Corte di Cassazione, ordinanza n. 16664 depositata il 12giugno 2023
dichiarazione di terzo negativa – ogni atto adottato dall’ente impositore che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria è impugnabile davanti al giudice tributario
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria provinciale di Siena, con sentenza n. 175/16 del 24 maggio 2016, sul ricorso proposto da L.L. contro l’Agenzia delle Entrate di Siena, per la dichiarazione dalla stessa rilasciata quale terzo pignorato ex art. 547 cod. proc. civ., nella procedura di pignoramento promossa dal ricorrente per il recupero di propri crediti professionali per l’ammontare di euro 61.586,61 nei confronti della società S.P. Cooperativa Edilizia, aveva accertato, in esito alla consulenza tecnica d’ufficio disposta, la sussistenza di un credito ammontante a euro 142.995,00 alla data del 7 ottobre 2014 e la sussistenza dei requisiti previsti dagli artt. 30 e 38 bis P.R. n. 633/1972 per la sua esigibilità.
2. La Commissione tributaria regionale, adita dall’Agenzia delle Entrate, ha rigettato l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:
-) doveva riconoscersi all’accertamento del credito sul quale veniva esercitata la procedura di pignoramento natura tributaria in quanto il debitore esecutato (società cooperativa S.P.) era assoggettato alla procedura di pignoramento ex art. 547 cod. proc. civ. con effetti sul credito che aveva nei confronti del terzo pignorato, che nello specifico era l’Agenzia delle Entrate;
-) la giurisdizione di legittimità attribuiva espressamente tale competenza al giudice tributario, in ragione dell’ampliamento dei confini delineati dell’art. 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992 che ricomprendeva «i tributi di ogni genere e specie comunque denominati» e sempre che si trattasse di controversie in cui fosse configurabile un rapporto di natura effettivamente tributaria e cioè afferente a prestazioni patrimoniali di natura tributaria;
-) sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, gli atti elencati nell’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992 costituivano il catalogo degli atti impugnabili per i quali era immediata loro natura impositiva, ma la relativa tassatività doveva essere estesa non tanto ai singoli atti nominativamente indicati ma alla individuazione di «categorie» da definirsi in relazione agli effetti giuridici prodotti dagli atti elencati, ciò che consentiva una interpretazione estensiva della norma in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost), ferma restando la mera facoltatività dell’impugnazione;
-) non poteva, quindi, essere accolta, per tutte le considerazioni sopra svolte, l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo proposta dall’Agenzia delle Entrate sulla scorta della semplice affermazione che l’atto non era previsto dall’art. 19 del decreto legislativo n. 546/1992, investendo la controversia un rapporto di natura indubbiamente tributaria;
-) per le stesse ragioni non poteva essere considerato tardivo il ricorso, dovendosi ritenere corretta, nel rispetto delle distinte procedure interessate e del necessario coordinamento delle relative norme, che il termine per l’impugnazione decorreva dalla data in cui era stata tenuta l’apposita udienza nella quale il giudice dell’esecuzione, preso atto del contenuto della dichiarazione, aveva concesso il termine per l’accertamento dell’obbligo del terzo ai sensi dell’art. 549 cod. proc. civ.; questo indipendentemente dalla data in cui la stessa dichiarazione fosse stata notificata alla parte ricorrente, in quanto la dichiarazione di terzo non poteva essere impugnata fino alla data della udienza indetta dal giudice ordinario;
-) anche le denunciate trattenute per carichi pendenti, effettuate dall’Amministrazione successivamente alla cristallizzazione del credito determinato dal consulente incaricato, come riconosciuto dai giudici di primo grado, dovevano essere autorizzate dal Giudice della esecuzione previa informazione del creditore, come aveva giustamente osservato l’appellato.
3. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi.
4. L.L. resiste con controricorso.
5. La società S.P. Società Cooperativa Edilizia, in liquidazione, non ha svolto difese.
6. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo mezzo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’artt. 101 e 102 cod. proc. civ. e degli artt. 14 e 29 del decreto legislativo 546/1992, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.. La sentenza della Commissione tributaria regionale era nulla per avere deciso la controversia in assenza della corretta integrazione del contraddittorio nei confronti del debitore esecutato (la società cooperativa S.P.), così violando il principio di diritto espresso dalle sezioni unite della Corte nella materia de qua (Cass., Sez. U., n. 3773/2014). Nel caso di specie la società debitrice esecutata, chiamata in causa nel giudizio di primo grado e, dunque parte processuale del giudizio, non si era costituita. A fronte di tale circostanza, la decisione impugnata era errata nella parte in cui, attesa la mancata notificazione del ricorso in appello a tale parte processuale, non aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio, così pronunciando una decisione che violava i principi del litisconsorzio, quantomeno processuale.
2. Il secondo mezzo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata meritava di essere cassata nella parte in cui i giudici di secondo grado si erano limitati ad affrontare, respingendole, le eccezioni preliminari relative all’inammissibilità del ricorso senza successivamente scendere nel merito della controversia. Una volta rigettate le eccezioni di inammissibilità, infatti, i giudici regionali avrebbero dovuto pronunciarsi sugli altri motivi di appello riguardanti l’esistenza e l’ammontare dei crediti nonché la rimborsabilità degli stessi. In particolare, nell’atto di appello, alle pagine 7 e ss., (trascritte alle pagine 9 – 15 del ricorso per cassazione) l’Ufficio aveva censurato la decisione di primo grado nella parte in cui, recependo acriticamente le valutazioni del consulente tecnico d’ufficio, che aveva appurato l’esistenza di un credito IVA pari a euro 995,00 rimborsabile ai sensi dell’art. 30, comma 4, del d.P.R. n. 633/1972, non aveva tenuto conto della necessità di ulteriori controlli ai fini della rimborsabilità del credito, non potendo ritenersi sufficiente ai fini dell’esistenza e della rimborsabilità dello stesso il mero riporto in dichiarazione. La sentenza impugnata, a fronte delle puntuali censure esposte dall’Ufficio, nulla aveva statuito sull’esistenza e l’ammontare del credito IVA alla data del pignoramento; sui presupposti per la rimborsabilità e sull’entità del possibile rimborso e sul completamento della procedura del rimborso.
3. Il terzo mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 del decreto legislativo 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza di appello era da censurare anche nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione di tardività del ricorso, in quanto l’art. 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992, fissava per l’impugnazione il termine di 60 giorni dalla notifica del relativo provvedimento. Nel caso di specie, il ricorso era inammissibile in quanto notificato oltre il termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento impugnato, che era avvenuta in data 22 gennaio 2015, come risultava chiaramente dalla ricevuta di avvenuto ricevimento allegata alle controdeduzioni in primo grado e trascritta alle pagine 19 e 20 del ricorso per cassazione, mentre il ricorso era stato notificato (tardivamente) in data 14 aprile 2015. Se era vero che con verbale di udienza del 6 marzo 2015, il Tribunale di Siena, preso atto della dichiarazione negativa, aveva concesso al contribuente un termine di 60 giorni per l’introduzione del giudizio di accertamento, tuttavia, appariva evidente che stante la natura impugnatoria dei giudizi tributari, che richiedevano obbligatoriamente un atto impositivo impugnabile, non ammettendo azioni di accertamento preventivo, il termine per impugnare l’atto ritenuto illegittimo, decorreva dalla data di notifica/ricevimento dello stesso. Non era, quindi, condivisibile l’assunto dei giudici regionali che avevano fatto decorrere il termine per impugnare sull’erroneo presupposto che la dichiarazione non poteva essere impugnata fino alla data dell’udienza tenuta dal giudice dell’esecuzione.
4. Il quarto mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 30 e 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Il consulente tecnico d’ufficio aveva riscontrato l’esistenza del credito IVA, nonché la sua rimborsabilità sulla base del presupposto della minore eccedenza del triennio, ai sensi dell’art. 30, comma 4, d.P.R. n. 633/1972, ma tale controllo non esauriva la gamma dei controlli da effettuare al fine di riscontrare il requisito della rimborsabilità, dovendo essere pure verificata la sussistenza di «carichi pendenti», cioè di crediti erariali, che l’Agenzia aveva diritto di trattenere prima di procedere al rimborso. Sussistevano, infatti, varie disposizioni speciali, che consentivano all’Agenzia di far valere i propri crediti (anche se non definitivi), nei confronti del contribuente che chiedeva un rimborso: l’art. 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997; l’art. 69 del R.D. n. 2440 del 1923, per come modificato dal decreto legge n. 182/2005; l’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972; l’art. 28 ter del d.P.R. n. 602 del 1973. Sulla base di tali disposizioni speciali, che ricalcavano possibilità comunque previste anche nei rapporti civili (artt. 1241 e del codice civile sulla compensazione), l’Agenzia poteva e doveva opporre al contribuente cui spettava un rimborso i crediti vantati nei di lui confronti e tale opposizione poteva essere esercitata anche nei confronti del terzo creditore pignorante. Orbene, come già rilevato, con riferimento alla questione dei c.d. carichi pendenti, i giudici di secondo grado non si erano pronunciati, rinviando ogni valutazione sull’argomento al Giudice dell’esecuzione, così limitandosi a verificare soltanto la situazione debitoria dell’Erario verso la società cooperativa S.P., senza considerare anche la situazione creditoria..
5. Il terzo motivo, la cui trattazione è prioritaria rispetto ai restanti motivi, è fondato.
5.1 Deve premettersi che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del decreto legislativo 546/1992 – come effetto della riforma della giurisdizione tributaria in esito alla novella dell’art. 2 del decreto legislativo n. 546/1992 in materia di giurisdizione tributaria ex art. 12, comma 2, legge 28 dicembre 2001, n. 448 – pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, sicché va ribadito il principio secondo cui «In tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, con i quali l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, dovendo intendersi la tassatività riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente indicati ma alle categorie a cui questi ultimi sono astrattamente riconducibili, nelle quali vanno ricompresi gli atti atipici o con “nomen iuris” diversi da quelli indicati, che però producono gli stessi effetti giuridici, ed anche gli atti prodromici degli atti impositivi, sicché è da ritenersi impugnabile, quale diniego di agevolazione, l’atto di diniego parziale di estinzione di tributi iscritti a ruolo, essendo immediatamente lesivo dei diritti del contribuente» (Cass. civ., 20 gennaio 2023, n. 1797; Cass. 8 aprile 2022, n. 11481; Cass., 30 gennaio 2020, n. 2144; Cass., 23 marzo 2016, n. 5723; Cass., 1 luglio 2015, n. 13548; Cass., 6 novembre 2013, n. 24916).
5.2 Con particolare riferimento alla vicenda in esame, va evidenziato che questa Corte ha affermato che «Nel caso in cui il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo di cui all’art. 548 cod. proc. civ. abbia ad oggetto l’esistenza di un credito d’imposta del contribuente esecutato, la controversia investe un rapporto di natura tributaria e, pertanto, sussiste la giurisdizione del giudice tributario ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, 546, dovendosi ritenere – in virtù di una doverosa interpretazione estensiva del “catalogo degli atti impugnabili” di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) – che anche la dichiarazione negativa resa dall’Agenzia delle Entrate, terzo pignorato, costituisca espressione del potere impositivo ad essa spettante» (Cass., Sez. U., 18 febbraio 2014, n. 3773, richiamata anche dall’Agenzia ricorrente).
Le Sezioni Unite di questa Corte, in particolare, dopo avere evidenziato che, ai fini della delimitazione dell’ambito della giurisdizione tributaria, occorre attribuire esclusivo rilievo alla disciplina dettata dall’art. 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992 ed avere puntualizzato che tale disciplina non resta condizionata in senso limitativo dall’elencazione degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, ha espressamente affermato che la mancanza di uno di tali atti, non preclude l’accesso del cittadino alla tutela giurisdizionale ogni qualvolta esista un atto che si riveli comunque idoneo, in ragione del suo contenuto, a far sorgere l’interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. e ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice tributario, non sussistendo ragioni idonee ad impedire il riconoscimento della natura di atto costituente espressione del potere impositivo ad essa spettante alla dichiarazione negativa resa dall’Agenzia delle Entrate, quale terzo pignorato (cfr. anche Cass., Sez. U., 5 maggio 2014, n. 9570, pure richiamata dall’Agenzia ricorrente).
5.3 Orbene, posto questo principio, questa Corte ha anche osservato che la facoltà di impugnazione deve essere esercitata – secondo regola generale – nel rispetto del termine previsto di 60 giorni ex art. 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992, poiché l’avvenuta conoscenza dell’atto esplica effetto in ordine non soltanto alla determinazione in capo al contribuente della legittimazione ad impugnare, ma anche al termine di esercizio di tale legittimazione. Tanto più considerato che né la tipologia non direttamente impositiva dell’atto impugnato, né le modalità non notificatorie della sua conoscenza da parte del contribuente, sono in grado di mutare – mediante l’ipotetica configurazione, in realtà non prevista dall’ordinamento, di un’azione, sempre proponibile, di accertamento negativo del debito tributario – la natura prettamente impugnatoria del processo di cui l’atto viene a costituire l’oggetto precipuo; con conseguente applicabilità delle modalità generali di introduzione del giudizio di impugnazione, a cominciare appunto dal termine decadenziale di proposizione. E’ dunque evidente che tale termine deve essere osservato per il solo fatto che l’impugnazione venga proposta; ed indipendentemente dalla sua facoltatività in tutti quei casi nei quali si ritenga comunque la permanenza, in capo al contribuente, del diritto di impugnare anche il primo atto impositivo in senso stretto che gli venga successivamente notificato (cfr. Cass., 30 maggio 2017, n. 12584, in motivazione).
In definitiva, resta assodato che, per ragioni di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A. (valori che presuppongono entrambi la sollecitazione tempestiva, e non esperibile sine die, della verifica giurisdizionale), ogni atto adottato dall’ente impositore che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria – con esplicitazione delle sue concrete ragioni fattuali e giuridiche, ed anche senza necessità che si manifesti in forma autoritativa – è impugnabile davanti al giudice tributario, per quanto non incluso nell’elenco di cui all’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992; tuttavia, è necessario che l’impugnazione così proposta risponda alla disciplina generale che le è propria. In primo luogo, essa dovrà dunque rispondere al requisito di tempestività ex art. 21 del decreto legislativo n. 546/1992; requisito la cui sussistenza deve essere provata, per regola generale, dallo stesso ricorrente con riguardo alla data di avvenuta conoscenza dell’atto enunciativo della pretesa tributaria contestata.
5.4 La Corte afferma, dunque, come precisato anche da autorevole dottrina, che il fatto stesso dell’azione giudiziale avviata innanzi una Commissione tributaria implica ipso facto l’applicabilità delle modalità generali di introduzione del giudizio di impugnazione, a cominciare appunto dal termine decadenziale di proposizione, senza che a ciò possa opporsi né la tipologia non direttamente impositiva dell’atto impugnato, né le modalità non notificatorie della sua conoscenza da parte del contribuente; sottolinea altresì il collegio che l’impugnazione tardiva dell’atto denotante la pretesa impositiva comporta la definitività di quest’ultimo, sebbene (vista la sua momentanea inidoneità a produrre effetti di natura provvedimentale, autoritativa ed esecutiva) soltanto nel senso formale della preclusione alla sua ulteriore ed autonoma impugnabilità.
5.5 Mette conto ribadire, per completezza, che l’omessa indicazione, nell’atto impositivo, delle informazioni relative all’autorità cui proporre ricorso e del termine entro cui il destinatario può impugnare non determina l’invalidità del provvedimento, ma comporta sul piano processuale, avuto riguardo alle circostanze concrete, la scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, da esaminarsi caso per caso, con conseguente possibilità di remissione in termini, istituto applicabile al rito tributario, operante tanto nella versione prevista dall’art. 184 bis proc. civ., quanto in quella, più ampia, prefigurata nel novellato art. 153, comma 2, cod. proc. civ., sia con riferimento alle decadenze relative ai poteri processuali interni al giudizio, sia a quelle correlate alle facoltà esterne e strumentali al processo, quali l’impugnazione dei provvedimenti sostanziali (Cass., 17 giugno 2021, n. 17237).
5.6 In conclusione, dunque, vengono in rilievo le seguenti circostanze: la dichiarazione di terzo negativa è atto autonomamente impugnabile; la competenza, nel caso di specie, è del giudice tributario, con conseguente applicazione delle norme che regolano il processo tributario, che ha natura anche impugnatoria, oltre che di merito; il termine di decadenza ex 21 del decreto legislativo n. 246 del 1992 decorre dalla notifica della dichiarazione di terzo negativa, atto autonomamente impugnabile.
5.7 La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi suesposti, laddove, pur avendo correttamente precisato che la controversia aveva ad oggetto un rapporto di natura indubbiamente tributaria, non ne ha, poi, tratto le dovute conseguenze, affermando che il ricorso non poteva essere considerato tardivo, in quanto il termine per l’impugnazione decorreva dalla data in cui era stata tenuta l’apposita udienza nella quale il giudice dell’esecuzione, preso atto del contenuto della dichiarazione, aveva concesso il termine per l’accertamento dell’obbligo del terzo ai sensi dell’art. 549 cod. proc. civ. e questo indipendentemente dalla data in cui la dichiarazione di terzo ex art. 547 proc. civ. fosse stata notificata alla parte ricorrente, in quanto la dichiarazione di terzo non poteva essere impugnata fino alla data della udienza indetta dal giudice ordinario; ed invero, poiché l’atto impugnato era proprio la dichiarazione di terzo (negativa), inviata via pec il 22 gennaio 2015, in quanto atto impositivo atipico, che aveva portato a conoscenza del creditore Leonardo Luchini le ragioni fattuali e giuridiche della pretesa tributaria, negata sulla base della dichiarata inesistenza di richieste di rimborso e del fatto che la semplice indicazione nella dichiarazione di imposte a credito non comportava la certezza, liquidità ed esigibilità del credito; l’effettività della controversia rende, inoltre, evidente che il creditore ha inteso contrastare la dichiarazione di terzo negativa, giungendo all’accertamento del credito dallo stesso vantato nei confronti della società cooperativa edilizia S.P., ovvero all’accertamento del credito pignorato e, dunque, alla sussistenza di un credito Iva rimborsabile ai sensi dell’art. 30, comma 4, del d.P.R. n. 633/1972.
Questa Corte, sul punto, ha affermato che «L’art. 1, secondo comma lettera d), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nel testo applicabile alla fattispecie, dispone che appartengono alla competenza delle commissioni tributarie le controversie in materia di imposta sul valore aggiunto, fatte salve apposite disposizioni. Il successivo art. 16 aggiunge che “nei casi in cui il contribuente afferma essere sopravvenuto il diritto al rimborso, si considera imposizione il rifiuto di restituzione della somma pagata, ovvero il silenzio dell’amministrazione per novanta giorni dalla intimazione a provvedere“. Da queste disposizioni si ricava che: in materia di crediti Iva la giurisdizione tributaria è individuata dall’oggetto della domanda e non dal soggetto titolare del credito; la domanda di pagamento di un credito Iva, contestato dall’Amministrazione, appartiene alla giurisdizione delle commissioni tributarie» (Cass., Sez. U., 4 giugno 2002, n. 8090; Cass., Sez. U., 19 novembre 2007, n. 23835; Cass., Sez. U., 17 aprile 2009, n.9142; Cass., Sez. U. 28 novembre 2018, n. 30751).
6. Pertanto, ritenuta la fondatezza del terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, comma terzo, cod. proc. civ., ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria per l’intervenuta decadenza del ricorso introduttivo ai sensi dell’art. 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992 (notifica della dichiarazione di terzo negativa in data 22 gennaio 2015; ricorso notificato in data 14-15 aprile 2015, oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992) e, pronunciando sul ricorso, va dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto da L.L. in data 14-15 aprile 2015 presso la Commissione tributaria provinciale di Siena.
Le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità, in ragione della relativa novità della questione trattata, vanno interamente compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa senza rinvio la decisione impugnata e, pronunciando sul ricorso, dichiara l’inammissibilità del ricorso notificato da L.L. in data 14-15 aprile 2015 presso la Commissione tributaria provinciale di Siena.
Compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
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