CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 685 del 18 gennaio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO – AVVOCATI – SPESE PROCESSUALI – COMPENSI DEI PROFESSIONISTI IN LUOGO DELLE ABROGATE TARIFFE PROFESSIONALI
In tema di spese processuali, agli effetti dell’art. 41 del d.m. n. 140 del 2012, i nuovi parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qualvolta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, sebbene tale prestazione abbia avuto inizio, e si sia in parte svolta, quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’eccezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata..
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1. – La vicenda ha ad oggetto un’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza resa dal giudice dell’esecuzione resa a conclusione di una procedura esecutiva immobiliare per vicende relative all’ammissione del debitore alla conversione prevista dall’art. 495 c.p.c..
p.1.1. In particolare, l’espropriazione immobiliare intrapresa – col n. 72/98 rge – dinanzi al tribunale di Catanzaro ai danni di B. L. o L. e ad istanza di Ma.An., Fr., Do., Um., Ma., Id. e Na. (anche quali eredi di Ma.Vi., n. (OMISSIS)) fu dichiarata estinta con ordinanza 7-15.11.07 (comunicata ad essi creditori il 5.3.08), con contestuale assegnazione della somma versata dal debitore a seguito di ordinanza (dep. il 17.12.05) di ammissione di quegli al beneficio rateizzato della conversione, nonostante le precedenti istanze dei creditori volte a conseguirne la correzione di errori materiali (dovuta all’inversione di due cifre, per Euro 810) ed il riconoscimento di ulteriori accessori (sia gli interessi legali sulla somma di Euro 21.479,18 dal 24.3.98 al soddisfo, sia le spese e competenze del procedimento esecutivo successive all’ordinanza ai sensi dell’ art. 495 c.p.c., sia gli interessi legali successivi al 24.11.05 sull’importo di Euro 56.202,90).
p.1.2. Avverso tale ordinanza i creditori proposero opposizione agli atti esecutivi, contestando la ritenuta immodificabilità dell’ordinanza di conversione e reclamando gli ulteriori accessori e gli interessi a scalare, ma eccependo pure la decadenza dal beneficio accordato al debitore per ritardo nel pagamento delle rate di agosto e settembre 2006: tanto da chiedere la revoca dell’impugnata ordinanza di assegnazione ed estinzione e la prosecuzione della procedura esecutiva. Nonostante le contestazioni dell’opposto debitore, fu pronunciata la sospensione e fissato il termine di 120 giorni per introdurre il giudizio di merito, con ordinanza (del 3.7.08) resa oggetto di reclamo al tribunale da parte del B. (indicato – pag. 11 del ricorso, riga 16 e 17 – dapprima come non ancora definito, ma poi risultato – v. pag. 21, riga 20, del ricorso – respinto con ordinanza collegiale del 26.11.08).
p.1.3. Il tribunale di Catanzaro, istruita solo documentalmente l’opposizione, la ha definita dichiarando immodificabile l’ordinanza con cui originariamente era stato determinato l’esatto importo di tutte le voci del credito azionato, ma rilevando l’effettiva tardività del versamento di almeno due rate e di conseguenza annullando l’ordinanza impugnata e rimettendo al giudice dell’esecuzione la rinnovazione dell’atto con ogni consequenziale provvedimento di legge.
p.1.4. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata il 23.11.12 col n. 3408, ricorrono, affidandosi ad almeno cinque motivi, Ma.
A., Ma.Um., Ma.Ma., Ma.Id. e Ma.Na., anche quali eredi di Ma.Vi. n. (OMISSIS), nonchè T.I., Ma.Id., ma.vi.
n. (OMISSIS), Ma.An. e Ma.Io., quali eredi di Ma.Fr., anche quale erede di Ma.Vi. n. (OMISSIS), nonchè T.M.C., Ma.Id., m.
v. n. (OMISSIS), Ma.An. e Ma.Pa., quali eredi di Ma.Do., anche quale erede di Ma.Vi.
n. (OMISSIS). Resiste B.L., con controricorso con cui articola ricorso incidentale autonomo su tre motivi, al quale i ricorrenti principali replicano con separato controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.2. – Va preliminarmente puntualizzato che la controversia investe una sentenza – a definizione di un’opposizione agli atti esecutivi – che ha annullato una precedente ordinanza di assegnazione delle somme versate in esito ad ammissione a conversione e contestuale dichiarazione di estinzione della procedura esecutiva.
p.3. – Assume priorità logica il primo motivo del ricorso incidentale, con il quale si contesta lo stesso interesse ad agire in opposizione.
p.3.1. Infatti, B.L. (già debitore esecutato ed opposto nella causa definita con la gravata sentenza) invoca – richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3, – la “inammissibilità dell’opposizione agli atti esecutivi in parte qua per violazione dell’art. 100, in relazione all’ art. 495 c.p.c. “: in particolare, ritenendo carente l’interesse dei creditori ad impugnare l’ordinanza, una volta che egli aveva versato una somma perfino superiore a quella determinata e si era comunque dichiarato disposto a versare quella ulteriore eventualmente ritenuta dal giudice, pure rimarcando avere già le controparti incassato quanto versato e lucrato l’ingiusto vantaggio del mantenimento del vincolo su beni di ingente valore per importi modesti di voci di credito ancora dovute.
p.3.2. Ribattono, con il controricorso specificamente notificato per resistere al ricorso incidentale, i ricorrenti principali che l’interesse risulta evidente dalla persistenza degli errori ed omissioni nella determinazione del dovuto, pure rimarcando la novità dell’eccezione di carenza di interesse ad agire.
p.3.3. Il motivo è infondato: è evidente l’astratto interesse a dolersi dell’esito finale della quantificazione del proprio credito, contestato sotto diversi profili e tutti, almeno in tesi, idonei a condurre ad un incremento non irrilevante del totale dovuto e da versarsi dal debitore.
La circostanza che il debitore si sia dichiarato disponibile a tanto non elide l’interesse dei creditori a far valere la ritenuta intrinseca illegittimità dell’ordinanza che consente a quello di liberare i beni dal vincolo versando una somma che essi ritengono non idonea a soddisfare integralmente il credito, perchè tanto impedirebbe appunto l’effetto satisfattivo legittimamente da loro perseguito.
p.3.4. Nè mutano la conclusione le circostanze:
– che quanto già versato sia stato corrisposto ai creditori: perchè appunto i creditori hanno interesse a conseguire, quale presupposto della liberazione dei beni staggiti, un versamento ulteriore finchè il credito sia stato compiutamente estinto e tanto non potendosi ottenere senza porre nel nulla l’ordinanza che da atto della puntuale ottemperanza a quella precedente di determinazione del credito, oltretutto con contestuale declaratoria di estinzione della procedura esecutiva;
– che in tal modo il vincolo derivante dal pignoramento permane su beni dall’ingente valore a dispetto dell’entità ridotta del credito residuo: perchè il debitore è tutelato da altri strumenti dall’eventuale eccesso dell’estensione del vincolo derivante dal pignoramento, primo fra tutti dalla riduzione, prevista dall’ art. 497 c.p.c., ma pure – nell’eventualità che la contestazione degli opponenti creditori si riveli pretestuosa o vessatoria – dalla responsabilità aggravata prevista dall’art. 96 c.p.c.;
– che comunque l’ordinanza impugnata è stata annullata: visto che con la sentenza che pure la ha annullata si è affermato, per respingere altri profili di illegittimità, il principio della non modificabilità ulteriore dell’ordinanza con cui è stato determinato il credito ai fini dell’ammissione alla conversione.
p.4. – Ciò posto, vanno esaminati i primi due motivi di ricorso principale, tra loro congiuntamente attesa l’intima connessione.
p.4.1. In particolare, i ricorrenti principali:
– con il primo motivo si dolgono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – di “violazione dell’art. 487 c.p.c., e falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c. “: contestando la ritenuta immodificabilità – anche solo quanto all’errore materiale pure riconosciuto da controparte – dell’ordinanza con cui è stata determinata la somma da pagare ai fini della conversione;
– con il secondo motivo lamentano – ai sensi, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, – la “violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 1282 c..c ed all’art. 91 c.p.c. “, nonchè la “violazione dell’art- 112 c.p.c. “: ritenendo immotivatamente omessa la liquidazione degli interessi legali pure richiesti in precetto e nell’atto di intervento (quelli legali sulla somma di Euro 21.479,18 portata dal titolo) e delle spese e competenze rese necessarie dall’accertato e dichiarato inadempimento del debitore esecutato alle prescrizioni dell’ordinanza di conversione.
p.4.2. Replica il controricorrente:
– quanto al primo motivo, che andava seguita la procedura di correzione degli errori materiali e che la mancata impugnazione della decisione di rigetto dell’istanza di modifica dell’ordinanza di determinazione delle somme dovute dal debitore aveva comportato, come bene ha rilevato il giudice del merito, l’inammissibilità di ulteriori contestazioni;
– quanto al secondo, che la conclusione della rilevata inoppugnabilità della determinazione del dovuto, operata con l’ordinanza ammissiva al beneficio della conversione, adeguatamente precludeva la disamina del merito delle ulteriori domande.
p.4.3. I due motivi sono fondati, ma tanto non può condurre alla cassazione della gravata sentenza, visto che il suo dispositivo è conforme a diritto: sicchè va solo corretta la motivazione nei sensi di cui appresso.
Preliminarmente, deve ribadirsi sia l’interesse alla censura, sia la funzione di tale correzione della motivazione della gravata sentenza, nonostante il finale risultato dell’annullamento integrale dell’ordinanza: e tanto alla luce dell’affermazione esplicita, elevata nella qui gravata sentenza a ratio decidendi dell’esclusione di molte delle doglianze dei creditori, dell’impossibilità di modificare la quantificazione del credito come operata con l’ordinanza che ha determinato le somme necessarie ai fini della conversione. Tale affermazione, espressa ragione del rigetto delle contestazioni dei creditori al carattere satisfattivo della somma finale determinata nella primitiva ordinanza di ammissione, potrebbe precludere inter partes, ove ritenuta idonea al passaggio in giudicato formale, anche solo implicito, la disamina delle relative ragioni.
p.4.4. Nel merito delle doglianze, la tesi accolta dalla qui gravata sentenza non è conforme a diritto e, se non corretta, potrebbe pregiudicare l’ulteriore sviluppo della procedura esecutiva, benchè riattivata con la radicale eliminazione dal mondo del diritto dell’ordinanza di assegnazione.
Infatti, la quantificazione operata in sede di ordinanza determinativa delle somme necessarie per la conversione è istituzionalmente provvisoria e finalizzata esclusivamente all’effetto, limitato e contingente, della sospensione della procedura espropriativa e soprattutto della successiva liberazione del compendio staggito, come già da tempo messo in luce da questa Corte regolatrice (Cass. 24 marzo 2011, n. 6733, ma, in precedenza, già Cass. 28 settembre 2009, n. 20733) ed alla stregua della conclusione della tendenziale reversibilità di ogni accertamento del giudice dell’esecuzione nel tempo anteriore alla distribuzione (od all’attribuzione, in caso di unico creditore) del ricavato (purchè, beninteso, non sia intercorsa precedente opposizione proprio sull’esistenza o sull’entità del credito o sulla sussistenza di privilegi, a maggior ragione se, all’esito di essa, si sia formato – sulla circostanza – un giudicato formale e sostanziale).
Il principio è stato, se non altro di recente, costantemente ribadito in merito alla possibilità di contestare l’esistenza e l’entità del credito anche nella fase distributiva per il debitore (tra le altre, v.: Cass. 3 marzo 2015, n. 4230; Cass. 1 aprile 2014, n. 7537; Cass. 18 novembre 2013, n. 15863; Cass. 9 aprile 2013 n. 8589; Cass. 11 dicembre 2012, n. 22642; Cass. ord., 26 ottobre 2011, n. 22310), ma affermato, sia pure con minore frequenza, per il creditore nei confronti di altro creditore (Cass. 9 aprile 2015, n. 7107; Cass. 1 aprile 2011, n. 7556).
Ed esso va esteso quindi anche alla fattispecie in discorso, nella quale si controverte della possibilità di modificare l’ordinanza di determinazione delle somme per suoi errori non solo materiali, ma pure in fatto o in diritto: a prescindere dall’identificazione del momento preclusivo costituito dalla sua compiuta esecuzione (questione che si lascia allora impregiudicata), infatti, come ogni altra ordinanza del giudice dell’esecuzione (Cass. ord., 3 febbraio 2015, n. 1891), essa è certamente suscettibile di correzione di errore materiale; ma, per il visto principio di tendenziale reversibilità degli accertamenti del giudice dell’esecuzione anteriori alla fase distributiva (tranne il richiamato caso in cui sia stata già in precedenza dispiegata altra opposizione sul merito del punto specifico di sussistenza od entità del credito), la determinazione stessa è sempre utilmente suscettibile di revisione in sede distributiva, solo notandosi che l’eventuale, purchè (come non è accaduto nella fattispecie per altre ragioni) integrale, ottemperanza del debitore all’ordinanza non ancora modificata consegue di certo almeno l’effetto della sostituzione dello staggito con le somme versate (e della liberazione del primo).
p.4.5. Pertanto, è errata la statuizione in punto di rito sull’inammissibilità delle contestazioni dei creditori al merito della ricostruzione dell’esatta entità del credito: ciò che imporrebbe, trattandosi di domande non esaminate nel merito dal tribunale, semplicemente il rinvio ad esso affinchè le prendesse in considerazione nel merito; ma tale sviluppo è precluso dall’assorbente rilievo dell’esito finale complessivamente favorevole ai creditori, comunque raggiunto sulla base di altre circostanze e cioè sul riscontro del duplice ritardo nel versamento di almeno due rate, di radicale annullamento dell’ordinanza di assegnazione delle somme versate.
Non potrebbe quindi nella presente controversia giungersi, attesa la natura di giudizio rescindente normalmente riconosciuta all’opposizione agli atti esecutivi, ad alcun altro risultato di maggiore ampiezza per i creditori: i quali dovranno fare valere le censure sul quantum in sede di distribuzione, ferma la valutazione della sufficienza della condotta del debitore di ottemperanza all’ordinanza ammissiva ai fini almeno della liberazione dello staggito.
E le censure vanno quindi accolte, ma con mera correzione della motivazione in punto di assoluta inammissibilità delle modifiche dell’ordinanza ammissiva della conversione.
p.5. – Va ora affrontato il terzo motivo di ricorso principale, con cui sono dedotte – ai sensi, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, – la “violazione dell’art. 112 c.p.c. ” e la “violazione dell’art. 111 Cost., comma 6”, in ragione della prospettata omessa pronuncia sulla domanda di riconsiderazione del provvedimento di compensazione delle spese per la fase cautelare, svolta nel corso del giudizio.
A tanto ribatte il controricorrente per la definitività della pronuncia sulle spese, da impugnarsi, a suo dire, con le forme dell’art. 669septies c.p.c., nel testo anteriore alla modifica arrecata con L. 69/2009.
p.5.1. In linea di massima, sulle spese della fase sommaria di un’opposizione esecutiva deve provvedere il giudice che la conclude, anche se in sede di reclamo, potendo la relativa statuizione essere ridiscussa o riconsiderata, quando a quella fase segue quella di merito, in sede di regolazione complessiva delle spese dell’unitario giudizio (Cass. 24 ottobre 2011, n. 22033; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22503; Cass., ord. 22 novembre 2011, n. 24264; Cass., ord., 11 gennaio 2012, n. 190; Cass., ord., 26 gennaio 2012, n. 1126; Cass., ord., 6 marzo 2012, n. 3498; Cass., ord., 23 marzo 2012, n. 4760; Cass., ord. 13 aprile 2012, n. 6013; Cass. 18 settembre 2014, nn. 19638 e 19644; Cass., ord., 26 novembre 2014, n. 15169; Cass., ord., 8966 del 2015).
p.5.2. Tuttavia, nella specie il ricorso non soddisfa il requisito dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6: a questo riguardo, va ribadita la necessità (sul punto, tra le molte anche solo dell’ultimo anno, v. Cass. ord., 26 agosto 2014, n. 18218) che, per consentire a questa Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, nel ricorso si rinvengano sia l’indicazione della sede processuale di produzione dei documenti o di adduzione delle tesi su cui si fondano ed in cui si articolano le doglianze stesse, sia la trascrizione dei primi e dei passaggi argomentativi sulle seconde (tra le innumerevoli, v.: Cass. ord., 16 marzo 2012, n. 4220; Cass. 1 febbraio 1995, n. 1161; Cass. 12 giugno 2002, n. 8388; Cass. 21 ottobre 2003, n. 15751; Cass. 24 marzo 2006, n. 6679; Cass. 17 maggio 2006, n. 11501; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984; Cass., ord., 30 luglio 2010, n. 17915, resa anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1; Cass. 31 luglio 2012,n. 13677; tra le altre del solo 2014: Cass. 11 febbraio 2014, nn. 3018, 3026 e 3038; Cass. 7 febbraio 2014, n. 2823 e n. 2865 e ord., n. 2793; Cass. 6 febbraio 2014, n. 2712, anche per gli errores in procedendo; Cass. 5 febbraio 2014, n. 2608; 3 febbraio 2014, nn. 2274 e 2276; Cass. 30 gennaio 2014, n. 2072).
p.5.3. Ma nel ricorso principale non viene riportato, con la necessaria puntualità, il tenore testuale – quanto meno in punto di motivazione sul regime delle spese – dell’ordinanza conclusiva del reclamo avverso l’ordinanza di sospensione resa nella fase sommaria dell’opposizione definita con la sentenza qui gravata (essendo manifestamente insufficiente la menzione della doglianza sul punto sviluppata, riportata a pag. 21 del ricorso), nè se ne indica compiutamente la sede processuale di produzione.
Eppure, la prospettata ingiustizia della compensazione poteva essere apprezzata soltanto con la chiara indicazione della motivazione (o, in alternativa, della sua assenza totale, non addotta in modo chiaro) della complessiva ordinanza di rigetto dell’impugnazione cautelare, anche per valutare – secondo l’interpretazione prevalente della norma posta dal testo applicabile ratione temporis dell’art. 92 c.p.c. – la sussistenza o meno di ragioni implicite di compensazione di quella complessiva – parziali essendo gli elementi desumibili dai soli atti riportati alle pagg. 9 a 11 del ricorso – fase cautelare.
E tale carenza di un requisito imprescindibile di contenuto-forma del ricorso preclude allora nel merito la disamina della relativa doglianza, che va dichiarata inammissibile.
p.6. – Deve ora affrontarsi il quarto motivo, con il quale i ricorrenti principali adducono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la “falsa applicazione del D.M. 20 luglio 2012,n. 140, art. 41, con violazione dell’art. 11 preleggi, dell’art. 9, comma 3, del D.M. 1/2012 convertito dalla l. 27/2012, e del D.M. 127/2004”: in sostanza, invocando la necessità di applicare, per la liquidazione dei compensi, le tariffe vigenti al momento in cui l’attività defensionale, compiutamente eseguita, era stata espletata.
A detta del controricorrente, invece, l’entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, si è avuta – il 23.7.12 – e quindi anteriormente alla definitiva cessazione dell’attività defensionale (indicata – pag. 8 del ricorso incidentale, riga 16a – nel 1.8.13 e poi – riga successiva – nel 21.9.12), con conseguente correttezza dell’applicazione della norma sopravvenuta.
p.6.1. Ora, effettivamente erra la gravata sentenza nell’affermare l’applicabilità della norma sopravvenuta anche alle attività compiutamente esauritesi sotto il vigore della precedente tariffa forense, tanto ricavando dalla disposizione del decreto ministeriale sulla sua applicabilità a tutte le liquidazioni successive alla sua entrata in vigore.
Infatti, “in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012,n. 140, art. 41, il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comam 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata” (Cass., sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17405). Pertanto, il giudice che deve liquidare le spese processuali relative ad un’attività difensiva ormai esaurita deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l’attività stessa è stata compiuta, sicchè, per l’attività conclusa nella vigenza del D.M. n. 127 del 2004, deve applicare le tariffe da questo previste e non i parametri sopravvenuti ai sensi del D.M. 20 luglio 2012,n. 140, art. 41, (Cass. 18 dicembre 2012, n. 23318).
p.6.2. Anche in questo caso, peraltro, il pur sussistente errore in diritto – sul punto – della gravata sentenza non può comportarne la cassazione.
Invero, difetta il presupposto, riconosciuto da questa Corte quale fondamento dell’applicazione della previgente tariffa professionale, dell’esaurimento dell’attività professionale al momento dell’entrata in vigore del D.M. 140/2012: non bastando, a tal fine, che la nota spese sia stata redatta appunto prima dell’entrata in vigore del detto ultimo decreto ministeriale.
Da un lato, infatti, già la nuova normativa – introdotta con il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con modif. in L. 24 marzo 2012, n. 27, in vigore in tempo sicuramente anteriore alla data di redazione della nota spese – ha previsto il passaggio dal sistema di liquidazione separata di “onorari” e “diritti di procuratore”, quanto ai secondi necessariamente riferito alle singole attività processuali, ad un sistema che fa riferimento all’attività professionale nel suo complesso.
Dall’altro lato, a quest’ultimo fine ritiene il Collegio necessario fare riferimento al momento in cui la liquidazione è operata, quale capo della sentenza che segna il momento finale dell’attività svolta dall’avvocato.
Pertanto, sia pure corretta la motivazione della gravata sentenza, non erra il giudice di merito ad applicare alla fattispecie il D.M. 140/2012.
p.7. – Va, per completare la disamina del ricorso principale, ora esaminato il quinto motivo, con cui gli originari opponenti si dolgono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – di “violazione del D.M. Giustizia n. 140 del 2012, art. 4, e art. 11”: invocando, ma in caso di rigetto del quarto motivo, riconoscersi il compenso per la fase istruttoria – in ogni caso non definibile come mancata – e comunque non discostarsi in minus dal valore medio di liquidazione nonostante i riscontrati “complessità e pregio” dell’opera prestata dal difensore.
Nonostante la novità della questione in relazione alle specifiche liquidazioni operate sotto il vigore del D.M. 140/2012, non si ha motivo di non estendere ad essa le conclusioni raggiunte ed i principi elaborati in tema di doglianza sulle liquidazioni delle spese sotto il vigore del sistema delle tariffe professionali, attesane la sostanziale uniformità strutturale: è necessario quindi anche in questo caso limitare l’ammissibilità delle contestazioni alla violazione dei limiti minimi e massimi previsti ed escludere, ove tale violazione non sussista, quella delle doglianze sull’entità delle liquidazioni concrete, la quale atterrebbe ad una valutazione discrezionale istituzionalmente riservata al giudice del merito (purchè scevra da evidenti vizi logici o giuridici); il tutto previa analitica indicazione, anche nel ricorso ed in ossequio al requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 6, (su cui vedi quanto annotato al p.5.2), degli importi ricavabili dal decreto stesso e la compiuta ed altrettanto analitica evidenziazione di come e perchè ne siano stati violati i limiti inferiore e superiore in relazione allo scaglione, ad ogni attività compiuta ed alle altre peculiarità del caso (per tutte, v.: Cass. ord., 19 novembre 2014, n. 24635; Cass. 4 luglio 2011, n. 14542; Cass. 29 aprile 1999, n. 4347). Ed è appena il caso di rilevare che pure in ipotesi di pluralità di soggetti unitariamente difesi l’aumento della liquidazione è facoltativo.
In applicazione di tale principio, la doglianza risulta quindi inammissibile, non avendo a tanto provveduto i ricorrenti.
p.8. – Va, a questo punto, esaminato il secondo motivo di ricorso incidentale.
Con esso B.L. si duole – richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3, – di “violazione dell’art. 91 c.p.c., e del D.M. n. 140 del 2012, art. 5”, contestando di potere essere destinatario di condanna alle spese, siccome non soccombente ma “sostanzialmente vincitore”.
Al riguardo, i ricorrenti principali controbattono che unico soccombente andava qualificato l’opposto, loro controparte, evidenziando quali e quante delle sue pretese erano state disattese, in comparazione con l’ambito dell’accoglimento delle loro. E, in ordine allo scaglione da individuare, si diffondono sugli elementi per la corretta quantificazione del valore della controversia.
Il motivo è infondato.
Per giurisprudenza consolidata, il soccombente non ha un diritto a vedersi compensate le spese, essendo pienamente discrezionale il relativo potere del giudice del merito (tra le innumerevoli, v. Cass., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14989, ovvero Cass. 31 marzo 2006, n. 7607) ed essendo il regolamento delle spese soggetto alla sola regola per la quale non può la parte integralmente vittoriosa essere condannata nemmeno in parte alle spese di lite della controparte (per tutte: Cass. 1 1gennaio 2008, n. 406; Cass. 22 luglio 2009, n. 17145; Cass. sez. un., 3 febbraio 2011, n. 2546; Cass. 30 dicembre 2011, n. 30570; Cass. 31 marzo 2015, n. 6445; Cass. 15 maggio 2015, n. 10037).
Ma, nella specie, sia pure senza vedersi accolte tutte le domande o le difese, i creditori opponenti sono indiscutibilmente vittoriosi nell’espletamento di un’opposizione agli atti esecutivi avverso un’ordinanza del giudice dell’esecuzione, del resto annullata proprio in esito alla loro iniziativa processuale.
p.9. – Infine, va preso in considerazione il terzo motivo di ricorso incidentale, con cui il B. lamenta – richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3, – “violazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 6, e delle tabelle degli onorari e dei diritti in esso previste”, sia pure per il caso di rigetto della prima parte del secondo motivo di ricorso incidentale e di accoglimento del quarto motivo di ricorso principale: in particolare, deducendo che il valore della controversia da prendere a base per la liquidazione non potrebbe eccedere lo scaglione “da Euro 5.200,00 ad Euro 25.900,00”, perchè costituito dalla sola entità degli interessi legali su Euro 21.000 per alcuni anni.
Sul punto, i ricorrenti principali eccepiscono preliminarmente il difetto di autosufficienza e comunque ribadiscono come lo scaglione cui rapportare il valore della controversia sia quello da loro individuato nell’atto introduttivo dell’opposizione e come sia ingiusta la pretesa di limitare ai valori medi la liquidazione dei compensi.
Il motivo è infondato: oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi è l’ordinanza del 15.11.07 nel suo complesso considerata, tanto che essa, in accoglimento di almeno uno dei motivi degli opponenti creditori, è stata in toto annullata: pertanto, è il suo valore – compreso appunto nello scaglione immediatamente superiore ad Euro 52.000 – che deve essere preso a riferimento, come del resto correttamente ha fatto il giudice del merito.
p.10. – Il ricorso principale – benchè solo previamente corretta in due punti la motivazione della gravata sentenza – e quello incidentale vanno pertanto rigettati: e la reciprocità della soccombenza rende di giustizia la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
p.11. – Inoltre, deve trovare applicazione il d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante totalmente soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del comma 1 bis, del medesimo art. 13.
L’integrale non fondatezza – sia pure, quanto al primo, previa correzione in almeno due occasioni della gravata sentenza – dell’uno e dell’altro motivo comporta allora che sia i ricorrenti principali che quello incidentale siano tenuti al pagamento della relativa somma in relazione a quanto da ciascuno rispettivamente già versato o dovuto a titolo di contributo unificato per il ricorso principale e per quello incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale;
compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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