L’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 individua gli atti impugnabili innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria. La norma in oggetto dispone che
” Il ricorso puo’ essere proposto avverso:
a) l’avviso di accertamento del tributo;
b) l’avviso di liquidazione del tributo;
c) il provvedimento che irroga le sanzioni;
d) il ruolo e la cartella di pagamento;
e) l’avviso di mora;
e-bis) l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 2;
g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
h-bis) la decisione di rigetto dell’istanza di apertura di procedura amichevole presentata ai sensi della direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio del 10 ottobre 2017 o ai sensi degli Accordi e delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni di cui l’Italia e’ parte ovvero ai sensi della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/436/CEE; (48) i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle ((corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado)). …”
La giurisprudenza ha da sempre ritenuto che l’elenco contenuto nell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546/1992 è elenco tassativo non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, con i quali l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, dovendo intendersi la tassatività riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente indicati ma alle categorie a cui questi ultimi sono astrattamente riconducibili, nelle quali vanno ricompresi gli atti atipici o con “nomen iuris” diversi da quelli indicati, che però producono gli stessi effetti giuridici, ed anche gli atti prodromici degli atti impositivi (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 2144 del 30/01/2020; Cass. ordinanza n. 20119/2023).
Da ultima i giudici della Corte Suprema con l’ordinanza n. 20051 depositata il 13 luglio 2023 che ha ribadito il seguente principio di diritto secondo cui “… l’elenco degli atti autonomamente impugnabili, contenuto nell’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, è suscettibile di essere integrato con la indicazione di ulteriori atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, espressamente considerati tali da specifiche norme di legge (art. 19, comma 1, lett. 1, del decreto legislativo citato), ha precisato che la tassatività dell’elenco, deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma alla individuazione di «categorie» di atti considerate in relazione agli effetti giuridici da quelli prodotti (tra cui predomina la categoria degli atti di natura impositiva), con la conseguenza che non è impedito all’interprete – mediante la qualificazione giuridica dell’atto in concreto impugnato, da compiere in relazione agli elementi funzionali ed agli effetti prodotti – di ricondurre ad una delle predette categorie anche atti «atipici» od individuati con «nomen juris» diversi da quelli indicati nell’elenco. È stato, pertanto, precisato in proposito che debbono qualificarsi come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una «pretesa tributaria», ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un «invito bonario» a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione «avviso di liquidazione» o «avviso di pagamento» (cfr. Cass., 15 maggio 2008, n. 12194), ed ancora che debbono qualificarsi come avviso di accertamento anche gli atti di «invito al pagamento» emessi in materia doganale, tanto in quanto sussiste un interesse attuale del contribuente a proporre azione di accertamento negativo sulla debenza del tributo, posto che, ove tale situazione non venisse rimossa, resterebbe legittimata l’azione esecutiva erariale, con lesione dei diritti soggettivi del contribuente (cfr. Cass., 15 febbraio 2008, n. 3918). …”
Gli Ermellini nell’ordinanza 20051/2023 hanno riaffermato il consolidato orientamento secondo cui “… anche la impugnazione di atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, pur se non direttamente ricompresi nell’elenco tassativo degli atti tributari autonomamente impugnabili previsto dall’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, può, pertanto, costituire veicolo di accesso al giudizio tributario, laddove tali atti risultino comunque idonei a portare a conoscenza «i presupposti di fatto e le ragioni in diritto» della pretesa impositiva o del diniego del diritto vantato dal contribuente e siano quindi astrattamente suscettibili a fondare l’interesse alla impugnazione ex art. 100 cod. proc. civ., del contribuente, trovando giustificazione la applicazione dei criteri di interpretazione «estensiva» ed analogica delle categorie di atti contenute nell’elenco tanto nella esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede una immediata definizione delle potenziali controversie) quanto nei principi costituzionali di buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost. (cfr. Cass., 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., 6 novembre 2013, n. 24916). …”
I giudici di legittimità ha conferma dei suddetti principi hanno affermato che “… anche la comunicazione della sospensione di un rimborso IVA in vista di una sua compensazione, differendone in concreto l’esecuzione, è un atto autonomamente impugnabile o ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, comma 1, lett. i, del decreto legislativo n. 546 del 1992 e 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997 o, comunque, ai sensi del citato art. 19, atteso che è necessario considerare che la «formale» pretesa tributaria, che ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo n. 456 del 1992 deve rinvenirsi nell’atto dell’amministrazione finanziaria perché possa costituire oggetto di impugnazione avanti le commissioni tributarie, può estrinsecarsi in una manifestazione di volontà dell’Ufficio sia «pretensiva» (di un maggiore tributo) che «oppositiva (al diritto alla restituzione di un tributo riscosso od al riconoscimento del diritto alla esenzione o all’applicazione del minore tributo), comunque idonea ad incidere negativamente nella sfera patrimoniale del contribuente (Cass., 23 marzo 2016, n.5723). …” (Cass. ordin. 20051/2023)
Atto di diniego dell’istanza di autotutela
In tema di impugnabilità del diniego dell’istanza di autotutela il Supremo consesso con orientamento ormai consolidato e con riguardo al contenzioso tributario, ha affermato che “… il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario divenuto definitivo è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo (Cass., 12 maggio 2010, n. 11457; 3 luglio 2014, n. 15194; 20 febbraio 2015, n. 3442; cfr. inoltre Cass., 7 marzo 2022, n. 7318; 25 settembre 2020, n. 20200; 11 luglio 2019, n. 18604; 28 marzo 2018). …” (Cass. ordinanza n. 25659 del 2023)
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25659 depositata il 4 settembre 2023, in tema di limiti alla impugnabilità del diniego dell’istanza di autotutela ha stabilito il seguente principio di diritto «Il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento irrogativo di sanzioni, divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria».
Controricorso
La stessa ordinanza n. 20051 depositata il 13 luglio 2023 intervenendo in tema di controricorso in cassazione ha affermato che “… le forme del controricorso sono disciplinate dall’art. 370, comma 2, cod. civ., che prevede che al controricorso si applicano le norme degli artt. 365 e 366 «in quanto è possibile» e che i requisiti di contenuto – forma di cui all’art. 366 cod. proc. civ. vanno estesi al controricorso nell’ipotesi in cui l’atto assume anche la funzione di ricorso incidentale, in quanto in questo caso il controricorso svolge la funzione specifica di atto di impugnazione, così come il ricorso per cassazione. …”
I giudici di piazza Cavour hanno statuito il seguente principio di diritto secondo cui “… Nel giudizio per cassazione, l’autosufficienza del controricorso è assicurata, ai sensi dell’art.370, secondo comma, cod. proc. civ., che dichiara applicabile l’art. 366, primo comma, cod. proc. civ. in quanto possibile, anche quando l’atto non contenga l’autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, ma si limiti a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata» (Cass., 28 maggio 2010, n. 13140) ed ancora che «Il controricorso, ai fini del rispetto del requisito di cui all’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (richiamato dall’art. 370, comma 2, c.p.c., “in quanto è possibile” – assolvendo alla sola funzione di contrastare l’impugnazione altrui, deve contenere l’autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa soltanto nel caso in cui con esso venga proposta impugnazione incidentale, stante l’autonomia di questa rispetto all’impugnazione principale; tuttavia, qualora il controricorrente, pur senza proporre impugnazione incidentale, sollevi eccezioni sull’ammissibilità del ricorso che implichino una valutazione del materiale documentale delle fasi di merito, il controricorso deve contenere una sufficiente ed autonoma esposizione dei fatti di causa inerenti a dette eccezioni, in modo da consentire alla Corte di verificarne la portata, dalla sola lettura dell’atto» (Cass., 17 gennaio 2019, n. 1150). …” (Cass. ordin. n. 20051/2023)
Pertanto come ribadito ed affermato dal Supremo consesso dai suddetti principi di diritto discende “… l’applicabilità anche al controricorso della norma dell’art. 366, primo comma, 6, cod. proc. civ. (e di quella correlata dell’art. 369, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ.), sia pure applicata in una misura meno rigorosa, sia in ragione della clausola di compatibilità, sia per il più pratico motivo che l’autosufficienza del controricorso tende in taluni precisi casi a sovrapporsi inutilmente all’autosufficienza del ricorso; deve, dunque, concludersi che il requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, deve essere rispettato specificamente nei casi in cui il controricorso si fondi su atti o documenti o contratti collettivi diversi o giustificati da allegazioni diverse da quelle cui si sia riferito il ricorso (cfr. Cass., 17 maggio 2010, n. 12028). …”
Pertanto il controricorso, che contiene il requisito essenziale dell’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda (cfr. Cass., 13 marzo 2006, n. 5400; Cass., 10 aprile 2019, n. 9983), deve ritenersi ammissibile, in quanto non si fonda su atti o documenti, diversi da quelli richiamati nel ricorso per cassazione; […] la natura dei vizi denunciati dal ricorrente, di nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione e di violazione e falsa applicazione di legge, che già di per sé non presuppongono l’esame di atti o documenti diversi dalla sentenza impugnata e dalla quale si evincono tutti gli elementi necessari per la loro risoluzione (Cass., 19 marzo 2014, n. 6290, in motivazione). (Cass. ordin. 20051/2023)
Infine con l’introduzione del processo telematico in Cassazione il controricorso deve essere soltanto depositato in via telematica entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso. Ai sensi dell’art. 371 c.p.c., la parte cui è stato notificato il ricorso può proporre, entro 40 giorni il controricorso con atto depositato (e non più con atto notificato al ricorrente principale).
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