La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20840 depositata il 18 luglio 2023, intervenendo in tema di responsabilità patrimoniale dei socie e dei liquidatori, ha riaffermato che “… La responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione, prevista dall’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, dunque, è una fattispecie autonoma che sussiste in presenza dei requisiti normativi e non prevede alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese. […]
in tema di società di capitali a ristretta base partecipativa, l’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, determinando un fenomeno di tipo successorio, non fa venir meno l’interesse dei creditori sociali (nella specie, l’Agenzia delle Entrate) ad agire ed a procurarsi un titolo nei confronti dei soci della società estinta, a prescindere dall’utile partecipazione di essi alla ripartizione finale, potendo comunque residuare beni e diritti (nella specie, utili extracontabili) che, ancorché non ricompresi nel bilancio finale di liquidazione, si sono trasferiti ai soci …”
La vicenda ha riguardato i soci di una società di capitale che era stata, dopo la fase di liquidazione, cancellata dal registro delle imprese a cui l’Agenzia delle Entrate notificava gli avvisi di accertamento per maggiori Irpef, Ires, Irap ed Iva. Avverso tali atti impositivi i soci proponevano ricorso alla CTP. I giudici di prime cure accoglievano parzialmente le doglianze dei contribuenti. Avverso la decisione di primo grado i soci proponevano appello. I giudici di appello rigettavano le doglianze dei contribuenti ed accoglievano il ricorso incidentale dell’ufficio. I giudici di appello affermavano che a seguito dell’estinzione della società, i soci succedevano ad essa nei debiti tributari verso l’erario e che anche il liquidatore della società era responsabile nei confronti del fisco, in quanto consapevole di aver posto in essere operazioni economiche con lo scopo di sottrarre all’imposizione una parte degli utili conseguiti dalla società, riteneva la fondatezza della pretesa tributaria, fondata su di una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti. Avverso la decisione di secondo grado i soci proponevano ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
Gli Ermellini respingono il ricorso dei soci.
I giudici di legittimità hanno evidenziato, sul tema della successione, che la Cass., Sez. Un., n. 6071/2013, specificamente resa in tema di società di capitali, ha evidenziato in motivazione che << lo scarno tessuto normativo cui s’è fatto cenno non sembra autorizzare la conclusione che, con l’estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese si estinguano anche i debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo” sicché “è del tutto naturale immaginare che questi debiti si trasferiscano in capo a dei successori e che, pertanto, la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2495 implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio, che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica. La ratio della norma dianzi citata, d’altronde, palesemente risiede proprio in questo: nell’intento d’impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del suo diritto. Ma questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati>>.
Secondo l’indirizzo prevalente di questa Corte, l’utile partecipazione alla distribuzione dell’attivo liquidato non costituisce presupposto costitutivo della successione del socio: la tesi, affacciatasi in alcune pronunce successive alle pronunce del 2013 nn. 6070 e 6071 delle Sezioni Unite (in particolare, Cass. n. 13259/2015; Cass. n. 23916/2016; Cass. n. 2444/2017; Cass. n. 15474/2017), si pone in realtà non in linea con l’insegnamento della Corte, come correttamente evidenziato, anzitutto, da Cass. n. 5988/2017 (ove si evidenzia un possibile inconsapevole contrasto, sul punto), nonché da Cass. n. 9094/2017, che sottolinea come il socio sia comunque destinato a subentrare nella posizione debitoria, e che addirittura la mancata utile partecipazione, ut supra, non consenta neanche di escludere a priori lo stesso interesse ad agire del creditore (si veda anche Cass. n. 20358/2015: il fenomeno successorio non può essere escluso in base al solo esame del bilancio di liquidazione; vedi anche Cass. n. 15035/2017; Cass. n. 9672/2018; Cass. n. 14446/2018; Cass. n. 897/2019; Cass. n. 12758/2020 e, da ultimo, Cass., Sez. Un., n. 619/2021, Cass.n.31904/2021, Cass. n.10337/2021 e Cass. n.10678/2022).
Significativamente, le stesse Sezioni Unite n.6071/2013, prima citate, hanno affermato che <<(…) quando il debitore è un ente collettivo, non v’è ragione per ritenere che la sua estinzione (…) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali. Nessun ingiustificato pregiudizio viene arrecato alle ragioni dei creditori, del resto, per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell’attivo loro distribuito all’esito della liquidazione. Infatti, se la società è stata cancellata senza distribuzione di attivo, ciò evidentemente vuoi dire che vi sarebbe stata comunque incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da soddisfare. D’altro canto, alla tesi – pure in sé certamente plausibile – che limita il descritto meccanismo successorio all’ipotesi in cui i soci di società di capitali (o il socio accomandante della società in accomandita semplice) abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, ravvisandovi una condizione da cui dipenderebbe la possibilità di proseguire nei confronti di detti soci l’azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società (…), sembra da preferire quella che individua invece sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all’esito della liquidazione (..), fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità cui s’è fatto cenno. Il successore che risponde solo intra víres dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo>>.
Inoltre, alla luce dei principi esposti, il Supremo consesso ha evidenziato che nei casi in cui si controverte “… della distribuzione degli utili extrabilancio della società a ristretta base, la statuizione del giudice di appello risulta condivisibile, in quanto l’amministrazione finanziaria può agire contro gli ex soci di una società estinta anche se non hanno percepito utili in sede di liquidazione dell’ente. Infatti, la possibilità di sopravvenienze attive o l’esistenza di diritti non contemplati nel bilancio finale giustificano l’interesse dell’agenzia delle entrate a procurarsi un titolo in considerazione della natura dinamica dello stesso interesse (v. Cass. n. 10337/2021; n.10678/2022 citata; n.26758/2022 …”
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