
La vicenda ha riguardato il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, nei cui confronti il GIP emanava la sentenza di condanna con la confisca per equivalente per il mancato pagamento dell’IVA. L’imputato avverso la decisione del GIP proponeva ricorso alla Corte di Appello. I giudici di appello accolsero parzialmente il ricorso proposto dall’imputato revocando il provvedimento di confisca.
Avverso la decisione dei giudici di secondo grado l’imputato proponeva duplice ricorso per cassazione rispettivamente con cinque e nove articolati motivi d’impugnazione, tra cui quello concernente l’erronea esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del D.lgs. n. 74/00, come riformato dal D.lgs. n. 158/15, vista la rateizzazione del debito e l’ammissione alla definizione agevolata a norma del D.l. 193 del 2016, convertito in L. 225 dello stesso anno, di cui è stata prodotta l’istanza..
Gli Ermellini accolgono il ricorso ritenendo che il debito IVA, da consoderarsi al netto di sanzioni ed interessi, era al di sotto della soglia di punibilità. I giudici di legittimità respingono la motivazione inerente alle cause di non punibilità di cui all’articolo 13 del D.lgs. n. 74 del 2000 il quale presuppone l’integrale pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, oppure, ove si tratti di procedimenti già in corso al momento dell’entrata in vigore del D.lgs. 158/15, anche dopo detto limite temporale, ma in ogni caso prima del giudicato.
Nel ricorso l’imputato non ha dedotto l’estinzione del debito erariale; anzi ha fatto riferimento a una triplice procedura di rateizzazione, indice inequivoco dell’assenza dell’elemento fattuale richiesto dalla norma invocata ai fini della non punibilità.
Innanzi alla Corte di Appello l’imputato ha richiesto l’applicazione del contenuto del comma 3 dell’art. 13 del D.lgs. 74 del 200 il quale statuisce che: “Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione”.
Nel giudizio di legittimità l’imputato ha fatto presente di avere aderito alla c.d. rottamazione delle cartelle ex D.l 103/16, chiedendo, di conseguenza, la sospensione del procedimento penale, nell’ottica di estinguere nel tempo il debito tributario secondo le scadenze di cui al provvedimento per ultimo richiamato.
La Suprema Corte ha precisato che la previsione del terzo comma dell’art. 13 è funzionale all’estinzione del debito nel breve volgere di 90 giorni, salvo proroga discrezionalmente affidata all’apprezzamento del Giudice, e nel caso di specie “rimane il fatto che non è avvenuta alcuna estinzione del debito, né risulta positivamente condotta a termine alcuna rateizzazione”.
Per cui ai fini della non punibilità, non basta l’ammissione alla c.d. rottamazione delle cartelle, poiché la condotta meritevole di trattamento premiale è unicamente quella effettivamente idonea ad apportare un beneficio in termini patrimoniali all’Erario, “non apparendo significativo sotto il profilo della ratio della norma il mero provvedimento di ammissione alla rateazione posto che l’interessato, un volta ammesso alla rateazione, ben potrebbe restare inadempiente rispetto al pagamento delle singole rate” (tra le altre, Cass. Sez. 3 n. 11352/2015, che reca principi in relazione alla vecchia formulazione dell’art. 13, applicabili anche nel caso di specie).
I giudici di legittimità hanno sottolineato che in assenza della dimostrazione dell’integrale pagamento del debito tributario, non può trovare accoglimento la doglianza incentrata sulla causa di non punibilità ex art. 13 D.lgs. n. 74/00 (come sostituito dall’art. 11 del D.lgs. n. 158 del 2015).
La Corte Suprema ha accolto, come sopra indicato, la censura riguardante la rimodulazione del trattamento sanzionatorio, a fronte dell’innalzamento della soglia di punibilità a euro 250.000. A riguardo, i Giudici di legittimità hanno ribadito che: “in tema di omesso versamento dell’Iva, il giudice dell’impugnazione, richiesto di riesaminare la misura della pena inflitta dal primo giudice nella vigenza della soglia di rilevanza penale della condotta pari ad euro 103.291,18, deve rivalutare la congruità del trattamento sanzionatorio alla luce del nuovo limite di euro 250.000 fissato dal d.lgs. n. 158 del 2015, incidente sul complessivo ed oggettivo disvalore del fatto, quantunque l’eventuale particolare tenuità dell’offesa non deve essere valutata con riferimento alla sola eccedenza rispetto alla soglia di punibilità prevista dal legislatore, bensì in rapporto alla condotta nella sua interezza, avendo, dunque, riguardo all’ammontare complessivo dell’imposta non versata” (Cass. Sez. 3, n. 51020 dell’11/11/2015).
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