La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 612 depositata il 15 gennaio 2020, intervenendo in tema di inutilizzabilità delle prove acquisite irritualmente, ha ribadito che “… trovando applicazione anche in materia tributaria il principio d’inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita (Cass. n. 19689 del 1/10/2004). …”
I giudici di legittimità hanno precisato che “… l’autorizzazione all’accesso da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto diretta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, rilevava quale “condicio sine qua non” per la legittimità dell’atto e delle relative conseguenti acquisizioni (Cass. n. 6908 del 25/3/2011), …”
Alla luce di quanto affermato sulla “condicio sine qua non” gli Ermellini, nella sentenza in commento hanno riaffermato il principio di diritto secondo cui “… l’inutilizzabilità delle prove acquisite a mezzo di un accesso domiciliare illegittimo riguarda solo le prove e/o le fonti di prova per le quali l’accesso medesimo abbia costituito una condizione necessaria, come è di regola per le cosiddette prove dirette (che la norma indica con il termine di «rilevazioni»), rappresentate dalle ispezioni attraverso le quali gli agenti acquisiscono conoscenza mediante percezione diretta dei fatti, principali e secondari, da provare, ovvero le perquisizioni o requisizioni ed in generale tutte le forme di apprensione materiale diretta di documenti o di altre cose che nel corso dell’accesso e della conseguente ispezione vengano rinvenute e autoritativamente acquisite.
L’inutilizzabilità non può, invece, riguardare quelle prove che trovano nell’accesso una mera occasione, come è di regola per le informazioni di terzi e soprattutto per le dichiarazioni del contribuente, le quali potrebbero essere raccolte allo stesso modo anche per strada o direttamente presso gli uffici dell’organo deputato all’indagine. In questo caso, infatti, le dichiarazioni sono collegate all’accesso da un nesso di mera occasionalità, per cui la eventuale illegittimità di esso non è comunque idonea ad escludere l’utilizzabilità delle stesse dichiarazioni (Cass. n. 25335 del 15 dicembre 2010; Cass. n. 5382 del 18 marzo 2016). …”
In ordine alla possibilità di utilizzare le prove irritualmente ottenute si ritiene opportuno eseguire una valutazione anche alla luce del principio costituzionale del “giusto processo”, sulla base del quale in ogni procedimento giurisdizionale deve esserci il totale ed
incondizionato rispetto dei “diritti umani” inviolabili. Sulla base di tale principio e dei diritti inviolabili dell’uomo in ogni processo vige il divieto generale di inammissibilità (o di inutilizzabilità e di esclusione) di tutte quelle prove che siano state acquisite od assunte con mezzi incostituzionali, ovvero attraverso la violazione dei diritti fondamentali.
La stessa Corte Costituzione nella sentenza n. 34 del 6 aprile 1973 ha affermato che non può essere definito giusto un processo nel quale non venga stabilito che “attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito”.
Per cui, fermo restando l’inutilizzabilità delle prove acquisite irritualmente nei casi previsti dalla legge ed in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, è utilizzabile qualsiasi prova o indizio comunque acquisita.
Infatti la Corte Suprema costantemente afferma che ” … è legittima l’utilizzazione in sede di accertamento tributario di qualsiasi elemento, valutabile quale elemento indiziario, benché sia stato acquisito in modo irrituale – ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale (Cass., Sez. V, 29 novembre 2019, n. 31243; Cass., Sez. V, 27 febbraio 2015, n. 4066; Cass., Sez. VI, 25 febbraio 2020, n. 5105; Cass., Sez. VI, 28 aprile 2015, nn. 8605 e 8606) – attenendo l’interesse all’accertamento di violazioni fiscali relative a redditi sottratti a tassazione al principio costituzionale di capacità contributiva ex art. 53 Cost. Si è osservato, difatti, che la mera irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi (Cass., Sez. V, 13 novembre 2018, n. 29132; Cass., Sez. V, 23 aprile 2007, n. 9568;Cass., Sez. V, 19 giugno 2001, n. 8344), difettando nel procedimento tributario una specifica previsione quale quella contenuta nell’art. 191 cod. proc. pen., a norma del quale «le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate» (Cass., Sez. V, 29 novembre 2019, n. 31243). Principio, questo, corroborato dalla considerazione che nel processo civile le prove atipiche sono sempre ammissibili, ancorché assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio (Cass., Sez. III, 5 maggio 2020, n. 8459). …” (Cass. ordinanza n. 18901 del 2021).
Un esempio di acquisizione di prove irritualmente acquisite è quello riguardante la violazione dell’articolo 52, comma 2 e 3, del DPR n. 633/1972 e dell’art. 33, comma 1, del DPR n. 600/1973. Le suddette disposizioni normative prevedono espressamente che per l’accesso in locali diversi in cui viene svolta l’attività economica può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni ed in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più’ vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali e’ eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18355 depositata il 7 giugno 2022 ha ribadito che “… L’eventuale inutilizzabilità delle prove acquisite a mezzo di un accesso illegittimo, infatti, interessa solo le prove e le fonti di prova per le quali l’accesso suddetto abbia costituito una condizione necessaria, come è di regola per le cosiddette prove dirette, rappresentate dalle ispezioni attraverso le quali gli agenti acquisiscono conoscenza mediante percezione diretta dei fatti (principali o secondari) da provare, ovvero le perquisizioni o requisizioni ed in generale tutte le forme di apprensione materiale diretta di documenti o altre cose che costituiscano prove e che nel corso dell’accesso e della conseguente ispezione vengano rinvenute e autoritativamente acquisite.
Si è anzi precisato (Cass. n. 612 del 15/01/2020; Cass. n. 5382 del 18/03/2016; Cass. n. 25335 del 15/12/2010; in precedenza v. Cass. n. 19690 del 01/10/2004) che, invece, l’inutilizzabilità non può riguardare quelle prove che trovano nell’accesso una mera occasione, riguardo al luogo ed al tempo, come è di regola per le informazioni di terzi e soprattutto le dichiarazioni del contribuente, le quali potrebbero essere raccolte allo stesso modo sull’uscio dell’abitazione, per strada o negli uffici dell’organo deputato all’indagine.
In questo caso la dichiarazione è collegata all’accesso da un nesso di mera occasionalità, sicché la eventuale illegittimità di esso non è comunque idonea a determinare l’inutilizzabilità della dichiarazione stessa.
[…]
l’inutilizzabilità investe solo le prove che abbiano trovato diretto rapporto di causalità nell’attività illegittimamente espletata, dovendosi escludere un effetto espansivo rispetto all’intera procedura di accertamento (anche alla luce del principio utile per inutile non vitiatur) e alle ulteriori prove acquisite legittimamente ….”
Infine, come chiarito anche dai giudici di legittimità, l‘inutilizzabilità non può, invece, riguardare quelle prove che trovano nell’accesso una mera occasione (Cass. ordinaria n. 612/2020)
Infine si ricorda, in tema di accessi e verifiche, che il potere di accesso presso i locali destinati all’esercizio di attività di impresa, agricola o di lavoro autonomo, è subordinato alla sussistenza di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo.
Locali promiscui
Per l’accesso ai locali utilizzati promiscuamente sia per l’attività che come abitazione l’art. 52 cit. prevede che per ” accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, e’ necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica” anche se, in tale ipotesi, non era richiesta la presenza di gravi indizi di violazioni di norme tributarie.
La Cassazione ha affermato che “… si ha destinazione ad uso promiscuo, agli effetti dell’art. 52 del d.P.R n. 633 del 1972, non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività d’impresa, ma ogni volta che l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi (Cass. n. 16570 del 28/7/2011)….” (Cass. ordinanza n. 612 del 2020)
Inutilizzabilità della prova solo su indicazione della parte
In tema di inutilizzabilità delle prove è stato chiarito che “… incombe sulla parte l’indicazione delle prove e/o della documentazione che sia stata illegittimamente acquisita, identificazione che, del resto, appare agevolmente esperibile attesa la necessaria compiuta verbalizzazione da parte degli agenti operanti di quanto compiuto e del materiale acquisito. …” (Cass. ordinanza n. 18355 del 2022)
Inutilizzabilità della prova acquisiti con autorizzazione della procura all’accesso domiciliare illegittima
Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 763 depositata il 9 gennaio 2024 ha ribadito il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte ed in base al quale il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di imposta sul valore aggiunto – reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 – ha il potere-dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria: sicché, nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (Cass., Sez. U, 21.11.2002, n. 16424, Rv. 558642-01. Cfr. anche, più recentemente, Cass., Sez. 5, 18.10.2021, n. 28651, non massimata, in motivazione, pp. 7, ult. cpv. e 8);
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