dal 1° gennaio 2018.
Sostegno al reddito in favore di lavoratori coinvolti in processi riorganizzativi complessi o piani di risanamento complessi di crisi delle imprese per le quali lavorano
Un primo intervento della legge di Bilancio in materia di politiche passive, offerto dall’art. 1, comma 133, attiene alla possibilità di proroga dell’intervento CIGS per riorganizzazione e crisi aziendale attraverso l’introduzione del nuovo art. 22-bis in seno al D.Lgs. n. 148/2015.
Le aziende interessate potranno così beneficiare di un ulteriore periodo di integrazione salariale, derogando al limite temporale massimo di durata dell’intervento della cassa integrazione nell’ambito del quinquennio mobile – di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 148/2015 – oltre a quelli specificamente previsti per ciascuna delle richiamate causali dall’art. 22, commi 1 e 2 del medesimo articolato normativo.
La possibilità di proroga – unicamente prevista per gli anni 2018 e 2019, nel limite massimo complessivo di spesa annuale di 100 milioni di euro – non è generalizzata ma unicamente riservata alle imprese con organico superiore a 100 unità lavorative e rilevanza economica strategica anche a livello regionale che presentino considerevoli problematiche occupazionali con esuberi significativi nel contesto territoriale che abbiano o stiano esaurendo i limiti massimi di utilizzo della CIGS.
In particolare la proroga può essere concessa:
– per riorganizzazione aziendale, fino a 12 mesi qualora il programma di cui all’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 148/2015, sia caratterizzato da investimenti complessi non attuabili nel limite temporale di 24 mesi ovvero siano presenti piani di recupero occupazionale per la ricollocazione delle risorse umane e azioni di riqualificazione non attuabili nel medesimo limite temporale;
– per crisi aziendale, fino a sei mesi qualora il piano di risanamento di cui all’art. 21, comma 3, del D.Lgs. n. 148/2015, presenti interventi correttivi complessi volti a garantire la continuazione dell’attività aziendale e la salvaguardia occupazionale, non attuabili nel limite temporale di 12 mesi.
Per l’ammissione alla proroga, l’impresa deve:
– stipulare un accordo sindacale in sede governativa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la presenza della regione interessata, o delle regioni interessate nel caso di presenza di unità produttive coinvolte ubicate in due o più regioni;
– presentare piani di gestione volti alla salvaguardia occupazionale che prevedano specifiche azioni di politiche attive concordati con la regione interessata, o con le regioni interessate nel caso di unità produttive coinvolte ubicate in due o più regioni.
La proroga prevista dal nuovo art. 22-bis del D.Lgs. n. 148/2015 non è estesa alla causale del contratto di solidarietà di cui all’art. 21, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 148/2015.
Indennità giornaliera per i lavoratori della pesca marittima
La Legge di Bilancio detta misure di sostegno al reddito per i lavoratori del settore della pesca durante le pause d’interruzione dell’attività.
In particolare, l’art. 1, comma 121, al fine di garantire un sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti da imprese adibite alla pesca marittima, compresi i soci lavoratori delle cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250 prevede che nel periodo di sospensione dell’attività lavorativa derivante da misure di arresto temporaneo obbligatorio venga riconosciuta per l’anno 2018, per ciascun lavoratore, un’indennità giornaliera onnicomprensiva pari a 30 euro, nel limite di 11 milioni di euro.
Le modalità concernenti il pagamento dell’indennità saranno stabilite con un Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministro dell’economia e delle finanze.
L’art. 1, comma 135, prevede inoltre a favore dei medesimi beneficiari un’indennità fino ad un importo massimo di 30 euro da erogarsi nel periodo di sospensione dell’attività lavorativa derivante da misure di arresto temporaneo non obbligatorio, per un periodo complessivamente non superiore a quaranta giorni in corso d’anno.
Misure al sostegno al reddito in deroga
Alcuni degli interventi della Legge di Bilancio si orientano al sostegno del reddito in deroga sia in merito alla CIGS che alla mobilità nell’ambito delle c.d. aree di crisi complessa riconosciute ai sensi dell’articolo 27 del D.L. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134/2012, vale a dire dei territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale, riconosciuti come tali dal Ministero dello sviluppo economico, per ragioni derivanti da:
a) una crisi di una o più imprese di grande o media dimensione con effetti sull’indotto;
b) una grave crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione nel territorio.
In primo luogo l’art. 1, comma 139, della legge n. 205/2017, al fine del completamento dei piani di recupero occupazionale previsti per le imprese che operano nelle aree di crisi industriale complessa, riconosciute fino alla data dell’8 ottobre 2016, prevede che le restanti risorse finanziarie di cui all’articolo 44, comma 11-bis, del D.Lgs. n. 148/2015, come ripartite tra le regioni, possano essere destinate, nell’anno 2018, dalle stesse regioni, a fini della proroga della CIGS e della mobilità in deroga.
Per le imprese operanti nelle aree di crisi industriale complessa riconosciute nel periodo dall’8 ottobre 2016 al 30 novembre 2017, che cessano il programma di CIGS, nel periodo dal 1° gennaio 2018 al 30 giugno 2018, per quanto previsto dall’art. 1, comma 140 della legge n. 205/2017, può essere concesso un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria, fino al limite massimo di dodici mesi e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2018, in deroga ai limiti di durata massima.
Per la concessione della provvidenza di cui al comma 140 il soggetto datoriale è subordinato:
1) alla stipula di un accordo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con l’intervento del Ministero dello sviluppo economico e della regione competente;
2) alla presentazione di un piano di recupero occupazionale che preveda specifici percorsi di politiche attive del lavoro concordati con la regione, finalizzati alla rioccupazione dei lavoratori;
3) alla dichiarazione della non ricorrenza delle condizioni per la concessione del trattamento di integrazione salariale straordinaria secondo le disposizioni del D.Lgs. n. 148/2015.
Alle stesse aree di crisi industriale complessa riconosciute nel periodo dall’8 ottobre 2016 al 30 novembre 2017, per la previsione dell’art. 1, comma 142, può essere concesso, non oltre il 31 dicembre 2018, un trattamento di mobilità in deroga (anche all’applicazione dei criteri di cui al D.M. n. 83473/2014), della durata massima di dodici mesi, a favore dei lavoratori che cessano la mobilità ordinaria o in deroga nel semestre dal 1° gennaio 2018 al 30 giugno 2018. La provvidenza è subordinata all’applicazione in favore dei soggetti coinvolti di misure di politica attiva, individuate in un apposito piano regionale fermo restando che, in caso di reperimento di una nuova occupazione, i lavoratori decadono dalla fruizione del trattamento.
Gli interventi su CIGS e mobilità in deroga previsti dai commi 140, 141 e 142 sono finanziati a fronte di un onere non superiore a 34 milioni di euro per l’anno 2018 a carico del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione sotto il monitoraggio dell’INPS e saranno ripartiti tra le regioni in base alle richieste da esse avanzate attraverso un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
L’art. 1, comma 147, della legge n. 205/2017, prevede infine che, allo scopo del compimento dei piani di nuova industrializzazione, di recupero o di tenuta occupazionale relativi a crisi aziendali incardinate presso le unità di crisi del Ministero dello sviluppo economico o delle regioni, nel limite massimo del 50 per cento delle risorse loro assegnate ai sensi dell’articolo 44, comma 6-bis, del D.Lgs. n. 148/2015, le regioni, a seguito di specifici accordi sottoscritti dalle parti presso le unità di crisi del MISE o delle stesse regioni, possono autorizzare, per un periodo massimo di dodici mesi, le proroghe in continuità delle prestazioni di cassa integrazione guadagni in deroga concesse entro la data del 31 dicembre 2016 e aventi durata con effetti nell’anno 2017.
L’accordo di ricollocazione dei lavoratori in costanza di CIGS
Con il comma 136, è stato inserito, nel corpo del D.Lgs. n. 148/2015, il nuovo art. 24-bis nel D.Lgs. n. 148/2015 con il quale viene introdotta una peculiare forma di accordo di ricollocazione con lo scopo di limitare il ricorso al licenziamento all’esito dell’intervento CIGS per le causali di riorganizzazione o crisi aziendale per cui non sia espressamente previsto il completo recupero occupazionale.
Nella fattispecie, la procedura di consultazione sindacale di cui all’art. 24 del D.Lgs. n. 148/2015 – a cui è preordinato l’intervento dei programmi di CIGS per riorganizzazione e crisi aziendale – può concludersi con un accordo che preveda un piano di ricollocazione, con l’indicazione degli ambiti aziendali e dei profili professionali a rischio di esubero.
I lavoratori rientranti nei predetti ambiti o profili possono richiedere all’ANPAL, entro trenta giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo, l’erogazione anticipata dell’assegno di ricollocazione – spendibile in costanza di CIGS – al fine di ottenere un servizio intensivo di assistenza nella ricerca di un altro lavoro.
Il numero delle richieste non può superare i limiti di contingente previsti, per ciascun ambito o profilo, dal programma di riorganizzazione o di crisi.
La durata del servizio corrisponde a quella stabilita per la causale della CIGS e comunque non può essere inferiore a sei.
Il servizio è altresì prorogabile di ulteriori dodici mesi nel caso non sia stato utilizzato, entro il termine del trattamento CIGS, l’intero ammontare dell’assegno.
Per la particolare rilevanza che assume l’istituto, ai lavoratori ammessi all’assegno di ricollocazione ai sensi del presente articolo non si applica l’obbligo di accettazione di un’offerta di lavoro congrua.
L’accordo sindacale può altresì prevedere che i centri per l’impiego o i soggetti privati accreditati ai sensi dell’art. 12, del D.Lgs. n. 150/2015 possano partecipare alle attività di mantenimento e sviluppo delle competenze, da realizzare con l’eventuale concorso dei fondi interprofessionali per la formazione continua, di cui all’art. 118 della legge n. 388/2000.
La disposizione in commento, al fine di valorizzare il nuovo istituto, introduce specifiche agevolazioni sia per i lavoratori che per i datori di lavoro che sviluppino rinnovata occupazione attraverso la ricollocazione in costanza di CIGS.
Il lavoratore che accetta l’offerta di un contratto di lavoro con altro datore, la cui impresa non presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del soggetto datoriale da cui dipende:
– beneficia dell’esenzione dal reddito imponibile ai fini IRPEF delle somme percepite in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro, entro il limite massimo di nove mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto;
– ha diritto alla corresponsione di un contributo mensile pari al 50% della CIGS che gli sarebbe stata altrimenti corrisposta.
Dall’esame della disposizione emergono alcune criticità interpretative sulla portata dell’esenzione dal reddito imponibile ai fini IRPEF delle somme percepite in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro, entro il limite massimo di nove mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Risulta infatti generico il riferimento alle somme percepite “in dipendenza” della cessazione del rapporto lavorativo. Un ausilio di carattere ermeneutico, al fini di comprendere quali siano gli istituti retributivi che godono dell’esenzione, sembrerebbe fornito dalla relazione illustrativa al Disegno della Legge di Bilancio, nel quale, a fini della valutazione dell’impatto dell’agevolazione fiscale sulla finanza pubblica, viene fatto esclusivo riferimento alle “somme offerte dal datore di lavoro in sede di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro”. Sulla base di questo presupposto le somme agevolate sarebbero quelle riferite all’incentivo all’esodo dei lavoratori. Tale opzione sembra essere confermata da un ulteriore passaggio della relazione illustrativa richiamata ove si afferma che le “le somme eventualmente corrisposte dal datore di lavoro uscente al lavoratore in sede di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non costituiscono reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non sono assoggettate a contribuzione previdenziale, entro il limite massimo di 9 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”. In tale passaggio desta qualche perplessità il riferimento alla esenzione contributiva che, come collocato nella frase sembrerebbe anch’esso correlato al limite massimo di nove mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Si deve tuttavia osservare che per quanto previsto dall’art. 12, comma 4, lett. b), della legge n. 153/1969, come modificato dall’art. 6 del D.Lgs. n. 314/1997 “le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, nonché quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso” sono escluse dall’imponibile contributivo.
Ne deriva che l’indennità sostitutiva del preavviso non possa essere qualificata come somma esente a fini contributivi. Da questa ricostruzione sembrerebbe quindi dedursi che, secondo la volontà del legislatore, le uniche somme che possano godere dell’esenzione siano da individuare in quelle erogate per incentivare l’esodo dei lavoratori. Del resto, l’indennità sostitutiva del preavviso, seppure generata in dipendenza della medesima cessazione del rapporto di lavoro, rilevando quale istituto soggetto sotto il profilo contributivo esulerebbe dai presupposti espressi nella relazione illustrativa ut supra. Analogamente anche la liquidazione dei ratei non ancora goduti per istituti legali e contrattuali, così come il TFR non potrebbe godere dell’esenzione fiscale di cui in argomento in quanto riferita a somme non generate in dipendenza della cessazione del rapporto ma che vengono tecnicamente erogate per effetto di essa seppure maturate nel decorso del contratto di lavoro.
Sotto il profilo datoriale, l’assunzione del lavoratore in ricollocazione genera il diritto all’esonero contributivo del 50%, con esclusione dei premi INAIL, nel limite massimo di 4.030 euro su base annua. L’esonero è riconosciuto per una durata non superiore a:
a) 18 mesi, in caso di assunzione con contratto a tempo indeterminato;
b) 12 mesi, in caso di assunzione con contratto a tempo determinato stante che, la trasformazione in contratto a tempo indeterminato permette il riconoscimento di ulteriori sei mesi di sgravio.
Al fine di concorrere al finanziamento delle spese per l’implementazione dell’assegno di ricollocazione, escluse le spese di personale, in attuazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 150/2015, l’art. 1, comma 138 stabilisce il trasferimento a favore di ANPAL Servizi Spa, di un importo pari a 5 milioni di euro per l’anno 2018 e a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, a valere sulle risorse del Fondo per le politiche attive del lavoro, di cui all’art. 1, comma 215, della legge n. 147/2013.
Incremento al limite del “tetto aziendale” nel F.I.S.
Con l’art. 1, comma 159, la Legge di Bilancio interviene anche sul limite massimo di erogazione delle prestazioni da parte del Fondo di Integrazione Salariale (F.I.S.) nei confronti del singolo soggetto datoriale.
Sono attratti dall’ambito di applicazione del F.I.S. i datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti, appartenenti a settori, tipologie e classi dimensionali non rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina della CIGO e/o della CIGS di cui al Titolo I del D.Lgs. n. 148/2015, per i quali non siano stati costituiti i Fondi di solidarietà bilaterali o i Fondi di solidarietà bilaterali alternativi di cui agli artt. 26 e 27 del medesimo Decreto. Il Fondo garantisce l’assegno di solidarietà e, per i soggetti datoriali che occupano mediamente più di quindici dipendenti, per una durata massima di 26 settimane in un biennio mobile, l’assegno ordinario per le causali ammesse dalla legge.
Le prestazioni erogate dal fondo di integrazione salariale sono liquidate nei limiti delle risorse finanziarie da esso acquisite secondo principi di equilibrio di bilancio.
L’art. 29, comma 4, del D.Lgs. n. 148/2015, nella versione originaria, aveva previsto che, a regime, le prestazioni non potessero essere erogate in misura superiore a quattro volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti dal singolo datore di lavoro, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore del medesimo, stabilendo così il c.d. tetto aziendale.
In termini transitori, l’art. 44, comma 5, nella fase di avvio del Fondo e limitatamente al periodo 2016-2021 aveva previsto un’applicazione graduale di tale rapporto prevedendo che l’erogazione delle provvidenze non fosse soggetta a limitazioni per l’anno 2016 e che fosse limitata ad un rapporto tra contributi versati e prestazioni erogate pari rispettivamente a dieci volte per l’anno 2017, otto volte per il 2018, sette volte per il 2019, sei volte per il 2020 e cinque volte per il 2021.
La richiamata disposizione della legge n. 205/2018 fissa in termini strutturali il tetto aziendale in dieci volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti dal singolo datore di lavoro, fatte salve le prestazioni già deliberate, abrogando l’art. 44, comma 5, del D.Lgs. n. 148/2015. Con la novella a decorrere dal 2018 viene quindi a cessare il regime transitorio.
Aziende soggette alla CIGS: incremento del ticket di licenziamento per i licenziamenti collettivi
L’art. 2, comma 31, della legge n. 92/2012, a decorrere dal 1° gennaio 2013, ha previsto l’obbligo, a carico dei datori di lavoro, del versamento di una somma di contribuzione pari al 41 per cento del massimale mensile di NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, limitatamente ai casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, consentano l’accesso alla NASpI.
Per quanto concerne la fattispecie dei licenziamenti collettivi, l’art. 2, comma 35, della legge n. 92/2012, ha altresì stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2017, nei casi di licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223/1991, non abbia formato oggetto di accordo sindacale, il suddetto contributo sia triplicato.
In termini comparati, rispetto alla previgente disposizione recata dall’art. 5, comma 4, della legge n. 223/1991 riguardo al c.d. contributo di mobilità, l’impostazione normativa prevista dalle disposizioni della legge n. 92/2012 era sicuramente più favorevole per i datori d lavoro.
Il comma 137 della Legge di Bilancio, con esclusivo riferimento alle aziende soggette alla CIGS, a decorrere dal 1° gennaio 2018, ha provveduto ad elevare dal 41 all’82 per cento il ticket di licenziamento, per ciascuna risoluzione del rapporto di lavoro nell’ambito di un licenziamento collettivo venendo così a ripristinare l’onere per il licenziamento collettivo del personale in termini tendenzialmente coincidenti con quelli del sistema previgente.
L’incremento del ticket di licenziamento si applica ai licenziamenti effettuati a seguito di procedure di licenziamento collettivo avviate, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 223/1991, a decorrere dal 21 ottobre 2017.
Incremento per periodo minimo di accesso ai requisiti pensionistici per l’esodo anticipato
L’art. 4, commi da 1 a 7-ter, della legge n. 92/2012 ha introdotto alcune disposizioni volte a facilitare l’esodo anticipato dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti di pensionamento.
Sulla scorta di tali disposizioni “nei casi di eccedenza di personale, accordi tra datori di lavoro che impieghino mediamente più di quindici dipendenti e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale possono prevedere che, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori più anziani, il datore di lavoro si impegni a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, ed a corrispondere all’INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento”.
Secondo l’integrazione operata dall’art. 34, comma 54, lettere b) e c) del D.L. n. 179/2012, convertito in legge n. 221/2012; la medesima prestazione può essere oggetto di accordi sindacali nell’ambito di procedure di licenziamento collettivo, operate ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991, ovvero nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della categoria.
L’art. 4, comma 2, prevede che ai fini di usufruire di questa possibilità i lavoratori debbano raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipato, nei quattro anni successivi alla cessazione dal rapporto di lavoro.
L’art. 1, comma 160, della legge n. 205/2017, allo scopo di fornire misure rafforzate per affrontare gli impatti occupazionali derivanti dalla transizione dal vecchio al nuovo assetto del tessuto produttivo senza che ciò comporti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e aggravi sull’attuale sistema previdenziale, limitatamente al periodo 2018-2020 stabilisce che il periodo di quattro anni di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 92/2012, sia elevato a sette anni.
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