CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 settembre 2019, n. 23781
Inps – Cartella esattoriale – Recupero di contributi previdenziali – Diritto alla fruizione dei benefici previsti per l’assunzione dei lavoratori dalle liste di mobilità – Accertamento ispettivo
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, rigettava l’opposizione proposta dalla M.T. srl contro la cartella esattoriale con cui l’Inps aveva agito per il recupero di contributi previdenziali richiesti a seguito di accertamento ispettivo, che aveva negato il diritto alla fruizione dei benefici previsti dagli artt. 8, comma 4, e 25, comma 9, della legge n. 223/91 (come operanti ratione temporis, abrogati a decorrere dal 1° gennaio 2017 per effetto dell’art. 2, comma 71, della I. 28/06/2012, n. 92) per l’assunzione dei lavoratori dalle liste di mobilità.
2. La Corte di appello premetteva in fatto che la M.T. con contratto del 15.11.2002 aveva preso in affitto le aziende di S. srl e M. srl, dichiarate fallite il 9 agosto 2002, affitto che concerneva tutti i beni aziendali, senza subentro nei contratti in essere né nei rapporti di lavoro con i dipendenti. Con separato accordo sindacale costituente procedura di consultazione ex art. 47 della j. n. 428 del 1990 e 2112 c.c., era stata concordata l’assunzione a tempo determinato sino al 1°.8.2003 di tutti i dipendenti delle società fallite; alla scadenza, il curatore collocava i dipendenti in mobilità e provvedeva al loro licenziamento in data 9.8.2003. Il 1°.9.2003 M.T. assumeva tutti i lavoratori dalle liste di mobilità, fruendo dei benefici contributivi previsti dall’art. 8 della I. 223/91.
3. La Corte d’appello riteneva che la società non potesse usufruire dei suddetti benefici contributivi, in quanto la finalità di tali agevolazioni è quella di incentivare l’assunzione di lavoratori, che hanno perso il posto di lavoro e fruiscono di un’ indennità a carico del sistema previdenziale, e che tale finalità sarebbe frustrata se la norma fosse usata per ottenere agevolazioni contributive attraverso la collocazione in mobilità e poi la riassunzione presso la stessa azienda: non vi era stata nel caso la cessazione effettiva dell’attività delle aziende di provenienza e l’assunzione presso diversa azienda, per tale dovendosi intendere un complesso di beni organizzati per la produzione, ed il contratto di affitto con le procedure fallimentari non aveva creato un nuovo complesso produttivo.
4. Per la cassazione della sentenza M.T. srl ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’Inps, anche per S.C.C.I. s.p.a.. Equitalia Nord S.p.a, già Equitalia – Esatri S.p.a. è rimasta intimata.
Considerato che
5. come primo motivo la società ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 295 c.p.c..
Lamenta che la Corte territoriale non si sia pronunciata sull’istanza di sospensione del processo, che la società ricorrente aveva formulato in attesa della definizione dei precedenti giudizi che traevano origine da cartelle esattoriali emesse per il medesimo titolo ma con riferimento a periodi precedenti.
6. Come secondo motivo deduce la nullità della sentenza, la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 3, del d.lgs n. 46 del 1999, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Sostiene che, stante la pendenza di altre cause aventi ad oggetto la medesima pretesa contributiva traente origine dal verbale ispettivo del 10 maggio 2004 e dal successivo provvedimento dell’Inps del 25 settembre 2004, non poteva essere effettuata alcuna iscrizione a ruolo se non dopo l’emanazione di sentenza definitiva.
7. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, commi 1, 4 e 4 bis della legge 223/91, dell’art. 15, comma 6, della legge 264/49, degli artt. 2555, 2561 e 2562 c.c., degli artt. 2112 c.c. e 47, comma 5, della legge 428/90, degli artt. 90 e 105 del R.d. n. 267/42, dell’art. 3, commi 2 e 3, della legge 223/91 e dell’art. 8, comma 4 della legge 160/88. Deduce altresì I’ omesso esame circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio che quando M.T. ha assunto dalla mobilità i dipendenti ex S. e M., i rispettivi fallimenti non erano più proprietari e comunque non erano più gestori da più di sei mesi delle aziende delle Società fallite, perché le avevano già affittate a M.T. da quasi un anno.
Osserva come la tesi espressa dalla Corte d’appello sia fondata sull’erroneo presupposto che la vita economica dell’azienda, deputata a ricevere la prestazione di lavoro dei dipendenti, possa svolgersi indipendentemente dall’imprenditore che la organizza. Rileva che nel caso del fallimento, proprio perché l’operazione avviene sotto il controllo delle organizzazioni sindacali, della Direzione provinciale del lavoro, del curatore, del comitato dei creditori e del Tribunale fallimentare, devono escludersi intenti fraudolenti e vengono raggiunte le finalità di consentire la nascita di una nuova impresa/azienda, di rioccupare i lavoratori licenziati o destinati al licenziamento, di sollevare l’Inps dal pagare l’indennità di C. e di mobilità, di consentirgli di incassare i contributi previdenziali dalla nuova impresa/azienda, prima ridotti e poi interi e di risolvere il problema sociale creato dalla perdita dei posti di lavoro. Aggiunge che quando non vi sia, come nel caso, l’esercizio provvisorio previsto dall’articolo 90 del R.D. n. 267 del 1942, si crea la definitiva cessazione dell’impresa/azienda fallita, e quindi una cesura invalicabile tra la precedente e la nuova azienda; nel caso, peraltro, al momento del licenziamento dei dipendenti e delle successive assunzioni il curatore non era più il gestore delle società, da quasi un anno affittate a M.T., né era un imprenditore, perché la dichiarazione di fallimento senza esercizio provvisorio con messa in C. concorsuale di tutti i dipendenti aveva determinato la definitiva cessazione dell’impresa/azienda fallita.
8. Il primo motivo non è fondato, essendosi attenuto il giudice di merito, nel non procedere alla sospensione del giudizio, ai principi affermati da questa Corte (v. Cass. n. 17235 del 29/07/2014), secondo i quali l’art. 295 cod. proc. civ., nel prevedere la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione “dipenda” dalla definizione di altra causa, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva conseguenzialità fra due emanande statuizioni e quindi, coerentemente con l’obiettivo di evitare un conflitto di giudicati, non ad un mero collegamento fra diverse statuizioni per l’esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti di diritto da risolvere, ma ad un collegamento per cui l’altro giudizio (civile, penale o amministrativo) debba investire una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto o in parte l’esito della causa da sospendere. Requisito che nel caso, per la diversità dei periodi contributivi, non è ravvisabile.
9. Neppure fondato è il secondo motivo: il divieto di iscrizione a ruolo previsto dall’art. 24, comma 3 d.lgs. 46/1999 nasce solo dalla impugnazione del preliminare verbale di accertamento e non dalla domanda di accertamento negativo contenuta in un’opposizione avverso una prima cartella esattoriale scaturente da un medesimo verbale afferente ad un più ampio periodo. Pertanto, quand’anche vi fosse stata omissione di pronuncia, il contenuto dell’eccezione formulata dalla ricorrente si rivelerebbe infondato e quindi inidoneo a condurre alla cassazione della sentenza, essendo in tal caso inutile il ritorno della causa alla fase di merito, anche alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. (v. Cass. n.5729/2012 e, in fattispecie analoga, Cass. n. 8972 del 11/04/2018).
10. Infondato infine è il terzo motivo, in quanto la questione ivi posta è stata affrontata e risolta da questa Corte in due arresti, relativi alla medesima società ed alla medesima procedura, cui occorre dare continuità.
Nelle sentenze n. n. 18402 del 20/09/2016 e n. 8972 del 11/04/2018 , che hanno adottato soluzioni condivise di questa Corte (v. anche Cass. n. 10428 del 27/04/2017) è stata confermata la soluzione adottata dalla Corte d’appello di Brescia, affermandosi che il diritto ai benefici va escluso ove tra le due imprese sia intervenuto un contratto di affitto del complesso dei beni aziendali, idoneo a configurare un trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c.; né rileva che la cessione sia avvenuta nell’ambito di una procedura fallimentare, in quanto il fallimento della società non determina, di per sé, il venir meno del bene giuridico “azienda” inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa.
11. Si è aggiunto che non assume rilievo ostativo il disposto dell’art. 47, comma 5, della j. n. 428 del 1990, che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento di azienda in crisi, disciplina la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, senza aver riguardo agli aspetti contributivi. Si sono ivi richiamate le sentenze di questa Corte n. 8800 del 2001, n. 17071 del 2007 e 15789 del 2008, che hanno affermato che gli accordi previsti dall’art. 47 tendono a disciplinare, con l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c., la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, mentre il disposto dell’art. 8, comma 4 bis, legge n. 223 del 1991 ha riguardo ad una fattispecie distinta, che vede come destinatari per quanto attiene all’attribuzione dei contributi, l’Istituto previdenziale e le imprese, e dall’altro, per quanto attiene all’indennità di mobilità, lo stesso Istituto ed i singoli lavoratori posti in mobilità. Corollario di un siffatto inquadramento ordinamentale è, dunque, l’impossibilità di assegnare nell’individuazione dell’ambito operativo dei citato art. 8 della L. n. 223/1991 qualsiasi rilevanza al disposto del summenzionato art. 47 l. 428/1990.
12. La ratio dei benefici contributivi, di favorire l’occupazione dei lavoratori effettivamente espulsi dal mercato del lavoro, opera quindi anche nella procedura fallimentare, sicché tale diritto non spetta quando i lavoratori siano assunti in una con l’acquisto della titolarità dell’impresa fallita che resti nei suoi caratteri essenziali sostanzialmente immutata, o comunque nel periodo di un anno dai trasferimento entro il quale, essendo la loro assunzione obbligata per effetto del diritto di precedenza stabilito dal comma 6 dell’art. 47 della L. n. 428 del 1990, l’espulsione dal mercato del lavoro non si è ancora consolidata.
13. Nel caso, peraltro, l’identità del complesso aziendale determinava la sussistenza anche dell’obbligo alla riassunzione dei lavoratori ai sensi dell’ art. 8, comma 1, della j. n. 223 del 1991, operante ratione temporis, che richiama l’art. 15, comma 6, della j. n. 264 del 1949, essendo l’assunzione avvenuta a meno di sei mesi dal licenziamento.
14. Segue coerente il rigetto del ricorso.
15. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
16. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 12.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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