CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26104 del 30 dicembre 2015
Ritenuto in fatto
1.— Con sentenza n. 35/06/2009, depositata il 16 marzo 2009 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc: «CTR») accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano 3, nei confronti della s.r.l. N., avverso la sentenza n. 246/31/2007 della Commissione tributaria provinciale di Milano (hinc: «CTP»), condannando la parte appellata al pagamento delle spese di lite.
2.— La CTR, per quanto qui rileva, nell’accogliere l’appello dell’Agenzia e nel modificare la decisione della CTP, affermava che: a) la tenuta di scritture contabili formalmente corrette non escludeva la legittimità dell’accertamento induttivo del reddito d’impresa, qualora la contabilità potesse ritenersi complessivamente inattendibile, perché confliggente con le regole di ragionevolezza; b) il conseguimento di maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati dall’impresa poteva essere desunto dalla difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella riscontrata nel settore economico di appartenenza, ove tale difformità raggiungesse livelli di abnormità ed irragionevolezza; c) nel caso di specie, la predetta differenza era da reputarsi macroscopica, perché la percentuale di ricarico applicata dal contribuente corrispondeva alla metà di quella media del settore commerciale di appartenenza; d) l’impugnato avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno 2000 e dell’importo di e 121.230,00, del resto, scaturiva dalla segnalazione di un acquisto di materiali di ricambio senza fattura, circostanza che giustificava il ricorso all’art. 39, comma primo, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973; e) la non contestata circostanza dell’acquisto di beni “in nero” corroborava la credibilità di quanto affermato dall’Agenzia dell’entrate, cioè che il settore commerciale di riferimento (acquisto, vendita e riparazione di kart) era caratterizzato da una notevole incidenza di operazioni non fatturate e da un peso dei ricambi sull’attività di riparazione che non superava la percentuale di circa un terzo; f) non aveva fondamento, pertanto, l’affermazione del contribuente secondo cui l’incidenza del “nero” non superava il 2,24%; g) neppure era stata provata la dedotta modifica della gestione aziendale nel periodo oggetto dell’accertamento; h) la contribuente aveva prodotto due contratti di assistenza tecnica per i kart stipulati con una società per azioni, ma non aveva depositato alcun contratto di acquisto di pezzi di ricambio o di componenti di motori, lasciando presumere che non fosse intervenuto alcun cambiamento nella gestione dell’impresa che contemplava anche acquisti “in nero”.
3.— Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 30 aprile / 3 maggio 2010, integrato da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., cui l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, notificato il 7 giugno 2010.
Considerato in diritto
1.— Con l’unico motivo di ricorso, la cui rubrica richiama (solo) l’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 39, comma primo, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., sostanzialmente per essere l’atto impositivo fondato «su un rilievo di limitata entità e di ridotta significatività».
2.— Il motivo è inammissibile, poiché contiene censure multiple, inestricabilmente cumulate tra loro (segnatamente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.).
3.— Invero la società contribuente, pur avendo articolato un motivo di ricorso formalmente unitario, intitolato «Violazione e/o falsa applicazione norme di diritto. Violazione dell’art. 39 comma 1, d.p.r n. 600 del 1973, art. 2727 e 2729 cod. civ.», lo sviluppa evidenziando una serie di circostanze fattuali, il cui approfondimento non è puntualmente accompagnato dalla specificazione dell’errore di diritto in cui sarebbe asseritamente incorsa la CTR, nella loro valutazione.
4.— Peraltro, nella formulazione conclusiva del quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., alla violazione di legge è stata aggiunta la deduzione dell’insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, con specifico riferimento all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., a riprova che – di fatto – la censura proposta riguardava proprio l’applicazione in concreto della regola di giudizio, piuttosto che la violazione di un principio di diritto o di specifiche norme giuridiche.
5.— In ogni caso, non si riscontra né un “quesito di diritto”, contenente la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie, né un “quesito di fatto”, contenente la chiara indicazione del fatto controverso e decisivo, oggetto della motivazione insufficiente o contraddittoria. A quest’ultimo proposito manca anzi, più radicalmente, la stessa formulazione conclusiva di un “momento di sintesi o di riepilogo”, la cui funzione è proprio quella di indicare in modo sintetico, evidente ed autonomo (rispetto al tenore testuale del motivo) il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
6.— E’ dunque la mancata distinzione tra i diversi motivi di ricorso contemplati dall’art. 360 cod. proc. civ. a rendere inammissibile il motivo di ricorso, poiché essa finisce per devolvere a questa Corte il compito (che non le spetta) di interpretare, enucleare, integrare ed esplicitare i profili d’impugnazione (sostanzialmente in tal senso, ex plurimis, n. 1906 e n. 9470 del 2008; n. 9793 e n. 12248 del 2013).
7.— Questa Corte ha infatti chiarito che l’inammissibilità di un motivo di ricorso per cassazione che prospetti una pluralità di questioni, precedute unitariamente dall’elencazione delle norme che si assumono violate e dalla deduzione del vizio di motivazione, discende proprio dal fatto che esso postula un inesigibile intervento integrativo della Corte medesima, la quale, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare essa stessa, per ciascuna delle doglianze enucleabili, lo specifico vizio motivazionale o di violazione di legge (Cass. n. 21611 del 2013).
8.— In ragione del principio di causalità, la società ricorrente va condannata a rimborsare le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il motivo di ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese di lite, che si liquidano in complessivi €. 5.250,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, in data 9 dicembre 2015.
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