In ordina alla deducibilità dei costi non imputati al conto economico si rammenta il contenuto del comma 6-bis dell’art. 2 del Decreto-Legge n. 90 del 27 aprile 1990, convertito con modificazioni dalla L. 26 giugno 1990, n. 165 (in G.U. 28/06/1990, n.149) che statuisce “… Ai fini dell’applicazione dell’articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, e dell’articolo 75 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, deve intendersi che le spese ed i componenti negativi sono imputati al conto dei profitti e delle perdite se e nella misura in cui siano stati annotati nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato netto del conto dei profitti e delle perdite, indipendentemente dalla specifica evidenza in tale documento, fermo restando il disposto degli articoli 3, secondo comma, penultimo periodo, e 5, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Salvo che il fatto non costituisca violazione punita in misura piu’ grave, per il compenso di partite effettuato in violazione al codice civile ovvero in caso di mancata evidenziazione, nell’apposito prospetto di cui agli articoli 3 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, si applica la pena pecuniaria prevista dall’articolo 48, secondo comma, del predetto decreto aumentata della meta’ …” 

Si ricorda che l’art. 75, a seguito del riordino del DPR 917/1986, e confluito attualmente nell’art. 109. 

Il sistema normativo tributario pone, con riferimento al reddito d’impresa e ai soggetti in contabilità ordinaria, una limitazione dettata dall’articolo 109 comma 4, del Tuir, secondo cui “le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati a conto economico” (pur sussistendo, in determinate condizioni specificate dall’articolo 2, comma 6-bis, del Dl 90/1990, l’equiparabilità tra tale imputazione e la mera annotazione nelle scritture contabili obbligatorie, come precisato dalla risoluzione n. 10 del 14/01/2008).

In merito all’applicabilità della disposizione di cui al comma 6-bis dell’art. 2 del d.l. n. 90/1990, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21415 depositata il 27 luglio 2021 (anche Cass. sentenza n. 1301/2020; ) ha ribadito che “… in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù dell’art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 90 del 1990 (conv., con modif., dalla l. n. 165 del 1990), avente, come norma interpretativa, efficacia retroattiva, sia l’art. 74 del d.P.R. n. 597 del 1973 che l’art. 75 (ora 109, comma 5) del d.P.R. n. 917 del 1986 devono intendersi nel senso che le spese e i componenti negativi sono deducibili anche se non risultino dal conto dei profitti e delle perdite, purché siano almeno desumibili dalle scritture contabili>> (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23457 del 06/10/2017; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8322 del 27/04/2016).

[…] le spese ed i componenti negativi sono deducibili ai fini fiscali se e nella misura in cui siano stati annotati nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato del conto dei profitti e delle perdite, indipendentemente dalla specifica evidenza in tale documento.

Pertanto, al fine della loro deducibilità, è necessario unicamente che i costi risultino dalle scritture contabili e che sia possibile correlarli ai ricavi (Sez. 1, Sentenza n. 3736 del 19/04/1996, Rv. 49717101;Sez. 5, Sentenza n. 8000 del 21/05/2003, Rv. 56339801;Sez. 5, Sentenza n. 8322 del 27/04 /2016, Rv. 639773 – 01). …”

Negli accertamento induttivo di cui al comma 2 dell’art. 39 del Dpr 600/1973 c.d. accertamento induttivo “puro”, sia in dottrina che la giurisprudenza (cfr,  Cassazione sentenza n. 640 del 17/1/2001 e n. 19062 del 12/12/2003) ritengono che la limitazione dell’articolo 109 comma 4 non torni applicabile, a causa della rideterminazione del reddito che per sua natura può prescindere dalle scritture contabili, e, di conseguenza, della necessità di considerare nel computo i componenti negativi per loro natura necessari allo svolgimento di una attività commerciale, pena la violazione del principio di capacità contributiva sopra richiamato.

In tal senso la citata circolare n. 32/E del 2006 ha precisato che “l’ufficio non può non tener conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati…“.

Sul punto si evidenzia quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 19191 depositata il 17 luglio 2019 (anche Cassazione ordinanza n. 28994/2022; Cass. 4 febbraio 2021, n. 2581; Cass. 16 luglio 2020, n. 15167; Cassazione ordinanza del 25 luglio 2023 n. 22261) ha statuito il seguente principio di diritto “… in caso di omessa dichiarazione dei redditi, come pure in caso di accertamento induttivo puro, l’Amministrazione può ricorrere a presunzioni supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, poiché, altrimenti, si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, ma non quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost., restando inapplicabile l’art. 109 Tuir che ammette in deduzione solo i costi risultanti dal conto economico …”

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22130 depositata il 3 agosto 2021, intervenendo in tema di deducibilità dei costi, ha ribadito il principio secondo cui “… a norma dell’art. 109, comma 4, lett. b), ultimo periodo, TUIR, i costi e le spese afferenti ricavi che non sono stati imputati al conto economico possono essere comunque dedotti soltanto se risultano da “elementi certi e precisi” con onere della prova a carico del contribuente, sicchè è necessario che il contribuente fornisca concreti elementi di prova, non mediante affermazioni, di carattere generale o il richiamo a semplici presunzioni (Cass. civ., n. 1898/2016; n. 6425/2011; n. 25365/2007; Cass. n. 18965/2021; n. 12487/2021); …”

Sul tema anche l’Agenzia delle Entrate con risoluzione n. 217 del 9 agosto 2007 ha affermato che “… il disposto dell’articolo 109, comma 4, lettera b), ultimo periodo, del TUIR che prevede, in deroga al principio di previa imputazione al conto economico dei componenti negativi di reddito, che “le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi”. Ragioni di ordine sistematico inducono a ritenere applicabile tale disposizione, come noto diretta a riconoscere la deducibilità di componenti negativi in caso di omessa contabilizzazione dei medesimi, se direttamente correlati a ricavi parimenti non iscritti in bilancio ed accertati dalla Amministrazione finanziaria, anche ai contribuenti che legittimamente non hanno imputato i componenti negativi a conto economico in conformità alle modalità di contabilizzazione stabilite dagli IAS/IFRS. …”

Il principio di diritto sopra indicato è stato confermato anche in sede di accertamento bancario dalla Corte Suprema con l‘ordinanza n. 18965 depositata il 5 luglio 2021. Infatti i giudici di legittimità hanno evidenziato che “… sul punto anche la pronuncia di Cass. n. 22266/2016, che ha affermato che “In tema di accertamento induttivo delle imposte sui redditi, l’Amministrazione è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, purché emergenti dagli accertamenti o dimostrate dal contribuente, su cui grava l’onere della prova dei costi deducibili dall’ammontare dei ricavi induttivamente determinati“. Nello stesso senso, Cass. n. 22868/2017 ha affermato che “In tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario“. …”

Inoltre la Corte suprema con l’ordinanza n. 14990 del 15 luglio 2020 aveva già confermato, anche in tema di costi non registrati, che “… In tema di accertamento delle imposte sui redditi ed in merito alla deducibilità di costi di impresa non registrati, l’onere della prova circa l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito incombe al contribuente. A tal riguardo, l’abrogazione del sesto comma dell’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ad opera dell’art. 5 del d.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, comporta solo un ampliamento del regime di prova dei costi da parte del contribuente, prova che può essere fornita anche con mezzi diversi dalle scritture contabili (purché costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dal quarto comma dell’art. 75), ma non certamente l’attenuazione della regola sulla ripartizione dell’onere della prova» (Cass., n. 4218 del 24/02/2006, Rv. 587312 – 01; nello stesso senso Cass. n. 18401 del 12/07/2018). …”

la Suprema Corte, in tema di omissioni delle dichiarazioni e dell’inosservanza degli obblighi contabili, con Ordinanza n. 20055/2017 del 20.6.2017, pubblicata in data 11.8.2017, ha chiarito che anche i costi non contabilizzati sono da imputare nel calcolo della maggiore imposta a seguito di un accertamento fiscale, poiché “se si facesse coincidere, a titolo di sanzione, … il profitto lordo con quello netto, si andrebbe addirittura al di là della ratio sanzionatoria della disposizione, in quanto si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, quanto, secondo lo stesso accertamento dell’ufficio, reddito non è: risultato, questo, collidente con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost., comma 1”.

Anche la Guardia di Finanza con la circolare n. 336701/14 ha precisato che in molti controlli fiscali su imprese e lavoratori autonomi possono essere riconosciuti i costi non contabilizzati purché risultanti da elementi certi e precisi.

Le scritture contabili sono quelle di cui al Dpr n. 600/1973 ed in particolare l’art. 22, recante “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi” tra le scritture contabili rientra anche il Libro Unico del Lavoro.

In base agli artt. 13 e seguenti del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, tra i quali assume rilevanza, in particolare, l’art. 22, emerge l’obbligo di conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai sensi del menzionato decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali (v. il citato art. 22, comma 2), tra cui rientra l’art. 39 del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, che nel prevedere il cd. Libro unico del lavoro in sostituzione dei libri contabili, quali il libro matricola e il libro paga, che il datore di lavoro era originariamente obbligato a tenere ai sensi degli artt. 20 e 21 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ne ha espressamente sancito l’obbligatorietà.

La stessa Agenzia delle Entrate nel punto 2.4 della circolare n. 5 del 29 febbraio 2012 ha precisato che “… Sebbene il Libro Unico del Lavoro sia comunque un documento rilevante ai fini fiscali (articolo 21 D.P.R. n. 600 del 1973) …”

Su tale tema sono è intervenuta anche l’ordinanza n. 5586 del 23 febbraio 2023, in cui la Corte Suprema ha ribadito che “… La corte Costituzionale ha  osservato che, in caso di accertamento induttivo in senso stretto (o “puro”), l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio – cui ha fatto riferimento la stessa Corte nella sentenza n. 225 del 2005 – secondo il quale deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura  percentuale forfettaria, precisando che è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi.  […]  ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola ritraibile dall’art. 109 t.u.i.r., in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l’onere della prova è a carico del contribuente. …”

La Corte costituzionale, con sentenza n. 10 depositata il 31 gennaio 2023, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale  essendo possibile un’interpretazione adeguatrice della norma. I giudici hanno ribadito che “… nell’ipotesi di accertamento induttivo “puro”, deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria. E anzi, nel caso di accertamento induttivo “puro”, è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi (Corte di cassazione, sezione quinta tributaria, ordinanza 29 settembre 2017, n. 22868 e sentenza 28 novembre 2014, n. 25317). …”