COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Abruzzo sez. 7 – Sentenza n. 839 depositata il 6 ottobre 2017
Con sentenza n. 785 del 25 novembre 2015 la Commissione tributaria provinciale di Pescara rigettava il ricorso proposto da A.S., titolare della ditta M.C. avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. redatto dalla G.d.f. in data 13/03/2013, da cui era emerso l’utilizzo da parte della predetta contribuente di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, emesse dalla O.C.E. LTD, con sede in Madeira, in quanto risultata mera cartiera, aveva ritenuto indeducibili, in relazione all’anno di imposta 2004, i costi relativi ad una fattura (n. xxx del xx/xx/2004), che recuperava a tassazione ai fini IRPEF. I giudici di primo grado, esclusa l’inammissibilità del ricorso per tardività della sua proposizione (ritenendo cumulabile il termine di sospensione di 90 giorni previsto dal d.lgs. n. 218 del 2997, art. 6, e quello previsto per il periodo feriale), riteneva infondato il motivo di impugnazione proposto dalla contribuente con riferimento all’inapplicabilità al caso di specie del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di violazione che comporta l’obbligo di denuncia penale, previsto dall’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, sul presupposto, dalla CTP ritenuto irrilevante, che il reato ravvisabile nel caso di specie di dichiarazione fraudolenta per operazioni inesistenti fosse prescritto. Avverso tale statuizione ha proposto appello la contribuente sostenendone l’erroneità e chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza con vittoria di spese processuali. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata che ha chiesto il rigetto dell’appello con vittoria di spese processuali. All’esito della discussione in pubblica udienza, la Commissione ha pronunciato il dispositivo in calce trascritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è palesemente infondato e va rigettato. Sostiene la ricorrente che nel caso in esame non sarebbe applicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 in quanto alla data di redazione del processo verbale di constatazione da palle della G.d.F. non sussisteva “a monte” alcuna notitia criminis relativamente all’anno di imposta 2004 perché già prescritto il reato astrattamente ipotizzabile, come ammesso dalla stessa «autorità giudiziaria penale». La tesi non è condivisibile. Invero, richiamando sul punto quanto affermato da Cass. n. 20043 del 2015, «non sussiste la denunciata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e della disciplina sul raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, in presenza di una notitia criminis di natura fiscale. Il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, al comma 24, ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in base alla previsione che “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti cioè gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 247/2011, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 26, (convertito nella L. n. 24$ del 2006), nella parte in cui prevede il raddoppio dei termini di accertamento nel caso di violazioni comportanti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, ha chiarito che: a) “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”; b) l’obbligo di denuncia “sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all’autorità giudiziaria penale”; c) “la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato”; d) subordinare il raddoppio dei termini a un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato, “contrasterebbe anche con il vigente regime del cosiddetto doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dal D.Lgs. n. 14 del 2000, art. 20”; e) l’obbligo di denuncia opera quando si “sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione e di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita”; f) il pubblico ufficiale “non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 c.p., per il caso di omissione o ritardo nella denuncia”; g) sussiste “il dovere del Giudice tributario di vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) la presenza dell’obbligo di denuncia”. Applicando tali principi di diritto alla fattispecie in esame, risulta evidente che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e l’intervenuta prescrizione del reato non è di per sè stessa d’impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, proprio perchè non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario». «Come osservato di recente» dalla Corte di cassazione «(Cass. 9974/20 15) “i principi enunciati dall’art. 37, come interpretato dalla Corte costituzionale, sono quelli consolidati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui, “perchè sussista l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 361 c.p., è sufficiente che il pubblico ufficiale che vi è tenuto ravvisi nel fatto il fumus di reato”… il che significa che “presupposto del concretizzarsi dell’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria è l’esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita”, mentre “i giudizi di valore complementari al fatto tipico vale a dire antigiuridicità e dolo, competono invece in via esclusiva all’autorità giudiziaria”. Per impedire che il raddoppio sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al P.M. notizie di reato manifestamente infondate al solo fine di beneficiare del più ampio termine di decadenza, la Corte costituzionale devolve al giudice di merito il compito di vigilare sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p., per l’insorgere dell’obbligo di denuncia e di negare l’applicazione del termine allungato in casi d’iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.c.), rivelatrici di un uso distorto dello strumento legale apprestato dall’art. 37». Nel caso di specie non emerge nulla di tutto ciò, mentre deve ribadirsi l’antigiuridicità della condotta tenuta dalla contribuente, l’irrilevanza dell’intervento di una causa di estinzione del reato già in epoca precedente al suo accertamento, anche se condiviso dalla G.d.f. e dall’autorità giudiziaria penale. Ne consegue che nel caso in esame l’Ufficio poteva legittimamente beneficiare del raddoppio dei termini per la notifica dell’avviso di accertamento. Conclusivamente, sul punto, la statuizione della sentenza impugnata va confermata in quanto corretta in diritto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione staccata di Pescara, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. xxx/2016 r.g.a., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede: – rigetta l’appello e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia appellata, delle spese del grado, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
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