La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 32077 depositata il 9 dicembre 2019 intervenendo in tema di crediti previdenziali ha riaffermato che “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l’art. 3, commi 9 e 10, della l. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto”
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui veniva notificato un atto d’intimazione di pagamento con oggetto contributi comunicati con avvisi di addebito. Avverso tale atto, il contribuente procedeva alla sua impugnazione avanti al Tribunale, quale Giudice del Lavoro. I giudici di prime cure accoglievano la doglianza inerente alla prescrizione del credito previdenziale. L’INPS avverso la decisione del Tribunale proponeva ricorso alla Corte di Appello. I giudici di secondo grado confermavano la sentenza impugnata ed ulteriormente puntualizzavano che in caso di non impugnazione degli avvisi di addebito non si applica la conversione della prescrizione breve in quella ordinaria ex art. 2953 c.c.
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione proponeva ricorso in cassazione fondato su u unico motivo.
Gli Ermellini hanno dichiarato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione inammissibile. Inoltre in riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, i giudici di legittimità, hanno precisato che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dall’art. 3 della l. n. 335 del 1995 invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c.”.
Infine, per la Corte Suprema, allo stesso modo non assume rilievo il richiamo all’art. 20 comma 6 del d.lgs n. 112 del 1999, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore.
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