La dottrina definisce “norme processuali elastiche” quelle riguardanti le prove e quelle sulla loro valutazione. Tali norme presuppongono il ricorso a massime di comune esperienza nella valutazione delle prove libere e nell’applicazione delle presunzioni iuris tantum. Tali norme sono costituite dagli artt. 115 e 116 c.p.c. ed art. 2729 c.c., 2697 c.c.. Le suddette norme sono accumunate e caratterizzate dall’attribuzione al giudice di merito del potere di prudente apprezzamento delle risultanze istruttorie
E’ possibile ricorrere in sede di legittimità per la violazione dell’art. 115 c.p.c. solo per i seguenti vizi (come chiarito dalla (Cass. n. 4699/2018; Cass. sentenza n. 31078 del 2023):
- qualora il giudice di merito, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, abbia omesso di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza;
- qualora il giudice di merito abbia posto alla base della decisione fatti erroneamente ritenuti notori, oppure la sua scienza personale.
Quanto sopra riportato è stato confermato dal Supremo consesso da ultimo anche con l’ordinanza n. 740 depositata il 9 gennaio 2024 ribadendo che “… inammissibilmente invocato l’art. 115 cod. proc. civ., la cui violazione postula che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, ossia abbia giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa fuori dai casi consentiti dalla legge (Cass., 28 febbraio 2018, n. 4699; Cass., 26 ottobre 2021, n. 30173).
[…]
«Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione» (Cass., 21 maggio 2019, n. 13625; Cass., 1 luglio 2021, n. 18695). …”
In tema del c.d. principio di autosufficienza del ricorso in cassazione è stato affermato dal Supremo consesso il seguente principio di diritto ” Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., interpretato in modo compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, deve ritenersi rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (v. Cass. n. 12481 del 2022; S.U. n. 8950 del 2022)…” Cassazione, sez. lavoro, ordinanza n. 4634 del 2024
In ordine alla violazione dell’art. 116 c.p.c. la sentenza della Cassazione n. 31078 depositata l’ 8 novembre 2023 ha ribadito il principio secondo cui “… Infine, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo << prudente apprezzamento>>, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U., 30/09/2020, n. 20967). …” (Cass., sez. lavoro, ordinanza n. 6431 del 2024)
In ordine al potere discrezionale del giudice di merito di individuazione delle prove e del riesame dell’apprezzamento probatorio la Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 1258 del 2024 ha riaffermato il principio di diritto secondo cui “… è facoltà del giudice del merito, nell’esercizio «del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda dell’eccezione, (…) la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (Cass., n. 15771 del 2019).
Il riesame dell’apprezzamento probatorio operato in sede di merito, dunque, è sottratto al giudizio di legittimità, a meno che «esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente (…) pertanto chi censura non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014» (Cass., n. 15771 del 2019). …” (Cass. ordinanza n. 18165 del 2023; ordinanza n. 21338 del 2023) …”
In particolare tl Supremo consesso con l’ordinanza n. 15771 depositata il 12 giugno 2019 ha affermato sulla violazione dell’art. 2729 c.c. che “… le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, ma nell’ambito del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare il fatto da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto a lui riservato (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010); la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (v. Cass. n. 29781 del 2017); essendo compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui “risalire” al fatto ignorato (art. 2727 c.c.) che presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria e l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit esso è sottratto al controllo di legittimità (in termini, Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017), salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso (come nella specie) non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
inoltre, la doglianza relativa alla violazione delle norme sulle presunzioni non viene, a sua volta, presentata nei termini indicati da Cass. SS.UU. 24 gennaio 2018 n. 1785, che in motivazione identifica la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. allorquando il giudice di merito fondi la presunzione “su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota”, per cui, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il giudice di legittimità può essere investito “dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi”, e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza; ontologicamente diversa è invece – rimarca la pronuncia – la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito che si concreta, appunto come nella specie, nell’addurre che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo; …”
Inoltre, sempre sul tema di valutazione della prova e la denuncia di violazione dell’art 115 c.p.c., la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 1604 del 16 gennaio 2024 “… in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti, già evidenziati, consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
(…) Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”. …”
La Corte Suprema con la decisione n. 9356 del 2017 ha affermato che “Nell’esaminare le prove offerte dalle parti, il giudice di merito può – teoricamente – incorrere in un duplice errore di giudizio: un errore di valutazione; un errore di percezione. L’errore di valutazione consiste nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare. Si tratta di un errore non sindacabile in sede di legittimità, in quanto non previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c. L’errore di percezione, è, invece, quello che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, ovvero sul demonstratum e non sul demonstrandum. L’errore di percezione, quando investa un fatto incontroverso, è censurabile con la revocazione ordinaria, ai sensi dell’articolo 395, n. 4, c.p.c.. Quando, invece, investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, l’errore di percezione è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c.. Tale norma, infatti, nell’imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, implicitamente vieta di fondare la decisione su prove immaginarie, cioè reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte. In ogni caso ci troviamo al di fuori dell’attività di valutazione delle prove, sempre insindacabile in sede di legittimità, giacché altro è ricostruire il valore probatorio di un atto o fatto (attività di valutazione), altro è individuarne il contenuto oggettivo (attività di percezione “(Cass. n. 9356/2017).
E’ stato anche riaffermato il principio secondo cui “La valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimesse al giudice del merito e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nell’attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che ad un altro”
[…]
Ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto nemmeno a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata. (Cass. n. 19124/2011)
In conclusione la questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. non può essere sollevata deducendo una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., n. 27000/2016; Cass., n. 4241/2018; Cass. n. 22789/2019).
Per cui viene precisato dai giudici di legittimità che la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. (come anche dell’art. 115 c.p.c.), può avvenire, in sede di legittimità, esclusivamente nei limiti del vizio di motivazione previsto dal n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., ed il relativo vizio necessariamente deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, e non anche dal riesame degli atti di causa, essendo lo stesso, come noto, inammissibile in sede di legittimità (Cass., n. 24434/2016).
Pertanto per i giudici di piazza Cavour “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc. civ., né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. n. 22789/2019).
Infine con con l’ordinanza n. 34521 depositata l’ 11 dicembre 2023 è stato affermato che “… secondo la giurisprudenza di questa Corte per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (v., tra le altre, Cass., Sez. Un., n. 16598/2016, Cass. n. 11892/2016); la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è, invece, configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. Un., n. 11892/2016, Cass. n. 13960/2014, Cass. n. 26965/2007); pertanto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229/2019, Cass. n. 27000/2016); …”
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3386 depositata il 6 febbraio 2024 ha riaffermato che “… il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, sintetizzato dalla seguente regula iuris: “In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (cfr. Cass. n. 21035/2023, Cass. n. 6067/2023, Cass. n. 5374/2017, Cass. n. 23201/2015, Cass. n. 9108/2012).
Per quel che qui ancora residua d’utile, è stato, inoltre, precisato che la corretta attuazione del procedimento logico innanzi descritto deve trasparire dalla motivazione della sentenza, in quanto il giudice non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, essendo questo il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa (cfr. Cass. n. 1974/2022, Cass. n. 32980/2018, Cass. n. 15964/2016, Cass. n. 1236/2006). …”
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