La Corte di Cassazione con la sentenza n. 28945 del 8 luglio 2013 intervenendo in materia di reati tributari ha stabilito che ai fini del reato di omesso versamento dell’Iva, la notifica dell’avviso di accertamento tributario non conta. Il reato si consuma se l’omesso versamento di quanto dovuto, in base alla dichiarazione annuale, si protrae fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento.
La vicenda ha riguardato un contribuente, amministratore della società inadempiente, accusato del reato di omesso versamento dell’Iva previsto dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, norma che punisce colui che non versa l’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, per un ammontare superiore a 50 mila euro per ciascun periodo d’imposta.
Il Giudice delle indagini preliminari, su richiesta del P.M., procedeva ad emettere il decreto di sequestro preventivo per equivalente, finalizzato alla confisca (ex articolo 322-ter del codice penale), fino alla concorrenza della somma corrispondente al profitto del reato (ossia all’ammontare dell’imposta evasa), sia sui beni della società di cui l’imputata era stata amministratrice, sia sui beni personali della stessa.
Il provvedimento di sequestro preventivo per equivalenza venne confermato dal tribunale del riesame, il quale ha respinto la tesi dell’appellante che aveva contestato la misura ablativa sulla base del fatto che l’imprenditore non aveva mai ricevuto, per tale omissione, l’avviso di accertamento da parte del competente ufficio finanziario.
Avverso la decisione dei giudici di merito il contribuente ricorse alla Corte di Cassazione eccependo tra gli altri motivi di rito e di merito, l’inesistenza della notifica di invito del legittimato passivo a rendere eventuali controdeduzioni, criticando così l’operato del tribunale.
Gli Ermellini nel ritenere il ricorso infondato hanno fatto leva sul rilievo secondo cui, ai fini del perfezionamento del reato ipotizzato, è inconferente la notifica dell’accertamento della violazione, mentre, se ciò fosse avvenuto nei riguardi dell’effettivo rappresentante legale della società, sicuramente l’indagata avrebbe potuto esercitare migliore difesa.
I Giudici della Corte Suprema rigettano il ricorso, confermando il provvedimento di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, disposto dai giudici del merito.
È importante però sottolineare che il giudice di legittimità ha rilevato al riguardo come il reato di omesso versamento dell’Iva si consuma anche senza notifica dell’accertamento fiscale. La fattispecie si perfeziona quando scade il termine ultimo per saldare il debito con l’Erario.
I giudici di legittimità evidenziano, in particolare, che ai fini del perfezionamento del modello legale del reato di cui all’articolo 10-ter, Dlgs 74/2000, non è affatto richiesta la notifica dell’’avviso di accertamento dell’infrazione, in quanto il reato di omesso versamento dell’Iva si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, fissato, dall’articolo 6, comma 2, della legge 405/1990, al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento (cfr Cassazione 39449/2012).
Sull’aspetto fatto valere dall’imputata dell’inesistenza dell’invito al legittimato passivo a rendere eventuali controdeduzioni – la cui reiterazione, sic et simpliciter, della doglianza, ad avviso del giudice di legittimità non muta l’ordine delle decisioni assunte in precedenza – il tribunale del riesame ha già infatti escluso che la notifica dell’accertamento dell’infrazione costituisca presupposto per la contestazione del reato de quo, atteso che tale reato si consuma puramente e semplicemente allo scadere del termine previsto dalla legge per l’adempimento.
Occorre in proposito ricordare che il reato, di cui all’articolo 10-ter, Dlgs 74/2000, è stato introdotto nell’ordinamento positivo con l’articolo 35 del Dl 223/2006 (legge 248/2006), allo scopo di arginare la cosiddetta “frode da riscossione”.
L’illecito è caratterizzato da particolare insidiosità poiché, tra l’altro, permette al contribuente, ancorché dichiari o certifichi correttamente l’imposta dovuta, di non adempiere al successivo obbligo di versamento dell’Iva a debito nei termini stabiliti dalla norma.
Perciò, a tal fine è fondamentale la presentazione della dichiarazione, considerato che il “quantum” d’imposta dovuta, e quindi da versare, è quella risultante esclusivamente dalla stessa.
La fattispecie criminosa è stata assimilata – sotto il profilo sanzionatorio – a quella del sostituto d’imposta che non versi le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti (articolo 10-bis, Dlgs 74/2000), il reato di omesso versamento Iva non è coperto neppure dal cosiddetto “scudo fiscale” (cfr Cassazione 28724/2011), né le difficoltà finanziare dell’azienda in crisi esentano l’imprenditore dalla responsabilità penale dal non versare l’Iva dovuta. Infatti, la sfavorevole contingenza economica non deve fargli privilegiare prima alcuni creditori (fornitori e dipendenti) a discapito del pagamento dell’imposta (cfr Cassazione 29751/2013).
Le motivazione della sentenza 28945/2013 contiengono, inoltre, un altro interessante chiarimento. Infatti, la confisca può colpire beni dell’imprenditore, anche acquistati, come nel caso di specie, molti anni prima, in concorrenza con quelli della società, qualora questi ultimi siano insufficienti.
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