
La Corte di Cassazione, sezione, penale, con la sentenza n. 40480 depositata il 6 settembre 2017 intervenendo in tema di reati fallimentari ha affermato che le somme utilizzate per pagare i soci dipendenti qualora gli importi pagati siano superiori a quanto previsto nei contratti è legittima, tra gli altri motivi, la condanna dell’amministratore della cooperativa, ritenuto colpevole di “bancarotta”.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una cooperativa che veniva dichiarata fallita e lo stesso veniva accusato del reato di “bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale” ed anche per il rato di “bancarotta semplice” per “essersi egli astenuto dal richiedere il fallimento, così aggravando il dissesto della società”. In particolare era stato si è accertato che la somma distratta era “stata impiegata per pagare i soci dipendenti in misura maggiore rispetto a quanto loro spettante relazione ai rispettivi contratti” e ciò costituisce, osservano i giudici, “una distrazione dal momento che il distacco non giustificato della risorsa economica si rivela chiaramente idonea a porre in pericolo gli interessi dei creditori della società”.
La Corte di Appello, confermava la sentenza di primo grado, riconoscendo, l’ex amministratore, colpevole dei reati ascritti. In particolare l’imputato veniva ritenuto responsabile di avere, nonostante il conclamato stato di dissesto della società di aver omesso di chiedere il proprio fallimento per evitare che la condizione di crisi continuasse a generare perdite e, dall’altro, prelevato somme dalle casse della società o comunque omesso di versare crediti riscossi.
Avverso la decisione della Corte Distrettuale l’imputato propone ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dell’imputato precisando che “l’amministratore di una società che sia dichiarata fallita ovvero in stato di insolvenza, nel caso in cui non dia conto della sorte impressa a risorse economiche o finanziarie della società che risultino positivamente essere state in possesso di questa, si presume che le abbia distratte, avendo egli l’obbligo di precisa rendicontazione e contabilizzazione dei fatti rilevanti nella vita economica della persona giuridica”.
Inoltre i giudici di legittimità evidenziano come per l’“ulteriore somma”, è stato verificato che “il versamento a favore della società da parte dei creditori mediante bonifici e il mancato incasso da parte della società stessa, senza alcuna giustificazione ragionevole e documentata”. E su questo fronte “la bancarotta documentale non è neppure contestata per quanto concerne la materialità della condotta, essendo incontroverso che il pagamento dei crediti di cui sopra non è stato contabilizzato così come l’aggiornamento delle scritture non è avvenuto ai sensi di legge”.
Peraltro, “il dolo della distrazione è stato comunque esattamente ritenuto sussistente alla luce del fatto che i debiti pagati dai debitori della società – identificati nel capo d’imputazione attraverso l’indicazione dell’ammontare complessivo – hanno prodotto risorse finanziarie di cui non è stata rinvenuta traccia non solo materiale ma neppure nelle scritture contabili, cosicché il lamentato uso delle stesse per finalità proprie della società è rimasta una pura affermazione, contraddetta dalla presunzione di distrazione a cui sopra si è fatto riferimento”.
In ultimo per quel che riguarda il reato di “bancarotta semplice”, veniva chiarito dalla Corte che l’addebito prescinde del tutto dall’accertamento del fatto che “il dissesto sia stato o meno cagionato dall’amministratore della società fallita”, essendo sufficiente “la prova che il ritardo nella richiesta di fallimento (o equiparata) abbia aggravato la situazione di dissesto già in essere”.
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