La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 2882 depositata il 22 gennaio 2014 intervenendo in tema di reati fiscali ha statuito che non è sanzionabile penalmente il contribuente che non ha versato l’IVA a causa di un errore del commercialista. In particolare non c’è reato se l’imprenditore, per un errore del professionista, non ha utilizzato un credito d’imposta che gli avrebbe permesso di far scendere il versamento omesso sotto la soglia di punibilità (50 mila euro) fissata per legge.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una società accusata del reato di cui all’articolo 10-ter del D.Lgs. 74/2000. L’amministratore veniva condannato per il reato ascrittogli dal Tribunale che applicava l’articolo 13 del D-Lgs. 74/2000.
Avverso la decisione del giudice di prime cure l’imputato proponeva ricorso alla Corte di Appello che riformava parzialmente, su richiesta del PM, la sentenza impugnata non riconoscendo le circostanze attenuanti. La difesa del contribuente si fondava sull’assunto che il superamento della soglia dei 50 mila euro di cui all’articolo 10 ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 era dipeso unicamente da un errore del commercialista, il quale non aveva portato correttamente in compensazione un credito IVA di 16.700 euro che la società deteneva per il medesimo periodo di imposta. In effetti qualora il commercialista avesse compensato detto credito con l’IVA a debito invece di compensare il credito IVA con le imposte dirette, l’omesso versamento sarebbe sceso sotto la soglia di punibilità penale. Lo stesso professionista aveva testimoniato ai giudici la propria responsabilità, mentre alcuni anni dopo il ricevimento della cartella esattoriale aveva provveduto alla presentazione di una dichiarazione integrativa, eseguendo il pagamento degli importi delle imposte sui redditi erroneamente compensate. I giudici territoriali non accoglievano la tesi dell’errore materiale del professionista in quanto non sussisteva agli atti alcuna prova che l’imputato avesse indicato al commercialista di utilizzare il credito per compensare l’IVA e non le imposte dirette.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure l’imputato, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso, basato su quattro motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso dell’imputato con rinvio alla Corte di Appello.I giudici di legittimità hanno sottolineato l’assenza dell’elemento psicologico del reato. Infatti, la soglia di punibilità era stata superata (per poco più di mille euro peraltro) per un errore tecnico, sicché l’omissione non era sorretta da coscienza e volontà.
Per i giudici del Palazzaccio, i giudici territoriali, hanno trascurato del tutto la testimonianza del commercialista, che ha ammesso l’errore. Il professionista aveva infatti dichiarato “che il proprio ufficio per errore aveva generato una delega in compensazione utilizzando i 16.781 euro del credito relativo all’anno precedente per pagare imposte dirette relative al 2004, e che nella relazione si affermava l’intenzione della società di utilizzare il credito di indicato in dichiarazione per compensare il debito IVA scaturente dalle dichiarazioni mensili dell’anno 2005”.
Per la Corte Suprema l’errore tecnico è risultata decisiva perché finalizzata a escludere l’elemento psicologico del reato in questione, che è costituito dalla coscienza e volontà dell’agente di sottrarsi all’adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo.
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