Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 8984 depositata il 4 aprile 2024
i ricavi, i costi e gli altri oneri concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, a condizione che la loro esistenza o il loro ammontare sia determinabile in modo oggettivo
rilevato che
– C.I. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo aveva rigettato l’appello principale proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e accolto quello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza n. 233/02/2015 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Teramo aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta società, esercente l’attività di “lavori generali di costruzioni edifici”, avverso l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio, per l’anno 2009, aveva recuperato a tassazione euro 161.600,00 per Iva indetraibile relativamente alle note di credito n. 41/2009 e 40/2009, euro 326.000,00, ai fini Ires e Irap, per costi ritenuti non deducibili ed euro 36.424,00 ai fini Ires e Irap per maggiori ricavi non dichiarati derivanti dalla vendita sottocosto di una villetta;
– la società contribuente resiste con controricorso;
Considerato che
1. Con il primo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972 per avere la CTR ritenuto legittima la ripresa, ai fini Iva, relativa alla nota di credito n. 41/2009 emessa a storno della fattura n. 37/2007 di acconto per euro 800.000,00, con parziale accollo di mutuo, emessa dalla società contribuente relativamente ad una promessa di vendita di beni immobili con la G. s.a.s. sebbene, ad avviso della ricorrente, l’imposta fosse stata versata dalla contribuente sulla base di un corrispettivo in realtà mai conseguito, essendo stato effettuato lo storno della detta fattura di acconto attraverso la nota di credito n. 41/2009, per pari importo, al fine di emettere una fattura a saldo conforme alla somma indicata nel rogito relativo alla compravendita del complesso immobiliare e all’accollo del mutuo.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. La variazione dell’imposta o dell’imponibile è disciplinata dall’art. 26 del DPR n.633/1972, che prevede la possibilità di rettificare la fatturazione o la registrazione delle operazioni limitatamente a una serie di eventi, puntualmente descritti, successivi all’emissione della fattura o per inesattezze nella sua compilazione che comportino la modifica degli estremi di una determinata operazione. In particolare, le variazioni in diminuzione possono essere effettuate senza alcun limite temporale nelle ipotesi di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, nonché per mancato pagamento in tutto o in parte del creditore a causa di procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose ovvero in ipotesi di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. Qualora gli stessi eventi conseguano ad un sopravvenuto accordo tra le parti la variazione è consentita entro il termine di un anno dalla fatturazione. Il medesimo art. 26 cit., al comma 3, prevede infatti “Le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e possono essere applicate, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione del settimo comma dell’art. 21”.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, con principi a cui intende darsi continuità, in tema di IVA, è onere del contribuente dimostrare la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 26, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per accedere al regime della variazione in diminuzione dell’imposta, tramite la corretta e completa registrazione delle operazioni, da cui emerga inequivocabilmente la corrispondenza tra le stesse, mediante l’indicazione di quei dati che risultino idonei a collegarle, attraverso la dimostrazione dell’identità tra l’oggetto della fattura e delle registrazioni originarie e l’oggetto della registrazione della variazione, oppure, ove tale onere non possa essere così assolto, attraverso altri mezzi di prova nel rispetto delle regole generali in materia (Cass. nn. 8535/2014, 11396/2015). Quindi per accedere al regime della variazione in diminuzione è necessario che ricorra uno degli eventi previsti dalla disciplina in esame, il cui onere probatorio grava sempre sul contribuente.
Anche con riguardo al limite temporale, è stato precisato che il ricorso alla procedura di cui all’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 impone che sia specificata, nelle note di variazione, una causale tale da fornire elementi per ricondurre la variazione dell’importo originariamente fatturato tra le ipotesi contemplate dal secondo comma del citato art. 26, sicché, in mancanza di ulteriori elementi valutativi, la emissione delle successive note di variazione resta assoggettata al limite temporale indicato dal terzo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. n. 25987/2014, Cass. 9842 del 2016).
1.3. Nella specie, la CTR si è uniformata ai suddetti principi in quanto – in merito alla nota di credito n. 41 del 9.12.2009 di euro 800.000,00 emessa dalla contribuente a storno della fattura n. 37/2007 di acconto di pari importo, con parziale accollo di mutuo, relativa ad una promessa di vendita di beni immobili stipulata nel 2006 con G. s.a.s., al fine di emettere la fattura a saldo pari alla somma indicata nel rogito relativo alla compravendita del complesso immobiliare (“la parte nel p.v.c. n. 10 del 13.12.2013 ha fornito le seguenti dichiarazioni…la nota di credito n. 41 del 9.12.2009 di euro 800.000,00 è stata emessa per comodità contabile al fine di potere emettere una fattura a saldo nei confronti della società G. sas in maniera conforme all’atto di vendita e all’accollo del mutuo Tercas” v. stralcio del p.v.c. riprodotto in ricorso pag. 7) – ha ritenuto, in primo luogo, la tardività dell’emissione della nota di credito in questione a distanza di anni dalla fattura (“non si giustifica una nota di credito emessa a distanza di anni dalla fattura”) non trattandosi di variazione dell’importo originariamente fatturato riconducibile tra le ipotesi contemplate dal secondo comma del citato art. 26 cit. e dunque da assoggettarsi al limite temporale indicato dal terzo comma dell’art. 26; in secondo luogo, il giudice di appello ha ritenuto sostanzialmente non assolto dalla contribuente l’onere probatorio in ordine ad uno degli eventi successivi al compimento dell’operazione imponibile previsti dalla disciplina in esame affermando che “né è credibile che al pagamento del saldo per la cessione del fabbricato questo avrebbe contenuto anche l’importo di cui alla fattura de qua che pertanto si sarebbe dovuto stornare. Sarebbe stato sufficiente considerare l’importo già versato e contenere il saldo in una somma corrispondentemente inferiore”; ciò tanto più se si considera che il presupposto impositivo si realizza quando venga fatturato e versato in previsione degli effetti reali un anticipo sul prezzo (Cass. 7348/2003), dovendosi considerare l’operazione effettuata limitatamente all’importo fatturato o pagato (Cass. 371/98), anche se mediante accollo di un debito, come nella specie (Cass. 15064/2000; Sez. 5, Sentenza n. 12192 del 2008).
2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 917/1986 per avere la CTR ritenuto legittima la ripresa a tassazione di costi dedotti di ultimazione di locali commerciali già realizzati e venduti, subordinando la deducibilità alla prova da parte della contribuente della certezza e non già della oggettiva determinabilità dei componenti negativi nonché all’effettivo sostenimento degli stessi nell’anno in questione sebbene, in base al principio di competenza, per le imprese operanti nel settore delle costruzioni, la correlazione del costo al relativo ricavo costituisse il criterio generale per la ripartizione dei costi nei vari esercizi. Inoltre, ad avviso della ricorrente, il giudice di appello avrebbe erroneamente correlato il requisito dell’inerenza dei costi di ultimazione dei lavori non all’attività di impresa ma al fatto che i costi sostenuti fossero relativi ad un bene già venduto.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Quanto alla assunta violazione dell’art. 109 TUIR, va premesso che, in tema di imposte sul reddito d’impresa, la regola posta dall’art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui i ricavi, i costi e gli altri oneri concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, a condizione che la loro esistenza o il loro ammontare sia determinabile in modo oggettivo (dovendo altrimenti essere calcolati nel periodo d’imposta in cui si verificano tali condizioni), mira a contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare: essa va quindi interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione. Pertanto, l’onere di provare la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità delle componenti del reddito in un determinato esercizio sociale incombe all’Amministrazione finanziaria per quelle positive, ed al contribuente per quelle negative; (Cass. n. Sez. 5, n. 15320 del 06/06/2019); In tema di determinazione dei redditi di impresa, ai sensi dell’art. 75 (ora 109), comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, i ricavi, i costi e gli altri oneri sono imputabili nell’esercizio di competenza in cui si è formato il titolo giuridico che ne costituisce la fonte, purché l’esistenza o l’ammontare degli stessi sia determinabile in modo oggettivo, circostanze, queste ultime, che rientrano, per i componenti positivi, nell’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria e per quelli negativi in quello del contribuente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 28671 del 09/11/2018; Sez. 5, Sentenza n. 8589 del 2022).
2.3. In tema di imposte sui redditi delle società, la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo valutazione qualitativa e non quantitativa, la cui prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Sez. 5, Sent. n. 24880 del 18/08/2022).
2.4. Nella specie – a fronte della ripresa a tassazione di costi dedotti relativi alla ultimazione di locali commerciali già realizzati e venduti non essendo l’importo di euro 326.000,00, imputato nell’anno oggetto di verifica (2009), “idoneamente documentato né [avendo] la parte dimostrato quali interventi [erano] Ires ed Irap” (v. stralcio del p.v.c. trascritto in ricorso) – la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere tali costi indeducibili, ai sensi dell’art. 109 TUIR in quanto – non condividendo l’assunto della contribuente secondo cui i costi relativi alla costruzione di un immobile potevano essere dedotti nel momento in cui l’immobile veniva venduto – “i costi dovevano essere dedotti e imputati nell’anno in cui [erano stati] sopportati con diritto al relativo riconoscimento anche nella ipotesi in cui il bene non [fosse stato] venduto per una qualunque ragione”.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 7.500,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.