La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 36807 depositata il 5 settembre 2023, intervenendo in tema di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali di cui all’artt. 223 comma 2 n. 1 L. fall. previgente, 329 comma 2 n. 1 del DLgs. n. 14/2019, ha affermato che “… il reato di false comunicazioni sociali, in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, attesa la loro intrinseca opinabilità, è configurabile solo in presenza di criteri predeterminati e vincolanti ai quali il redattore deve attenersi. In questi casi, divenendo un modo di rappresentare la realtà (in termini di coerenza o meno con i predetti criteri) non dissimile dalla descrizione o dalla constatazione, la valutazione sarà “falsa” ove si discosti consapevolmente dai detti criteri senza fornire adeguata informazione giustificativa.
Ciò considerato, l’art. 2426 cod. civ., in un ottica di valutazione prudenziale dei cespiti patrimoniali, indica, per le immobilizzazioni, quale criterio di iscrizione in bilancio, il costo di acquisto o di produzione. Un valore che, essendo riferito a bene la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve essere sistematicamente ammortizzato In ogni esercizio in relazione alla loro residua possibilità di utilizzazione, ripartendo il costo sostenuto sull’intera durata di utilizzazione.
Il criterio, in quanto diretto ad assicurare la trasparenza e la leggibilità del bilancio da parte del soci e del terzi, è inderogabile, nel senso che non sono ammesse rivalutazioni discrezionali o volontarie delle immobilizzazioni materiali ovvero rivalutazioni che non derivino dall’applicazione della legge (Cass. civ., Sez. 5, n. 11091 del 7 maggio 2008; principio OIC n. 16), tanto più nelle ipotesi in cui la gestione caratteristica sia in perdita (comunicazione Consob n. 92000699 del 7 febbraio 1992). …”
La vicenda ha riguardato due amministratori, succedutesi nel tempo, di una società di capitale fallita. I due ex amministratori venivano riconosciuti colpevoli dei reati loro ascritti (bancarotta impropria attraverso false comunicazioni sociali, bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta preferenziale, bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta semplice) dal Tribunale. I due imputati impugnarono la sentenza di primo grado. I giudici di appello in parziale riforma della condanna pronunciata in primo rado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli Imputati in relazione all’imputazione di bancarotta semplice, essendosi il reato estinto per intervenuta prescrizione. Avverso tale sentenza gli imputati propongono ricorso per cassazione fondato su cinque motivi d’impugnazione.
Gli Ermellini annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condotta di bancarotta preferenziale per essere il reato estinto per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata in relazione a FF e alle “residue imputazioni di bancarotta impropria realizzate attraverso false comunicazioni sociali successive al 28.7.2003” e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello.
In ordine al reato di bancarotta fraudolente per distrazione il Supremo consesso ha riaffermato l’orientamento consolidato secondo cui “… ove l’atto distrattivo consista nell’occultamento di beni sociali, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni (che in epoca anteriore o prossima al fallimento erano nella disponibilità della società dichiarata fallita) può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini {Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Rv. 267710; Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385).
Ciò, evidentemente, trova il suo presupposto logico nell’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni nella loro esatta dimensione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, Rv. 248425). Accertamento che non è condizionato né da uno specifico onere di dimostrazione in capo al fallito, né dalla presunzione di attendibilità del corredo documentale dell’impresa prevista dall’art. 2710 del codice civile. Corredo che, invece, deve essere valutato (quanto, appunto, al profilo dell’attendibilità) secondo i consueti parametri di scrutinio, di cui deve essere offerta adeguata motivazione (Sez. 5 n. 7588 del 26/01/2011, Rv. 249715). …”
I giudici di legittimità, sempre in ordine alle false comunicazioni sociali, precisano che “… Il criterio, in quanto diretto ad assicurare la trasparenza e la leggibilità del bilancio da parte del soci e del terzi, è inderogabile, nel senso che non sono ammesse rivalutazioni discrezionali o volontarie delle immobilizzazioni materiali ovvero rivalutazioni che non derivino dall’applicazione della legge (Cass. civ., Sez. 5, n. 11091 del 7 maggio 2008; principio OIC n. 16), tanto più nelle ipotesi in cui la gestione caratteristica sia in perdita (comunicazione Consob n. 92000699 del 7 febbraio 1992).
Il criterio trova il suo limite solo nelle ipotesi (“eccezionali”) in cui risulti incompatibile con una rappresentazione veritiera e corretta del dato Iscritto (art. 2423, comma 5, cod. civ.). In questi casi, la nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicare l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, su quella finanziaria e sul risultato economico. E gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato e, quindi, dopo aver dato atto della effettiva realizzazione degli utili (solo potenziali) iscritti con la riserva; o in via diretta (tramite la cessione del bene), o in via indiretta (in seguito al recupero graduale delle quote di ammortamento con i ricavi d’esercizio). Ragioni che, in realtà, in quanto finalizzate ad evitare una “falsa” rappresentazione del dato economico, giustificano non solo la non distrlbuibilità (in termini di eventuali utili realizzati), ma anche la non disponibilità della detta riserva (in termini, ad esempio, di copertura delle perdite registrate).
Ebbene l’eccezionalità dei casi richiamata dall’art. 2423 cod. civ. non va intesa nel suo significato di “unicità” o “sporadicità”, ossia nel senso che la deroga sarebbe impiegabile “una tantum” o sporadicamente secondo la discrezionalità degli amministratori, ma come “eccezionalità gestionale”, ossia quale esistenza di uno scenario operativo del tutto atipico o imprevedibile, ove l’applicazione ortodossa delle norme avrebbe l’effetto di fare travisare ai terzi la realtà fattuale.
[…]
le sopravvenute modifiche normative che si sono succedute nel tempo (da ultimo la legge di bilancio 2023), pur incidendo sulla disciplina della rivalutazione dei beni d’impresa, (autorizzandole in deroga al disposto di cui all’art. 2426 cod. civ.) non determinano in alcun modo una (pur prospettata) abolito criminis, non solo in quanto, comunque, non permettono una rivalutazione discrezionale ed indiscriminata, ma anche perché, modificando (parzialmente) i soli criteri di redazione del bilancio, non incidono su un elemento rilevante ai fini della descrizione del fatto. Essendo la falsità (del dato valutativo), per come si è detto, connessa alla coerenza della valutazione rispetto a criteri predeterminati e vincolanti ed essendo tali criteri funzionali ad assicurare, nell’interesse dei creditori e, in generale, dei terzi che entrano in contatto con l’imprenditore, una rappresentazione veritiera, corretta e trasparente del dato economico, ciò che rileva è la valutazione di congruità operata alla luce dei criteri di valutazione vigenti al momento della consumazione del fatto, non avendo inciso la modifica dell’elemento normativo (peraltro mediata, realizzata attraverso una diversa disciplina dei criteri ai quali ancorare la valutazione di congruità della valutazione) sull’originario disvalore penale del fatto. …”
Pertanto alla luce della sentenza in commento la delimitazione rigorosa di tale limite costituisce profilo essenziale della disciplina, in quanto da esso dipende la veridicità, la correttezza e la chiarezza delle informazioni riportate nel bilancio e quindi, indirettamente, la tutela dei creditori e degli stessi soci.
Inoltre per la Suprema Corte il reato de quo sanziona l’alterazione del dato informativo rappresentato nel bilancio.
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