La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16355 del 28 giugno 2013, ha affermato che, in tema di imposta di registro e di relativi benefici fiscali per l’acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, e non ha alcuna rilevanza la diversa residenza anagrafica del coniuge che ha acquistato in regime di comunione.
Gli Ermellini hanno precisato che i coniugi non sono tenuti a una comune residenza anagrafica, ma bensì alla reciproca coabitazione: quindi, un’interpretazione della legge tributaria conforme ai principi del diritto di famiglia, induce a considerare che la coabitazione con il coniuge costituisce un elemento adeguato al soddisfacimento del requisito della residenza in ambito tributario. La Corte Suprema ha infatti chiarito che “ai fini della fruizione dei benefici fiscali in questione, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile debba essere riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza in tale Comune, e ciò in ogni caso in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ex art. 177 c.c., quindi, sia in caso di acquisto separato, che in caso di acquisto comune del bene stesso”. Anche ai fini tributari, dunque, prevale l’interesse del nucleo familiare su quello dei singoli soggetti.
La vicenda inizia con la notifica dell’avviso di liquidazione con cui l’Ufficio aveva revocato i benefici “prima casa”, non avendo il contribuente provveduto a trasferire, entro il termine di legge, la propria residenza nel comune ove era ubicato l’immobile acquistato.
Il contribuente impugna tale atto impositivo inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglie le doglianze dello stesso annullando l’avviso di liquidazione.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale che, in accoglimento delle motivazioni dell’Ufficio, riformava la sentenza di primo grado. I giudici di appello ritenevano necessario, per il godimento dell’agevolazione, il trasferimento della residenza anagrafica, rilevando, comunque, che l’asserita modifica della residenza di fatto non era stata dimostrata.
Il contribuente ricorreva alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria regionale basandola su tre motivi.
Gli Ermellini nell’accogliere il ricorso del contribuente precisano, in riferimento al consolidato orientamento della Corte, che “in tema di imposta di registro e di relativi benefici per l’acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, per cui, ove l’immobile acquistato sia adibito a residenza della famiglia, non rileva la diversa residenza del coniuge dì chi ha acquistato in regime di comunione (Cass. n. 13085 del 2003; n. 14237 del 2000, ord. n. 2109 del 2009). In particolare, è stato precisato che i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma reciprocamente alla coabitazione (art. 143 c.c.), quindi una interpretazione della legge tributaria conforme ai principi del diritto di famiglia induce a considerare che la coabitazione con il coniuge costituisce un elemento adeguato a soddisfare il requisito della residenza ai fini tributari (Cass. n. 14237 del 2000, cit.), in quanto ciò che conta “non è tanto la residenza dei singoli coniugi, quanto quella della famiglia: l’art. 144 c.c., secondo il quale i coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa (che è una esplicitazione ed una attuazione della più ampia tutela che l’art. 29 Cost. assegna alla famiglia), mentre da una parte riconosce che i coniugi possano avere delle esigenze diverse ai fini della residenza individuale, dall’altra tende a privilegiare le esigenze della famiglia, quale soggetto autonomo rispetto ai coniugi; pertanto, anche la norma tributaria va letta ed applicata nel senso che diventa prevalente l’interesse della famiglia rispetto a quello dei singoli coniugi, per cui il metro di valutazione dei requisiti per ottenere il beneficio deve essere diverso in considerazione della presenza di un’altra entità, quale la famiglia (cfr. Cass. n. 2109 del 2009, cit.)”.
Pertanto i giudici di legittimità alla luce del principio enunciato affermano che, ai fini della fruizione dei benefici fiscali in questione, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile debba essere riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza in tale Comune, e ciò in ogni caso in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ex art. 177 c.c. quindi sia in caso di acquisto separato che in quello di acquisto congiunto del bene stesso.
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